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L’ho già scritto e lo ripeto: toglietemi tutto, ma non le mie mucchine della mostra-mercato del giovedì della Fiera Franca d’Autunno. Ci sono anche i cavalli e qualche somaro, ma le reginette della situazione sono loro. Sono tornato a vederle, regolarmente, questa mattina, attratto da questi mansueti animali come una calamita: anche quest’anno non sono riuscito a farla Franca.
Sono sempre là e sono sempre di meno - ma questa ormai non è una notizia - a guardare coi loro malinconici e curiosi occhi bovini chi le guarda dall’altra parte dello steccato e le inquadra con lo smartphone.
Perché questa è ormai la manifestazione tradizionalmente allestita in viale De Gasperi a Bassano: una fiera delle curiosità da fotografare, più che un mercato dove si combinano affari.
Foto Alessandro Tich
L’evento si svolge comunque con la liturgia di sempre: qua e là si vede ancora qualche allevatore col suo bel bastone col manico ricurvo e c’è ancora qualche mediatore che cerca di stimolare l’incontro tra la poca domanda e la non tantissima offerta.
C’è anche l’immancabile concorso del Bue Grasso - e guai se non ci fosse - con gli esemplari più massicci della fauna bovina, che fanno tanto Pamplona, rinchiusi nei loro recinti in attesa della proclamazione dei premi della giuria.
C’è soprattutto, in questa fase di gran ripresa delle manifestazioni nel post (?) Covid, tanta gente. Quasi nessuno è però qui perché deve comprarsi un cavallo o una manzetta.
E la maggior parte dei presenti si gode la mattinata partecipando all’immancabile congresso generale di Ontologia, dedicato al sacro rituale del Panino Onto.
Come sempre difatti, già abbondano le piadinerie, friggitorie e porchetterie della Fiera Franca che in questa anteprima del giovedì lavorano a manetta per rifocillare i presenti.
Per il resto, si ripetono le sempiterne scene di ambientazione del caso: il venditore di articoli da vestire che suona i campanacci per attirare la gente, l’immortale bancarella degli scopettoni col manico lungo quattro metri, i passanti coi fazzoletti al collo e coi cappellacci da buttero, i richiami ad alta voce tra gli espositori della mostra-mercato al cui confronto i versi delle balene rabbrividiscono.
È il luogo deputato degli incontri ravvicinati del tipo rustico, quelli che piacciono a me.
Mi ricordo ancora di quella volta, ormai un bel po’ di anni fa, che ero andato a fare il solito servizio sulla fiera del bestiame per la televisione. Intervistando un anziano allevatore, gli avevo chiesto come stavano andando le cose. E lui, con un gesto di rassegnazione, mi ha risposto bello schietto davanti al microfono: “Muldimo! Muldimo!”.
Scena muta da parte mia. Originario da altri lidi, non avevo capito un’acca di quello che mi aveva detto. E lui, percepita la mia difficoltà, si è chiarito e mi è venuto incontro ripetendo la sua affermazione con un’italianizzazione degna dell’Accademia della Crusca: “Mulgimo!”. Aaah…go capìo: mi aveva detto “Mungiamo”.
E cioè, applicando i sacri crismi dell’interpretazione del testo, il concetto espresso era il seguente: “Noi mungiamo e mungiamo, ma la situazione resta sempre la stessa.”
Che belle cose.
Toglietemi tutto dunque, ma non solo le mie mucchine: non voglio perdermi, inoltrandomi nella confusione della fiera, anche quest’aria sempre più rara di campagna, che profuma di stallatico, momentaneamente trasferita in città.
Per quanto mi riguarda, la Fiera Franca del Bestiame rappresenta ogni anno anche una sfida sul titolo da scrivere, che ovviamente deve essere diverso da quelli riguardanti le fiere degli anni passati.
Eccone alcuni, relativi alle mostre-mercato delle trascorse edizioni: “Bue Grasso e vacche magre”, “Urban Cowboys”, “Una mattina onta”, “Il muggito della crisi”, “Piccolo mondo antico”, “T’amo, o pio bove”, “La Fattoria degli Animali”. Fino all’ultimo, scritto appositamente per la fiera dell’anno scorso svoltasi ancora in periodo di pandemia e di obbligo di disinfettarsi le mani: “La Mucchina”.
Quest’anno ho intitolato questo articolo “I Vitelloni”. La fiera del primo giovedì di ottobre, a suo modo, irradia infatti un’atmosfera felliniana: di personaggi stravaganti, di visioni surreali, di memorie di un mondo del passato. Un vero e proprio Amarcord.
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