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Laura Vicenzi
Giornalista
Bassanonet.it
Primo piano
Modalità lettura 2 - n.1
Sugli schermi e in libreria imperano i sogni di gloria di aspiranti perfetti padroni di casa. Su altri scaffali: una recensione di Cortesie per gli ospiti, romanzo di Ian McEwan
Pubblicato il 24-01-2021
Visto 1.710 volte
Hanno in copertina più o meno la stessa tonalità di celeste, Cortesie per gli ospiti di Ian McEwan e il libro omonimo uscito a fine 2020 firmato dal trio che impera su Dplay composto da Csaba Dalla Zorza, Diego Thomas e Roberto Valbuzzi, ma la trinità del galateo 2.0 a casa e in tavola, che preso il testimone da altre terzine governa i sogni di gloria di aspiranti perfetti padroni di casa, è ben lontana da esserne apparentata.
Il romanzo di McEwan, uscito nel 1981 e arrivato in Italia nel 1983, in questa riedizione (Einaudi Super ET, 2015, traduzione di Stefania Bertola, 134 pagine, 10 euro) è stato illustrato dall’artista Antonello Silverini, che ha scelto di presentare il libro con una gondola senza gondoliere navigante alla deriva con a bordo due passeggeri, un uomo e una donna. In realtà Venezia non è mai nominata e a dire il vero risulta riconoscibile ma straniante, mischiati i tratti con luoghi-cartolina di Spagna e Grecia; è descritta a scorci, col suo Lido, i leoni in pietra, i vicoli scuri. Venezia, ma forse più che la città l’atmosfera salmastra e incerta del luogo lagunare, fa da sfondo a una storia labirintica, dove protagonista è lo smarrimento di orizzonti di una coppia inglese che si perde e si ritrova e si riperde per sempre, in questa vacanza-incubo lontano da casa. Raccontare la trama di un romanzo in una recensione è sempre poco corretto, se il romanzo ha dei risvolti gialli, o noir, dovrebbe essere attività da proibire per statuto, quindi eccola in qualche scatto: Colin e Mary, una coppia di turisti britannici, stanno insieme da sette anni; lei ha lasciato a casa i figli con l’ex marito; i due nel loro vagabondare per la città hanno la ventura di incontrare Robert e Caroline, quest’ultimo un anfitrione che ricorda vagamente il Grande Gatsby, se non altro per l’amore per il lusso, l’indole da burattinaio e il segreto nero che custodisce. La mattina, nell’acquario della loro camera d’albergo, di rito Colin e Mary ascoltano un vicino cantare a squarciagola un brano celebre de “Il Flauto Magico”: sembra che anche loro, come i protagonisti dell’opera, restino a sonnecchiare o ad amoreggiare o escano come irretiti da qualcosa di vago e di non controllabile. Nello spostarsi in città, è frequente che scordino o perdano mappe e piantine; in camera parlano per ore e ore dei sogni che hanno fatto la notte o di ricordi lontanissimi, che appartengono all’infanzia e alla prima giovinezza, spesso entrambi storditi dal fumo o dall’alcool, o dal sonno, quasi a cercare una compenetrazione che renda indistinguibili l’una dall’altro. Che questa sorta di simbiosi in cui sembrano vivere voglia rappresentare il segno incontrovertibile di un grande amore McEwan non lo dice, anzi, nei suoi effetti pare tutt’altro. Che Colin sia bellissimo, efebico, si scopre curiosamente un po’ avanti, all’inizio ha i contorni un po’ sfocati del Sebastian del film Improvvisamente l’estate scorsa, e fa parte del gioco architettato dall’autore — riferimenti che chiamano in causa Thomas Mann e il suo Morte a Venezia, che appaiono in giro nelle recensioni di questo romanzo, sono del tutto fuori luogo.
Seconda opera letteraria di una lunga serie per lo scrittore britannico, da Cortesie per gli ospiti ormai trent’anni fa è stato tratto un film (omonimo anch’esso) sceneggiato nientemeno che da Harold Pinter e diretto da Paul Schrader, con Ruper Everett e Natasha Richardson a interpretare Colin e Mary. La cornice di Venezia nel prodotto per il grande schermo è finalmente resa in tutto il suo splendore e arriva ad aggiungere bellezza e raffinatezza a un racconto che vorrebbe riuscire a dire tante cose, molte collocate in sottotraccia e altre illuminate con una luce da iperrealismo, troppo per una buona messa a fuoco.

dal film Cortesie per gli ospiti (1990)
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