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Quando una serie è più efficace della realtà
L’Unione Europea ha in mente una surreale novità per il settore del vino. Si potrebbe anche ridere della notizia che andremo a raccontarvi, non foss’altro che questa idea potrebbe penalizzare fortemente i produttori italiani se dovesse realmente andare in porto. Va premesso che l’Europa in tema di agricoltura è ormai molto più determinante dei singoli Stati nazionali e che proprio in questi mesi sono in corso i negoziati per mettere nero su bianco la nuova Politica Agricola Comune europea, che dal 2023 al 2027 dovrebbe stanziare qualcosa come 350 miliardi di euro per il settore agroalimentare. La novità che circola a Bruxelles riguarda il dibattito concernente il vino “analcolico”, ovvero un intruglio con un quantitativo di alcol molto basso che nel gergo tecnico è chiamato anche vino dealcolato. Vi lasciamo immaginare il clamore che questa proposta sta portando tra i vignaioli: qui da noi in Veneto è meglio giocare con i santi che toccare il vino. Anche perché il vino veneto e vicentino, Covid permettendo, muove un indotto da capogiro.
In Italia oggi si producono quasi 50 milioni di ettolitri di vino con un valore aggiunto nell’ordine dei 4,3 miliardi di euro, più del triplo, per fare una comparazione temporale, del 1986 quando gli ettolitri prodotti erano 77 milioni per un valore aggiunto di “soli” 1,3 miliardi di euro. Il nostro Paese detiene inoltre il primato in Europa per numero di DOP/IGP, con oltre due terzi della produzione nazionale certificata.
I viticoltori sono ovviamente sul piede di guerra, come ci anticipa Martino Cerantola, originario di Tezze sul Brenta e presidente della Coldiretti vicentina.

Martino Cerantola (Coldiretti)
«Non si può chiamare vino un prodotto annacquato, se si aggiunge acqua dobbiamo chiamarla bibita. Ancora una volta si tenta di danneggiare il made in Italy e di mettere a repentaglio il lavoro dei nostri viticoltori. Un danno enorme anche per le grandi produzioni vicentine e bassanesi che rappresentano marchi conosciuti e apprezzati a livello internazionale. Vogliono inutilmente creare problemi che proprio non ci volevano dopo la pandemia».
Anche il lettore si chiederà giustamente: ma con tutti i problemi che l’Europa deve affrontare che bisogno c’è di andare a mettere il naso sulla gradazione dei vini? Si ipotizza della preoccupazione di alcuni Paesi del Nord Europa (che notoriamente sono straordinari produttori di vini) in merito agli effetti delle calorie e della gradazione del vino sulla dieta e sulla salute dei suoi abitanti. Alcune analisi vanno oltre e spiegano che molti “big” del settore tenterebbero la strategia del vino senza alcol per aggredire quei Paesi che, per questioni religiose e sociali, non hanno ancora consumi alcolici significativi (e perché non si prodigano allora per esportare il chinotto che non dovrebbe calpestare la sensibilità di nessun precetto socio-religioso?).
«Il rischio è quello di creare una forte confusione nel consumatore. Pensiamo al nostro meraviglioso Vespaiolo di Breganze: che senso avrebbe produrne di serie a e di serie b con poco alcool? Se dipendesse dalla salute dei giovani allora stiamo sbagliando strada: la maggior parte dei giovani è molto preparata su cosa e come bere. E come Coldiretti diamo un messaggio chiaro: bere poco e bere bene».
In supporto dei nostri viticoltori dovrebbe esserci in primo piano anche la politica, visto che siamo il primo produttore al mondo di vini.
«C’è molta preoccupazione – conclude il capo della Coldiretti vicentina – perché sembra l’ennesimo tentativo europeo di mettere in difficoltà le tipicità italiane. La politica nazionale e locale è dalla nostra parte. Gli agricoltori italiani sono da sempre in prima linea per favorire i consumatori, la qualità e la specificità dei nostri prodotti».
Almeno sul vino possiamo dire compatti all’Europa: non praevalebunt.
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