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Brassaï. L’occhio di Parigi

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Brassaï. L’occhio di Parigi

Laura VicenziLaura Vicenzi
Giornalista
Bassanonet.it

Primo piano

Libri

¡Viva maria!

Alla libreria La Bassanese venerdì 30 marzo la serata inaugurale degli Incontri senza censura, ospiti Alessandro Zaltron e Stefano Zanchetta, autori del libro, e il critico Marco Cavalli

Pubblicato il 29-03-2012
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Brassaï. L’occhio di Parigi

Il titolo in copertina fa subito pensare a una devozione un po’fanatica, e ci si aspetta di trovare all’interno del libro un’apologia dello sballo da cannabis o anche un inno all’insurrezione popolare, in questo caso rivolta contro il proibizionismo, se si guarda alla Storia. In effetti, in ¡Viva maria! Memorie di un coltivatore di marijuana, di questi temi si parla, ma né i cultori dello sballo a tutti i costi, né le numerosissime associazioni che in Italia chiedono, a vario titolo, la legalizzazione della coltivazione della canapa, potranno farne un manifesto. Nel libro, l’immagine raffigurata dalla foto di copertina appare stampata al contrario, l’uomo e il suo sguardo sono sempre in primo piano, la selva di foglie di marijuana è solo uno sfondo che sta dietro. ¡Viva Maria! contiene un monologo autobiografico di Stefano Zanchetta, un personaggio dal passato alquanto rocambolesco che ben si presta a una narrazione letteraria. Il racconto è stato raccolto e messo in prosa dal giornalista Alessandro Zaltron sulla base di una serie di interviste e di colloqui iniziati all’epoca della detenzione di Zanchetta – si parla del 2004 e il povese era stato imprigionato in seguito al ritrovamento da parte delle forze dell’ordine di una vasta coltivazione di piante di marijuana in un suo appezzamento sulle pendici del Monte Grappa. L’hombre marijuano, come lo ribattezzò una vecchia cubana, traducibile nel “lazzarone” qui da noi, va a memoria e racconta una vita avventurosa condotta sempre di corsa, a volte anche oltrepassando i limiti imposti dalla norma, di sicuro quelli della normalità. Dalla presentazione di copertina: “Ex chierichetto, parà della Folgore, guardiano di una miniera di rubini in Tanzania, turista non per caso in Centroamerica, bodyguard di giudici e politici italiani, testimone di alcuni misteri di Stato. E inoltre: mistico a Pantelleria, raffinato sommelier e ristoratore, e ora conduttore di una fattoria ecologica modello in Veneto”. La parabola è molto ampia per una vita sola, soprattutto se a tutte le esperienze raccontate si deve aggiungere poi anche un minimo sindacale di vita relazione, il matrimonio, le donne, i figli, e anche qui l’hombre che racconta non va al minimo. Quando Zanchetta vuole dare una definizione di sé spesso utilizza la parola “guerriero”, leggendo si intuisce che la sua guerra non ha per avversario la legge, o il potere, il nemico principale da sconfiggere sembra più la mediocrità. Lo dichiara tra le righe ad esempio nel racconto della costruzione della sua casa, una casa con l’anima progettata e realizzata con un fai da te ostinato e orgoglioso: lo avvilisce la resistenza degli artigiani a sperimentarsi in lavori inusuali, lo esaspera chi preferisce mettersi alla sega e alla pialla a produrre oggetti in serie perché gli provoca uno scompenso capire che cosa potrebbe fare con l’arte che ha in mano. Incuriosisce trovare nel libro di un narratore così – uno che ha rischiato di morire in Africa di malaria, che ha pescato corallo nero in acque infestate dagli squali, che ha girato il mondo cercando emozioni e anche rogne, che anche a Bassano non ha esitato a tirare fuori un machete per minacciare chi era andato a chiedere il pizzo nel suo ristorante – l'affermazione che ciò che gli fa davvero paura in realtà è la solitudine, e si capisce che non parla dei periodi di “isolamento” che ogni tanto trascorre a Pantelleria. Un’altra cosa che di sicuro non gli piace è la perdita di dignità, il disonore, lo dice chiaramente raccontando di un’avventura amorosa, ma è un tratto che emerge spesso in filigrana nel testo e che testimonia una lontananza viscerale dalla raffigurazione dello sballato. “Il problema non è quello di essere rifiutato, ma frainteso”, si legge nell’ultimo capitolo, una narrazione come questa allora può servire, per discutere e per lasciare a memoria.

Stefano Zanchetta

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