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Alessandro TichAlessandro Tich
Direttore Responsabile
Bassanonet.it

Politica

Articolo 75

Il referendum di abrogazione della legge di riforma della geografia giudiziaria e la Costituzione italiana: l'incredibile gaffe della senatrice bassanese Rosanna Filippin

Pubblicato il 15-11-2013
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“Ahi ahi ahi signora Filippin...lei mi è caduta sulla Costituzione!”.
Scomodiamo per l'occasione - parafrasandola - nientemeno che la memoria del sommo Mike Bongiorno. Ma quando ci vuole, ci vuole: perché quando ieri abbiamo letto sulla stampa locale le dichiarazioni della senatrice bassanese del Partito Democratico Rosanna Filippin in merito alla proposta di referendum di abrogazione della legge di riforma della geografia giudiziaria - ovvero la legge che ha decretato, tra gli altri, il taglio del Tribunale di Bassano - non abbiamo creduto ai nostri occhi.
Riassunto delle puntate precedenti: come abbiamo già scritto in un nostro articolo di martedì scorso, la Corte di Cassazione ha dichiarato “ammissibile” il quesito referendario richiesto da nove Consigli regionali (Abruzzo, Puglia, Piemonte, Marche, Calabria, Basilicata, Friuli Venezia Giulia, Liguria e Campania) per abrogare il decreto legislativo che ha stabilito la soppressione di 37 Tribunali con relative Procure, di 220 sezioni distaccate di tribunale e di 667 uffici del Giudice di Pace. Un primo semaforo verde verso l'indizione del referendum nel 2014, in attesa del parere supplementare, e decisivo, della Corte Costituzionale.

La senatrice del Pd Rosanna Filippin (foto: archivio Bassanonet)

Nel pomeriggio dello stesso martedì, il governatore del Veneto Luca Zaia aveva diffuso a tempo di record un soddisfattissimo comunicato stampa di commento alla decisione dell'Ufficio Centrale per il Referendum della Corte Suprema, con affermazioni in stile “Nuntio vobis gaudium magnum”.
“Dopo la prima battaglia vinta il mese scorso con la sospensiva del Tar allo spostamento dei fascicoli dal tribunale di Bassano a quello Vicenza - aveva detto, tra le altre cose, il governatore -, oggi salutiamo come un incoraggiamento a proseguire nella strada da noi intrapresa la possibilità che i cittadini si esprimano sulla validità o meno della riforma dell’amministrazione della giustizia.”
Non l'avesse mai fatto: per la senatrice Filippin, le cui dichiarazioni sono state pubblicate ieri dal Gazzettino, le affermazioni di Zaia sarebbero fuori luogo.
E questo perché il Veneto non compare tra le nove Regioni che hanno sottoscritto la proposta referendaria. “Non capisco - ha dichiarato ieri la senatrice, come ricorda anche oggi un articolo dello stesso quotidiano - perché il governatore esalta il ruolo suo e del consiglio in questa faccenda quando Venezia alla Cassazione non ha formulato nulla.”
Ma il bello deve ancora venire. Secondo la parlamentare bassanese, infatti, la “mancanza” del Veneto tra i nove consigli regionali proponenti metterebbe addirittura a rischio lo svolgimento del referendum nella nostra regione.
“Il Veneto - ipse dixit - non è tra le nove Regioni che hanno chiesto la consultazione: la potremo realizzare?”.
E' a questo punto, leggendo ieri i giornali, che abbiamo strabuzzato gli occhi.
Perché l'articolo 75 della Costituzione italiana parla chiaro che più chiaro non si può: “E' indetto referendum popolare per deliberare l'abrogazione, totale o parziale, di una legge o di un atto avente valore di legge quando lo richiedono cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali.”
Basta quindi la richiesta di cinque Consigli regionali - e in questo caso ne abbiamo addirittura nove - per indire il referendum abrogativo, previo giudizio di ammissibilità di Cassazione e di Corte Costituzionale, su tutto il territorio nazionale.
Il fatto che la parlamentare bassanese sia scivolata su questa buccia di banana istituzionale ha dell'incredibile. Perché Rosanna Filippin è senatrice per mandato, ed è chiamata quindi a legiferare, e avvocato di professione: dovrebbe pertanto mangiare Costituzione tutte le mattine a colazione.
Le informazioni sulla Carta fondamentale, oltretutto, non sono più riservate ai soli addetti ai lavori ma sono accessibili a tutti, grazie a internet, con un semplice click sul sito web del Senato: www.senato.it/1025?sezione=127&articolo_numero_articolo=75.
E oltre al già citato articolo 75, il requisito costituzionale della proposta di cinque Consigli regionali per l'indizione di un referendum popolare è ribadito anche dall'articolo 138: www.senato.it/1025?sezione=139&articolo_numero_articolo=138.
La dichiarazione a mezzo stampa della senatrice va quindi presa per quello che è: una clamorosa gaffe, da consegnare agli archivi e nulla più.
Ma così facendo, la parlamentare del Pd si è data in pasto alla velenosa replica di Zaia resa ieri di fronte ai giornalisti e riportata oggi da numerose testate e anche dall'Ansa: “Un bel tacer non fu mai scritto - afferma il governatore -. E' la prima cosa che viene in mente leggendo le affermazioni della senatrice Filippin che, temo, abbia preso alla lettera l'appello di una parte della classe politica italiana a non toccare la Costituzione e, fraintendendo, per non toccarla non l'ha nemmeno aperta.”
"Questa polemica tentata dalla senatrice, finita sul nascere - affonda il coltello il presidente veneto -, è la prova provata che c'è ancora chi usa un vecchio stile nel fare politica, anteponendo ai reali interessi dei cittadini l'inutile polemica che nulla serve e fa solo perdere tempo. Non mi sembra, infatti, che l'articolo 75 della Costituzione sia così difficile da leggere e da capire. Afferma chiaramente che un referendum può essere richiesto o da cinquecentomila elettori o da almeno 5 Consigli regionali: testo semplice, lapidario, che dice tutto.”
“Se la Corte Costituzionale confermerà il provvedimento della Cassazione - conclude la filippica di Zaia -, dovremo moltiplicare l'impegno per sostenere la campagna referendaria, informando e coinvolgendo i cittadini. Un compito non semplice, soprattutto se chi ritiene di essere in grado di informare è clamorosamente disinformato.”
Non sappiamo come Rosanna Filippin l'abbia presa per tutta questa bagarre.
La nostra rappresentante in parlamento può però consolarsi - benché la sua svista sia stata davvero macroscopica - col fatto di non essere l'unica a fare confusione sull'argomento.
Perché anche il presidente del Veneto, per doverosa Par Condicio, dovrebbe ripassare un po' la lezione. “Sono sicuro - ha dichiarato infatti Zaia nel suo comunicato di martedì scorso - che sull’ipotizzata chiusura del Tribunale di Bassano il ‘NO’ della popolazione sarà plebiscitario.”
Caro governatore: trattandosi di un referendum abrogativo, per abrogare la legge e salvare quindi il Tribunale di Bassano bisognerà votare 'SI'.
Ma a questo punto - come avrebbe detto il grande Totò - queste sono quisquilie, bazzecole, pinzillacchere. Meglio concentrarsi sui fatti concreti, che riguardano una proposta che come tutti i percorsi referendari si presenta come una vera e propria corsa ad ostacoli.
Ricapitolando: c'è una richiesta di referendum che dopo la Cassazione passerà al vaglio della Corte Costituzionale. Se anche la Consulta darà parere positivo, l'anno prossimo si andrà al referendum.
Se sarà raggiunto il quorum (il 50% più uno degli aventi diritto al voto) il referendum sarà valido. Se il referendum sarà valido e se i 'SI' avranno la maggioranza dei voti, la legge che taglia i tribunali sarà abrogata. Con una complessa e problematica “marcia indietro” - con relative imponenti misure di riorganizzazione, di nuovo trasloco delle strutture e di nuovo trasferimento del personale giudiziario - della gigantesca macchina messa in moto dagli accorpamenti delle sedi di giustizia.
A meno che, nella fase post-referendaria, il governo o il parlamento non preparino qualche nuova “sorpresa” in grado di aggirare l'esito della consultazione: e non sarebbe la prima volta.
Il resto sono solo parole, parole, parole. Che possono anche richiamare - come dimostra anche questo nostro articolo - l'attenzione dei giornalisti.
Ma che a lungo andare rischiano di riformare, nella percezione dei cittadini, il fondamentale articolo 1 della Costituzione italiana: L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sulle chiacchiere.

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