L’albero dei libri
In biblioteca è spuntato un albero di Natale da arricchire con foglie-dono e consigli di lettura

l'albero dei libri spuntato in Biblioteca
È un albero di Natale particolare, addobbato di fogli di carta, quello spuntato nell’atrio della Biblioteca di Bassano. L’albero dei libri non ha doni ai suoi piedi, ma ne porge uno suo: gli utenti della biblioteca sono invitati a scrivere su pagine di vecchi volumi il titolo di un libro che si augurano di trovare a Natale sotto l’albero, o di cui vogliono consigliare la lettura ad altri: idee e i suggerimenti dei lettori contribuiranno a creare una bibliografia ideale che sarà raccolta e messa a disposizione di tutti al termine delle festività natalizie.
Volendo si può contribuire anche virtualmente all’iniziativa cominciando da qui.
Il libro che appenderebbe all’albero chi scrive è questo: El especialista de Barcelona, di Aldo Busi. Chi l’ha letto certo avrà gioito nel vedere comparire uno dei Capricci di Goya in copertina, ma che epifania sarebbe stata, non solo per Busi, se Repulisti avesse potuto scriverlo in bella calligrafia, con tanto di vischio e licheni a ghirlanda, come titolo del suo libro: il “dolore per niente” non ce l’ha fatta a strappare gli artigli ai mostri, ma che bello il fatto che Busi ci giochi, che li tinga capriccioso con lo smalto color prugna e che, diavolescamente, gli abbia dato cantando queste 368 pagine una bella limatina.
“C’erano una volta gli altri… “ è l’incipit del romanzo, e subito lo segue un ritornello canticchiato ad alta voce, perché disperdere al vento la memoria di questi altri è perderli uno a uno e alcuni tutti insieme, e poi perdere se stessi, per vivere sempre come morti da vivi e quindi in pace, e allora perché non cominciare da subito? Tra gli altri c’è anche una mamma “ossessa ossessionata” e amata infinitamente che non si dimentica di suo figlio, specialmente di notte – lava ancora lei i teli bianchi dell’oblio, li stende tra i sogni – ma soprattutto tanti uomini conosciuti e diventati presto, quasi subito, figure senza nome, sagome intercambiabili contrassegnate da numeri senza priorità appena i loro originali in 3D avanzavano ordinarie (e mediocri, scontate, rituali, liturgiche, non sincronizzate… ) richieste di obliterazione. Cosa sarebbe successo se qualcuno di loro fosse rimasto invece che un senza nome uno sconosciuto – un soggetto posto un po’ fuori fuoco, a distanza affettuosa – non è dato saperlo a chi prova il tipo di amore che prova lo scrittore per la sincronicità, o a chi nell’abbraccio di un uomo sente solo una morsa che imbriglia il desiderio di abbracciare l’Uomo intero.
Il romanzo è ambientato in una Barcellona che è teatro del “precario presente dell’umanità”. I personaggi, senza scendere nel dettaglio, sono di due tipi: quelli veri, a cui si può attribuire non solo nome e cognome ma un’identità, e quelli ingegneremente modificati, nati per partogenesi, ma non meno veri, a cui la scrittura dona una vita circoscritta in un tempo e in uno spazio narrabili, quindi resa umana, e insieme un’esistenza immortale: uomini, donne, uomini-donne, uomini-animali, donne-oggetto, cose-persone che fanno parte dell’Olimpo dello scrittore e che animano le sue storie. L’especialista, Melchor, la Fata della candeggina, la barbona, Bartolomé Salieri… sono figure create ad arte che appartengono a una sagrada familia deiforme e insieme umanottera che vive anche in altri libri dello scrittore, e che abita con lui le parentesi dei suoi pensieri.
Il barrito d’elefante che fa la sua comparsa tra le pagine di un discorso che ha come tema centrale la condizione umana e la sua caducità (è una foglia di platano – o forse un foglio? – l’interlocutore privilegiato dello scrittore protagonista del romanzo) è molto intonato. Busi sa dar voce con maestria a oggetti, vegetali, animali, alla natura tutta come ai caratteri umani. Non stupisce affatto che l’unica Trinità declamata con devozione “santa” sia quella composta a mazzetto da salvia, rosmarino e prezzemolo; che il cuore più bello e sano, privato dei gas tossici che dardeggia a ogni battito, sia il non-cuore della cipolla. Un tappeto di violette, come il ballo improvvisato da alcuni giovani sotto la sua finestra, commuovono lo scrittore alla stessa maniera, sono fermo immagine d’autore rigorosamente privi di copyright, sbobinabili a beneficio di tutti: raccontano l’incontro con la vita e la sua bellezza. Ma Busi ci fa ben vedere anche i mostri. Sono tanti e in parte non quelli che ti aspetteresti: mostruosa non è la morte, non lo è la bruttezza, mostro è chi rinuncia a essere civile. E allora la lista si allunga e invischia ogni ambiente come una ragnatela: sono mostri i figli dei vampiri che sapendo il male che perpetuano non si nutrono del loro stesso sangue, i vecchi che inoculano nei giovani i germi della nostalgia, le creature falsìte, i sicari che agiscono nell’ombra, chi fabbrica tare invisibili come i produttori di amianto, i piccoletti guerrafondai con la sindrome dello psiconano (e qui, come non intonare un “A mille ce n’è… ).
Che lotta impari per gli amanti civili che vogliono portare in salvo sé e i tonni cari!
Da apporre in foglia sull’albero. Buona lettura.
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