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Brassaï. L’occhio di Parigi

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Brassaï. L’occhio di Parigi

Laura VicenziLaura Vicenzi
Giornalista
Bassanonet.it

Primo piano

Teatro

Il teatro di B.Motion indaga i grandi nomi della letteratura

La prima giornata di B.Motion Teatro ha parlato il linguaggio del contemporaneo e della letteratura, con due spettacoli ispirati all'opera di Kafka e di Majakovskij

Pubblicato il 26-08-2021
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Brassaï. L’occhio di Parigi

La serata della prima giornata di B.Motion Teatro ha parlato il linguaggio del contemporaneo ma anche della letteratura, e ha visto in scena due spettacoli: il primo in Sala-Teatro Da Ponte, dove il performer Lorenzo Gleijeses è stato l’interprete di Una giornata qualunque del danzatore Gregorio Samsa, diretto da Eugenio Barba e ispirato a La Metamorfosi, di Franz Kafka; il secondo al Teatro Remondini, dove in Il defunto odiava i pettegolezzi la compagnia Menoventi ha indagato il mistero della morte del poeta e drammaturgo sovietico Vladimir Majakovskij.
Partendo a ritroso e guardando all’indietro, come ci hanno abituato a fare gli spettacoli di Operaestate in queste recenti giornate, lo spettacolo portato sul palco da Menoventi (una coproduzione della compagnia con Ravenna Festival e Operaestate Festival Veneto) ha proposto una rielaborazione scenica ideata da Consuelo Battiston e Gianni Farina dell’omonimo romanzo di Serena Vitale (edito da Adelphi, 2015).
Consuelo Battiston ha indossato i panni della donna fosforescente inviata dal secolo futuro per indagare le circostanze controverse della morte del poeta, interpretato da Mauro Milone; sul palco insieme a loro Tamara Balducci, Leonardo Bianconi, Federica Garavaglia, a dare vita a personaggi che furono tra i più vicini alla vita domestica e poco addomesticata di Majakovskij, tra questi un ruolo importante lo hanno avuto le donne, come Lilja Brik e Veronika Polonskaja.

Lorenzo Gleijeses sul palco della Sala Teatro Da Ponte per B.Motion

“Il defunto odiava i pettegolezzi”, come ebbe modo di scrivere Majakovskij nella sua lettera di addio citata dagli attori, ma è la sua vita, con alti e bassi non da superuomo, più che la sua opera che invece lo è, ad animare i quadri che si succedono sul palcoscenico programmando orari e date che precedono la morte omicidio o suicidio, quadri redivivi e anche riesaminabili in loop al comando della donna del futuro. Nei dialoghi e nelle messe in scena, un alternarsi di porte girevoli che si affacciano su diversi moventi e dinamiche che potrebbero dire la verità sulla morte del poeta, una su tutte riservata al finale — che trattandosi di uno spettacolo che insegue la formula del giallo non va svelato.
Lo sguardo rivolto a frammenti di vita di tanti "grandi" non è sempre a favore dell’avvicinamento alla loro opera; accade a volte leggendo le loro corrispondenze private di restare delusi, come avviene con il carteggio tra Majakovskij e Lili Brik; di più, il lucore di un’epoca rivoluzionaria e di un ambiente controverso come il regime sovietico fatica a rivelare in un identikit dei connotati chiari, allestito sotto i riflettori del presente o anche le luci laser del futuro al massimo restituisce una temperie che comunque nello spettacolo si riesce a respirare.
Una vita sotto i riflettori è anche quella di Gregorio Samsa, danzatore ossessionato e ossessivo che sul palco della Sala Da Ponte si muove in un quadrato bianco che diventa anche stanza di casa, permettendo di seguire per intero la “giornata qualunque” del protagonista dello spettacolo.
Interpretato dal performer Lorenzo Gleijeses, che danza e si muove nel suo perimetro vitale instancabile e indistruttibile per un’ora e mezza, senza requie, l’eroe ideato da Kafka fa i conti con una vita votata in modo estremo alla danza e non capita, non compresa da chi gli vive accanto, o meglio, gli è assente accanto.
Le voci poco umane del regista-coreografo prima, del padre, della fidanzata e della psicologa poi, sono l’unico contatto col mondo degli altri, un mondo immerso nel buio a cui Gregorio si sente ed è alieno, e provengono da segreterie telefoniche, cellulari o microfoni di scena. Nessuna vita se non quella artificiale gli danza attorno — quasi intenerisce la carezza che gli va a dare un aspirapolvere bianco di quelli rotondi e programmati quando per un momento finisce fermo a terra, si spera finalmente esausto. La diversità di Gregorio, animato da un interesse spasmodico per la dromoscopia, ferito dalla deformità da insetto di un sogno incompreso, perciò malato, gli impedisce di fermarsi, di smettere di ripetere ossessivamente figure e movimenti alla ricerca di una perfezione che insegue da sempre, un miraggio-sole che appare sullo schermo verso il quale si lancia in corsa e poi scompare. Un monitor tv portato sulle spalle dietro lo stesso schermo aveva mimato poco prima il masso di Sisifo della fatica.
La ricorsività, il gioco delle variazioni e l’incompiuto sono toni attesi, se ci si ispira a Kafka, come i temi del rigore e della solitudine.
Belle, le musiche originali e le partiture luminose a cura di Mirto Baliani.
Una prova di teatro fisico, se piacessero le definizioni, che non sa di rappresentazione ma di vita vissuta, per il bravissimo attore e performer.

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