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Brassaï. L’occhio di Parigi

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Brassaï. L’occhio di Parigi

Luigi MarcadellaLuigi Marcadella
Giornalista
Bassanonet.it

Special report

Industria

Automotive in transito

Fim Cisl Veneto e ANFIA a convegno sui cambiamenti dell’industria automobilistica

Pubblicato il 18-04-2023
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Brassaï. L’occhio di Parigi

Transizione al motore elettrico, scarsità di materie prime, sostenibilità e soprattutto impatti occupazionali sulle filiere collegate all’automotive.
La rivoluzione della mobilità è già arrivata e il sistema industriale veneto si sta riorganizzando per farsi trovare preparato.
È questo il tema che ieri a Creazzo ha impegnato l’ultimo consiglio generale della FIM CISL del Veneto, unitamente ai consigli di Verona e Vicenza (“Vehicles Change. Quale direzione per la transizione dell’automotive?”).

Convegno FIM CISL Veneto (Creazzo)


«La strada è veramente segnata?
Qual è la giusta transizione, quella che tutela ambiente ed economia, pianeta e sviluppo tecnologico?», si è chiesto aprendo i lavori Nicola Panarella, segretario regionale della FIM CISL.
Le analisi dei metalmeccanici cislini, in aggiunta ai tradizionali ragionamenti sulle ricadute occupazionali di questo switch (passaggio) epocale dal motore termico a quello elettrico, si ricollegano alle tante scelte di politica industriale che il sistema Italia dovrà per forza di cose rivedere per giocarsi in prima linea la partita sull’elettrico. La prima sfida riguarda la produzione delle batterie, settore dove si sta concentrando la maggior parte degli investimenti e delle ricerche tecnologiche dei grandi player internazionali del settore (ma non solo evidentemente).

«Oggi si discute di gigafactory, enormi fabbriche il cui primato va all’americana Tesla con la prima costruita nel 2014 a Sparks, in Nevada.
L’Europa è diventata la regione a più rapida crescita per capacità costruttiva di batterie per veicoli elettrici, se si esclude la Cina. Fino a tre anni fa tale capacità era stimata ad un valore pari a 120 GWh entro il 2030, oggi la capacità annuale pianificata per il 2030 si attesta a 790 GWh, un aumento di oltre sei volte, sufficiente per la fabbricazione di quasi 15 milioni di veicoli elettrici puri.
Ad aprile 2023, SVolt Energy, produttore cinese di batterie, nato dalla collaborazione tra BMW e Great Wall Motor, ha dichiarato di voler espandersi in Europa e costruire fino a cinque nuove gigafactory per rifornire i propri clienti occidentali. Per quanto riguarda l’Italia, a marzo 2022 è arrivata la conferma di Stellantis per la realizzazione di una gigafactory a Termoli.
Nel programma previsto da ACC (Automotive Cells Company), joint venture formata da Stellantis, Mercedes e Total, si intende trasformare l’attuale stabilimento di Termoli in un nuovo impianto dedicato alla produzione di batterie, dismettendo gradualmente l’assemblaggio di cambi e passando, però, dagli attuali 2.100 dipendenti a circa 1.800 nel 2028. Inoltre, con un progetto per la conversione dell’ex sito Olivetti di Scarmagno a Romano Canavese è prevista la produzione di batterie a ioni di litio anche da parte di Italvolt, che ha previsto di partire dalla seconda metà del 2024, con l’impiego fino a 3 mila dipendenti per una capacità produttiva a regime di 45 GWh l’anno», ha osservato Nicola Panarella.
Tante opportunità industriali, ma al tempo stesso anche tanti rischi di perdere posti di lavoro preziosi lungo i vari passaggi di questa non semplice riconversione industriale.
Che la strada verso l’elettrico sia comunque segnata lo ha ribadito in maniera categorica anche Fabrizia Vigo, responsabile delle relazioni istituzionali di ANFIA (Associazione Nazionale Filiera Industria Automobilistica).

«È importante il lavoro congiunto di aziende, sindacati e governo, da fare camminando su due direzioni: da una parte supportare le imprese ad investire nelle nuove tecnologie per i veicoli da trasporto leggeri e dall’altro capire come aiutare i lavoratori delle imprese che potrebbero non trovare un’opportunità a seguito della transizione, riconvertendo le competenze in un settore diverso. Non tutti i Paesi hanno una tradizione manifatturiera come la nostra, abbiamo un’estrema necessità di definire strumenti veloci per il sostegno alla riconversione produttiva, valutando dove sono collocate le imprese dell’automotive, e in Italia sono prevalentemente al Nord».

La lotta politica – declinata in questo caso sul fronte industriale – all’interno dell’Unione Europea per l’addio all’endotermico come detto è ormai segnata, non si torna più indietro, nonostante le spinte del governo italiano per rendere almeno più flessibile la transizione.
Come ha spiegato Fabrizia Vigo nel suo intervento: «L’Italia ha cercato di rimandare il percorso dell’UE per la dismissione al 100% del motore endotermico, che pesa per più del 25% sulle intere emissioni.
L’Italia è sempre stata pragmatica nell’approccio all’abbandono dei carburanti fossili, purtroppo mantenendo una posizione isolata. Germania, Spagna, Repubblica Ceca hanno assecondato la scelta delle istituzioni europee.
Nell’ultimo mese e mezzo però anche la Germania si è resa conto degli impatti sociali ed economici della transizione. Si sta cercando di capire se c’è la possibilità di mantenere una parte dei veicoli con “motorizzazioni alternative”, numeri che comunque sarebbero marginali per il settore industriale». Interessante il contributo portato al convegno dei metalmeccanici della Cisl da Francesco Naso, segretario generale di MOTUS-E (Filiera Mobilità Elettrica Automotive). «Va disegnato un sistema di supporto alla transizione, dimensionato da una parte sulle aziende più grandi che vanno trasformate, e dall’altra sulle tante piccole imprese competitive che devono crescere dimensionalmente e “risalire” la catena del valore.
La formazione è urgente: servono almeno tre anni per formare un nuovo lavoratore, lo stesso tempo che serve per la conversione delle competenze di un lavoratore di un altro settore. Non esiste un percorso univoco sul tema dell’elettrico nelle scuole: non si trovano neodiplomati specializzati nel mondo dell’elettronica ed elettrotecnica con declinazione all’elettrico automotive. Per questo alcune imprese hanno deciso di spostare la produzione in regioni dove è più facile far coincidere il grado di scolarizzazione con i loro prodotti.
Il Fondo Nuove Competenze, finanziamento che dovrebbe per natura occuparsi di re-skilling o up-skilling, è un’opportunità in questo senso, ma con rammarico noto che lo strumento è stato utilizzato come ammortizzatore sociale alternativo. Nel programma del FNC non c’è una competenza specifica sulle batterie, pertanto con questi fondi non è possibile fare investimenti seri». La velocità con cui l’automotive sta investendo in Italia sulle tecnologie di elettrificazione dei veicoli è comunque molto elevata, c’è molto spazio per l’ingegno italiano secondo il punto di vista del segretario generale del MOTUS-E. «Devono uscire dalle nostre università persone molto preparate sul tema, dobbiamo importare competenze, al contrario di ciò che sta avvenendo.
Va messo a valore il percorso degli ITS e delle scuole professionali, mettendo in campo un programma unico per la formazione del tecnico dell’elettrificazione dei veicoli, usando i fondi del PNRR. La scuola può diventare fulcro di formazione anche per i lavoratori, per esempio quando non si fa lezione al mattino per gli studenti. Sono troppo poche le 20.000 persone all’anno formate negli ITS: solo per il tema dei punti di ricarica andrebbero installati più di 3,5 milioni di colonnine. Sul solco del piano RepowerUE, che prevede di raggiungere l’80% della produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili, si sviluppa così il dato potenziale per la creazione di almeno 500.000 nuovi posti di lavoro». I numeri sul comparto dell’automotive sono stati invece riepilogati da Ferdinando Uliano, segretario nazionale della FIM CISL con delega all’Automotive. Un settore che cuba circa il 5% del Pil e che sommato all’indotto dei servizi dell’auto (dalle concessionarie alle autostrade) fa raggiungere un volume pari al 25% del prodotto interno italiano.

«Tutte le case automobilistiche hanno già deciso che nel 2030 smetteranno la produzione di auto con motori tradizionali, hanno già fatto una scelta chiara, non possono attendere lo switch nel 2035. Il mondo della mobilità individuale sta andando in quella direzione: in Italia il gruppo Stellantis intende arrivare a produrre 5.000.000 di veicoli elettrici già nel 2030, ed è uno dei gruppi più indietro rispetto alle altre case». Cosa abbiamo “dentro” alle nostre aziende vicentine, si è chiesto invece Stefano Chemello, segretario della FIM CISL Vicenza.

«La transizione energetica colpisce ma non in maniera così impattante. Acciaierie, fonderie di seconda fusione sono coinvolte marginalmente dalla transizione rispetto al mondo dell’automotive. Qui abbiamo una miriade di imprese che si occupano di componentistica legata all’energia, a partire dai sistemi di trasporto fino ai produttori di dispositivi elettrici che vanno efficientati».
Soprattutto in questi ultimissimi anni il tema delle trasformazioni è sempre strettamente legato al concetto di emergenza: cambiamenti climatici, energia, demografia, ha osservato in chiusura Gianfranco Refosco, segretario generale della CISL Veneto.

«Il problema più grave sarà la carenza di personale e di conseguenza trovare le giuste competenze per essere inseriti correttamente nel mercato del lavoro.
L’atteggiamento sindacale deve essere proiettato in avanti, evitando di guardare indietro, il passato rappresenta un mondo completamente diverso che non tornerà».

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