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Alessandro TichAlessandro Tich
Direttore Responsabile
Bassanonet.it

Politica

Si Salvini chi può

La débâcle della Lega al voto regionale in Sardegna, la crescente fronda della Lega nel Veneto in rivolta contro il segretario federale e le possibili ripercussioni del momento di confusione leghista sul voto bassanese

Pubblicato il 28-02-2024
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Guardate la foto che ho scattato cinque anni fa e che ho ripubblicato per questo articolo.
L’ho recuperata dall’Eldorado della Memoria che corrisponde all’archivio degli articoli di Bassanonet.
Si vede Matteo Salvini sul palco di piazza Libertà a Bassano del Grappa durante il comizio che tenne il 14 maggio 2019 per la campagna elettorale del centrodestra a supporto della Lega in corsa per le europee e a sostegno alla coalizione per le amministrative che aveva candidato a sindaco la leghista Elena Pavan. Nella foto il segretario federale della Lega alias Lega per Salvini Premier, ovvero “Il capitano” per gli aficionados, compare con il pugno chiuso alzato verso il cielo, un po’ alla Che Guevara de noialtri, ma per quanto curiosa si tratta solamente di una fortuita combinazione.

Foto Alessandro Tich - archivio Bassanonet

Come avevo riportato nell’articolo dell’epoca, intitolato “Salvini Night Fever”, il segretario federale aveva acceso gli animi della metà piazza presente con tutta una serie di uscite delle sue, compresa la sua dichiarazione per Pavan sindaco: “Aspettiamo la liberazione di Bassano. Voglio vedervi tutti festeggiare a Milano il 26 maggio, poi ci troviamo qui a festeggiare sul Ponte.”
Nella foto, dietro a Salvini, si riconoscono bene alcuni notabili leghisti presenti quella sera sul palco: la allora europarlamentare e oggi senatrice della Lega Mara Bizzotto, in stato di estasi, la allora ministro degli Affari regionali e delle Autonomie Erika Stefani che applaude, il presidente del consiglio regionale Roberto Ciambetti.
C’era anche Luca Zaia, per la cronaca, ma non è entrato nell’inquadratura.
Era il momento dell’ovazione generale conclusiva dopo il discorso in piazza del Grande Capo, poi seguito dal rituale idolatrico di una lunga coda di persone, tutte in fila per farsi fotografare o per farsi un elettrizzante selfie-ricordo con l’Uomo della Provvidenza.
A quel tempo Salvini era anche il vicepremier del governo pre-Covid gialloverde Conte I, esperienza che avrebbe poi fatto concludere quell’estate a colpi di mojito al Papeete.
Ma in quel maggio del 2019 la Lega - che alle politiche del 2018 era stato il partito più votato a centrodestra con un esito superiore al 17% - andava con il vento in poppa e aveva ancora il Paese in mano, trainando e trascinando a catena anche l’esito del voto amministrativo a Bassano del Grappa.
All’interno della percentuale padano-bulgara di coalizione del 61,40% che aveva fatto eleggere trionfalmente Elena Pavan al primo turno, la Lega-Salvini Premier aveva conquistato da sola il 29,41% dei consensi, surclassando e anzi decuplicando il misero 2,97% dei voti ottenuto dai Fratellastri alleati, vale a dire Fratelli d’Italia-Giorgia Meloni.
Era il magic moment della Lega per Salvini Premier che sempre nel 2019, in concomitanza con il voto delle amministrative, aveva “fatto sbrego” alle europee con il 34,3% delle preferenze.
Erano appena cinque anni fa, ma sembra la sceneggiatura di un film sui dinosauri.

Febbraio 2024. Salvini è nuovamente vicepresidente del Consiglio dei Ministri, questa volta del governo Meloni. Ma da tempo la sua leadership di partito è stata messa in discussione, in primo luogo negli ambienti leghisti del Veneto.
Oggi la Lega per Salvini Premier deve guardarsi allo specchio dopo la clamorosa débâcle del voto regionale in Sardegna, dove il centrodestra ha perso e dove la Lega è crollata al 3,7%. Molto più di un campanello di allarme, rispetto ai sondaggi che già la davano in forte calo. Per il resto degli strascichi di questa rumorosa sconfitta, che ha fatto infuriare la Giorgia, vi lascio alla dovizia di particolari delle cronache nazionali.
Ma proprio a seguito del responso delle urne sarde, è iniziata in Veneto la levata di scudi sullo stato dell’arte della Lega secondo Matteo, dando vita a una corrente di pensiero alla “si Salvini chi può”.
Il capopopolo dei leghisti veneti anti-salviniani è l’assessore regionale Roberto Marcato, padovano di Piombino Dese, soprannominato “il bulldog della Liga Veneta”, che da due anni a questa parte non le ha mandate a dire contro i quartieri alti di via Bellerio a Milano e che l’anno scorso è stato gentilmente silurato dalla corsa alla segreteria regionale del partito.
È stato lui, sabato scorso in assemblea a Treviso e quindi ancora prima del voto nell’isola, a dichiarare che “serve un nuovo segretario federale” perché quello attuale “ha il fiato corto”. Lo stesso Marcato, come riporta il Mattino di Padova, ha ancora detto in assemblea, strappando svariati applausi, che “si deve togliere il nome di Salvini dal simbolo”.
Con lui anche il collega di giunta regionale Federico Caner che ha affermato in quell’incontro la necessità di una nuova linea politica ed un “critico della prima ora” come l’europarlamentare leghista trevigiano Gianantonio Da Re detto Toni.
Il timore generale e motivato dei dissidenti veneti non è solo quello di una nuova sonora sconfitta elettorale alle imminenti europee ma anche nel voto nei Comuni, senza contare le elezioni regionali in Veneto dell’anno prossimo.
Come ha dichiarato sempre Marcato dopo il voto in Sardegna, intervistato da La Repubblica:
“Si palesa quanto dico da mesi. Serviva una riflessione profonda quando abbiamo avuto le prime avvisaglie pesantissime di una inversione di rotta: mi riferisco alle sconfitte clamorose a Vicenza, Padova e Verona.”
Ed è qui, egregi lettori, che le possibili ripercussioni del momento di confusione leghista entrano di diritto nel voto amministrativo del prossimo 8 giugno a Bassano del Grappa.

C’era una volta la Lega di Bassano del Grappa, che forte del quasi 30% alle amministrative del 2019 era anche il partito di maggioranza relativa della maggioranza comunale, cosa che oggi non è più dopo la fuga di tre consiglieri in altre direzioni, chi per dissidio sulla questione di San Lazzaro e chi attratto dal canto delle sirene del partito della Meloni.
C’è oggi una Lega di Bassano del Grappa in crisi di rappresentanza.
Non può più fare la voce del padrone come cinque anni fa, per manifesto calo dei consensi nazionali, e deve contendere la leadership di coalizione con i Fratelli.
Non può neanche decidere in casa propria perché i giochi sulla candidatura a sindaco del centrodestra a Bassano si fanno in campo neutro, a livello di coordinamenti regionali dei partiti, in quel di Roma.
Ancora lo scorso 19 febbraio, e cioè il lunedì della settimana scorsa, il segretario leghista cittadino nonché assessore comunale Andrea Viero aveva avvisato Fratelli d’Italia che “se nell’arco di qualche giorno non si dovesse arrivare ad una soluzione unica” la Lega sarà pronta a partire per conto proprio “con un programma elettorale chiaro e una lista di candidati”.
Non è chiaro che cosa si intenda per “arco di qualche giorno”, fatto sta che da allora sono trascorsi quasi dieci giorni e non si è mosso ancora nulla.
La Lega a Bassano non è neppure più monolitica come nel 2019.
La base è divisa sul nome di Nicola Finco, dato come papabile candidato sindaco di Bassano in quota leghista ma non gradito anche a una parte di FdI Bassano.
E una componente dei leghisti in riva al Brenta, comprendente anche qualche nome importante, guarda invece con favore alla riconferma della candidatura del sindaco uscente Elena Pavan, fino adesso scaricata dai quartieri alti regionali della stessa Lega ma non aliena da un possibile e clamoroso repechage a capo della coalizione.
Il nome di Nicola Finco risulta divisivo per gli stessi equilibri interni della Lega nel Veneto, non correndo politicamente buon sangue tra il vicepresidente del consiglio regionale e il governatore più amato d’Italia Luca Zaia.
Proprio Zaia poi, avendo affermato sempre in assemblea a Treviso che “la Lega Nord mi piaceva di più” ha lanciato a sua volta un chiaro messaggio sulla non elevata popolarità (uso un eufemismo) della leadership salviniana.
All’interno della Lega, quindi, tira aria di resa dei conti a più livelli e non è certamente la condizione ideale per presentarsi agli elettori con la necessaria e soprattutto convincente dose di unità.
Nel caso in cui a seguito dei tavoli provinciali e delle trattative superiori la montagna di centrodestra non partorisse altro che un asfittico topolino, al primo turno la Lega ovvero Lega-Salvini a Bassano - come ammonito da Viero - potrà correre da sola, o magari assieme ad altri ma non con Fratelli d’Italia, col candidato sindaco che riterrà di presentare al giudizio degli elettori.
Ma non potrà sperare che si ripeta il clima di quel comizio di Salvini in piazza Libertà del 14 maggio 2019. Quel clima di successo annunciato e di selfie-eccitazione si è estinto, come i velociraptor di Jurassic Park.

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