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Luigi Marcadella
Giornalista
Bassanonet.it
La profezia di Moro
Marco Follini presenta a Vicenza “Via Savoia. Il labirinto di Aldo Moro”
Pubblicato il 15-05-2022
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Parterre d’eccezione a Vicenza per presentare l’ultimo libro di Marco Follini su Aldo Moro. Una platea politicamente molto trasversale, quasi da larghe intese, ha ascoltato il racconto dell’autore che con lo statista democristiano ha avuto un rapporto di grande vicinanza. Favorito anche dalla consuetudine che l’allora segretario del movimento giovanile del partito aveva con il leader assassinato dalle Brigate Rosse. “Via Savoia. Il labirinto di Aldo Moro” (La Nave di Teseo), prefazione di Marco Damilano, è l’ultimo tassello di una bibliografia sulla vita e sulla fine di Aldo Moro che con il passare degli anni mette sempre più in chiaro alcune verità, ormai ben delineate, e contestualmente amplia le tante zone d’ombra di una vicenda che ha stravolto la storia del nostro Paese. La presentazione del libro è stata curata dall’associazione “Faremeglio”, da pochissimo guidata da Arrigo Abalti. Ad ascoltare l’ex vicepresidente del Consiglio tanti volti noti della politica vicentina, a partire dal sindaco di Vicenza Francesco Rucco, Elena Pavan, Luigi D’Agrò, Camillo Cimenti, Fulgenzio Bontorin che con Follini ha condiviso una lunga militanza giovanile, Luciano Righi, Giuliano Zoso, l’ex sindaco di Padova Paolo Giaretta, da Scorzè Giovanni Battista Mestriner, il capogruppo del Pd in Regione Giacomo Possamai. In salone sono presenti anche il past president di “Faremeglio”, Roberto Volpe, l’avvocato Fabio Mantovani, il presidente di Viacqua Giuseppe Castaman e l’industriale della concia Mirko Lucio Balsemin. Nella suggestiva cornice della quadreria di Palazzo Chiericati fa benissimo gli onori di casa l’assessore alla Cultura Simona Siotto. A seguire qualche flash della conversazione di Marco Follini, «tutto quello che non c’è nel libro», con il direttore del Giornale di Vicenza Luca Ancetti. In mezzo a meravigliosi dipinti del 500’ e ‘600 e ai preziosi mappamondi in pochi minuti si ritorna agli anni Settanta della Repubblica.
Chi era Aldo Moro
Luca Ancetti, Marco Follini e Arrigo Abalti durante la presentazione a Palazzo Chiericati
«Ho raccontato la storia di una persona che avrebbe potuto essere un cantante rock, un predicatore, un attore o un pilota di Formula Uno. Un signore solenne, direi anche maestoso, l’uomo più potente della storia italiana. Una figura monumentale ma piena anche di contraddizioni».
«Era un uomo potente e fragile. Pieno di garbo e delicatezza, capace di esercitare comunque il potere in modo molto determinato».
«Con la sua forza in alcuni momenti ha tenuto in piedi l’equilibrio del Paese».
Moro e l’abbigliamento
«Moro era attentissimo alla forma, agli abiti delle persone, ci teneva particolarmente. Non indossare la cravatta era considerato da lui un peccato da penitenza seria».
«Il Papete? Non c’era e quindi non possiamo sapere come si sarebbe comportato in occasioni simili. Sicuramente non ci sarebbe andato in costume da bagno».
Moro e Follini
«Uno straordinario ascoltatore, poneva domande, si interessava, i colloqui con lui erano lunghi, profondi. Per me erano sempre degli esami».
«Qualche tempo prima del rapimento, da segretario dei giovani Dc, un tardo pomeriggio vengo contattato all’improvviso dalla sua segretaria. Il Presidente vuole vederla, mi dice. Ero in tenuta estiva, barba un po’ lunga, una camicia a quadri e dei pantaloni chiari. Moro considerava la giacca e la cravatta una forma minima di rispetto. Che faccio mi presento così dal Presidente Moro? Chiamo il suo portavoce Corrado Guerzoni e glielo chiedo. Vieni così come sei, mi risponde. Un imbarazzo totale, cerco almeno di impressionarlo con un ragionamento ad effetto. Presidente, gli dico, i giovani si aspettano molto da lei. Una banalità assoluta, ma non riuscivo a spezzare la tensione».
Moro e il potere
«Era il custode della prudenza. Ci voleva prudenza anche nelle grandi scalate politiche».
«Un’arte: dissimulare le proprie ambizioni anche quando la tentazione è forte».
«Moro era attento a non disturbare, ma era pur sempre un leader politico».
«La sua generazione ha vissuto anni duri, con gli occhi di oggi per alcuni potevano sembrare anni meravigliosi, ma si spargeva sangue. Le istituzioni hanno traballato».
«Per le cose ci vuole il tempo che ci vuole. Detestava il dover scegliere di fretta. Più tartaruga che Achille piè veloce. Nel 1974, 20 anni dopo la morte De Gasperi, Giulio Andreotti pubblicò un libro intervista sullo statista trentino con il giornalista dell’Espresso Antonio Gambino. Per farlo ci impiegarono una mezza giornata a Palazzo Chigi. Moro si scandalizzò: come era possibile scrivere un libro su De Gasperi in un pomeriggio? Le cose devono star lì, prendere tempo».
«Moro era il più intelligente dei democristiani e lo sapeva. Trovava però modi gentili per farglielo sapere».
«Come si manifesta oggi il potere? La politica odierna è irrilevante rispetto al potere. Le decisioni vere si prendono altrove».
«Moro diceva: non ho mai cercato il potere ma non mai esitato ad esercitarlo».
Moro e la famiglia
«Un rapporto non semplicissimo. In famiglia avevano idee politiche diverse dalle sue. Moro ha speso tanto tempo per la politica, forse questo ha pesato».
Moro e (la profezia) Kissinger
«Negli Stati Uniti durante una riunione concitata con Henry Kissinger ebbe un malore. Al ritorno in Italia ai suoi fa dire che si sarebbe ritirato dalla politica».
Moro e i democristiani («Esistono ancora? Se guardo la platea sì», dice ridendo Follini).
«Moro si occupava poco della corrente e dell’organizzazione. Gli altri potenti si chiedevano: perché allora dobbiamo dare il bastone del comando a lui?».
«In molti casi c’era la tentazione di volerlo accompagnare ai giardinetti. Lui ne soffriva molto».
Moro e Berlinguer
«Pensava che dovessero liberarsi dal mito sovietico, ma ci voleva tempo. Moro immaginava un’alternanza, un mutuo riconoscimento con i comunisti, come in Germania. Sarebbe ingiusto inquadrare il suo ragionamento in un unico momento, il suo era un disegno lungo. Ovviamente sperava che vincessero i democristiani, ma il senso del suo ragionamento era questo: se vince il PCI non ci ritiriamo sui monti con il passamontagna».
Moro e i socialisti
«Sapeva che bisognava rassicurare gli americani che non sarebbero cambiati gli equilibri dell’Italia. Sapeva che bisognava far capire in Vaticano che non si “cambiava fede”. Sapeva anche che la Dc avrebbe dovuto tranquillizzare una parte reazionaria dell’elettorato di destra del Mezzogiorno».
Moro, i giovani e il 68
«Dopo il “non ci faremo processare nelle piazze” subì critiche dai giovani e da una parte della Dc. Moro aveva l’assoluta esigenza di parlare con loro, incontrarli, sentire i loro ragionamenti».
«Una sera al Tg sente un’assemblea giovanile dare dei giudizi poco positivi su di lui. Ne rimase colpito. Andò cercarli per discutere con loro».
Moro e Andreotti
«Moro era fondamentalmente convinto della “negatività” di Andreotti. Questa storia meriterebbe una riflessione a parte».
Moro e il Quirinale
«L’unico che aveva i voti per diventare Capo dello Stato e che vi rinunciò. Il contrario di quello che succede oggi, dove chi non ha i numeri vuole andarci lo stesso».
«Cosa sarebbe successo se fosse andato al Quirinale? Sicuramente avrebbe avuto una macchina blindata».
Moro e i giorni del rapimento
«Sono rimasto colpito dal fatto che lui non citi mai i ragazzi della sua scorta».
«Il maresciallo Oreste Leonardi, caposcorta, aveva con lui un rapporto quasi familiare. Penso che sia uno dei pochi che aveva accesso alla casa di Moro.
Perché non ne parla?».
La presentazione del libro si avvia alla conclusione. C’è un ultimo passaggio molto interessante che Marco Follini fa sulla visita di Aldo Moro a San Giovanni Rotondo per incontrare Padre Pio. La circoscrizione di Foggia era il luogo di elezione del leader democristiano. Padre Pio gli riserva un’accoglienza molto affettuosa. Ma Aldo Moro racconterà in seguito che il frate di Pietrelcina gli rivelò una profezia inquietante. «Aldo, vedo sangue nella tua vita, tanto sangue…». Tornato a Roma per molto tempo rimase profondamente turbato da quelle parole. Dieci anni dopo, conclude Marco Follini, succede quel che succede. «Perché non ne parla nelle lettere? Sono misteri di fronte ai quali mi arrendo. Forse la razionalità in queste cose non va nemmeno cercata». Sono le otto passate da pochi minuti e sulle parole di Follini cala il buio. Black out, nero totale in sala. Il custode del palazzo ha spento le luci. Nel frattempo parte per qualche secondo una sirena d’allarme a chiudere la giornata di misteri e verità morotee.
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