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“Via da noi”: la seconda vita degli italiani negli Stati Uniti e giovani coppie in fuga dalla precarietà. Il sogno americano attira i talenti dell'Italia in crisi. Con i suoi rischi e sacrifici. Elena Attala Perazzini lo racconta in un libro

Pubblicato il 15-10-2013
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Elena Pavan

“Quello che impari anche senza volere, perché nel bene e nel male ti entra nel sangue, sono lo spirito di competizione e l'importanza di non dare nulla per scontato (...). Devi dimostrare e confermare quanto vali, perché qui niente è dovuto, nulla è assodato e tutto va guadagnato”.
Ovvero: come descrivere l'America in due frasi. Chi lo afferma è Pietro Stuardi, commercialista a New York, che assieme alla moglie Marta, architetto, ha lasciato l'Italia e si è trasferito nel 2007 nella Grande Mela per iniziare negli Stati Uniti la vita di coppia e di lavoro.
Come loro ce ne sono tantissimi altri, protagonisti della nuova emigrazione italiana oltreoceano che alla riscoperta dell'American Dream ha registrato un'impennata dalla seconda metà del primo decennio degli anni 2000.

Elena Attala Perazzini con il suo ultimo libro al Caffè dei Libri a Bassano (foto Alessandro Tich)

Compresi gli anni della crisi, appunto, che pure dallo scoppio della bolla finanziaria americana trae la sua infausta origine.
Quella di Marta e Pietro è soltanto una delle sorprendenti storie raccontate da “Via da noi - Italiani ma in America”: il terzo e nuovo libro della scrittrice Elena Attala Perazzini, edito da Barbera, dedicato “agli incontentabili e agli sradicati” che hanno lasciato il Belpaese “spinti dal desiderio di rivoluzionare la propria vita, di sfidarsi in una realtà che il mito ha descritto “gravida di incognite quanto ricca di promesse”, attratti da una realizzabilità dei Sogni abilmente reclamizzata”.
Anche Elena, romagnola, è andata “via da lei”: vive infatti a New York dal 1997. Quella che doveva essere un'esperienza temporanea nella grande metropoli si è trasformata in una scelta di vita che nel “Paese delle opportunità”, tra le altre cose, le ha consentito in passato di collaborare con Rai International, di gestire un rinomato ristorante e soprattutto di lavorare come assistente di Oriana Fallaci. E di fronte all'ennesima domanda - da parte di un giovane americano nel litorale di Long Island - sul perché avesse scelto di vivere negli Stati Uniti e di “lasciare le meraviglie dell'Italia” ha deciso di approfondire e di amplificare la risposta intervistando chi, per i motivi più diversi, ha iniziato e proseguito la propria carriera o si è ricostruito una seconda vita sperimentando la non sempre sostenibile durezza del sogno americano.
Un comune destino “alla ricerca di nuove radici in un luogo che non ne ha” trasferendo speranze e talenti in quello che, come scrive l'autrice, “non era affatto il Paese in cui né io, né molti connazionali avessimo mai aspirato a vivere”.
Il risultato è racchiuso in un libro - presentato da Elena Attala Perazzini a Bassano del Grappa al Caffè dei Libri - che con stile e contenuti avvincenti racconta l'America degli italiani “che hanno trovato il coraggio o la disperazione” di voltare pagina e di mettersi in gioco in un Paese “che non teme il cambiamento, che si nutre di possibilismo, di sfide, della capacità di reinventarsi e che guarda, senza remore, ferocemente solo avanti”.
Fughe di cervelli, ma anche di cuori, di aspirazioni e di talenti.
Un viaggio verso l'ignoto, e uno scontro di valori e di mentalità, che mette a dura prova il nostro modo di essere - in una continua altalena tra sacrifici da accettare e occasioni da cogliere - in questo “altrove” che si chiama Nuovo Mondo.
Sono tutte storie vere, in gran parte di successo, conquistato sul campo di un'America gratificante e meritocratica con chi dimostra - per curriculum, capacità, iniziativa e spirito di adattamento - di valere la sua fiducia, ma altrettanto selettiva e spietata nei confronti di chi non le sta al passo.
E non mancano le testimonianze di delusione: se non preso e assimilato nelle opportune dosi, il sogno americano può diventare un incubo.
Una scommessa vinta che - nei racconti vissuti di “Via da noi” - ha la passione e la perseveranza di Giovannella Moscovici, scienziata, 50 anni vissuti in lungo e in largo tra università e laboratori di mezza America, eminente ricercatrice sulle cellule staminali.
Che ha la spontaneità tutta romagnola di Gino Angelini, chef di fama mondiale catapultato nella Hollywood delle star, antitesi dello stile di vita iper-regolare e plastificato della California, con cui si trova costantemente in contrasto.
Che ha il genio creativo di Mario Fratti, celebre drammaturgo a New York, consacrato dall'enorme successo del suo musical “Nine”, ispirato a Fellini, nonostante la scrittura dei musical fosse bandita dalla lobby di Broadway agli autori italiani.
Che ha la voglia di rivalsa di Michele R., giovane imprenditore della moda, schiacciato dalla crisi, che dopo un incidente stradale lascia tutto alle spalle per ricostruirsi negli U.S.A. un'identità non solo economica fino a ripianare i suoi debiti in Italia e aprire una sartoria a Manhattan.
Che ha l'entusiasmo di Alessandra Luchini, giovane ricercatrice in Virginia a caccia di molecole per la diagnosi precoce dei tumori, disposta a “ingabbiarsi” in una vita in laboratorio pur di perseguire l'emozione della scoperta.
Ma c'è anche chi, come Ascanio M., scappato dalla provincia italiana, non regge alle sollecitazioni della “vita da favola” che si era illuso di poter conquistare nella Grande Mela. O chi, come Angela B., madre, moglie e donna in carriera con l'identità da celare, scappa in America solo per pochi giorni all'insaputa della famiglia, per ricercare sé stessa e forse anche una nuova identità in un weekend di trasgressione a San Francisco.
Un viaggio tra i tanti volti del sogno italiano in America che si conclude con le “Cronache brevi anni Duemila”: quattro storie per mettere a fuoco il fenomeno delle giovani coppie che prima ancora di cominciare la carriera lavorativa scelgono gli Stati Uniti per dare origine alla propria famiglia, imparando subito “non a pretendere, ma a conquistare”. Non è la ricerca del successo o l'ambizione della ricchezza a spingere questi nostri connazionali a varcare l'oceano, ma la necessità di una via d'uscita “per avere un'esistenza dignitosa che nel nostro Paese non sembra possibile”.
In fin dei conti, è la stessa logica di fondo dei flussi migratori di un secolo fa.
Ma chi si imbarcava sui bastimenti con la valigia di cartone lo faceva per fuggire dalla miseria. Chi oggi cambia vita con un biglietto d'aereo ha invece una laurea in tasca e lo fa per scappare dalla precarietà di un sistema-Paese dove il talento e le capacità professionali rischiano di iscriversi a una perenne lista di attesa.
Elena Attala Perazzini, dall'altra sponda dell'Atlantico, ci apre gli occhi sul significato del “coraggio di partire” ma anche sul senso di irrequietezza e di insoddisfazione che si annida nello spirito dell'essere italiani oggi, giovani e non solo. E parlando del sogno americano, con tutti i suoi rischi e le sue contraddizioni, ci fa riflettere su un'Italia che ci sta espropriando il diritto di sognare.

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