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Demografia, produttività e salari. Questa è la triade di cui tener conto per il futuro dell’economia italiana. Proprio su questi tre argomenti si è sviluppato l’approfondimento organizzato in settimana dalla sede regionale di Venezia della Banca d’Italia in occasione della presentazione del Rapporto annuale 2023 (“L’economia del Veneto”).
Gli economisti della Banca d’Italia scrivono nel loro rapporto che «nell’ultimo decennio la riduzione della popolazione in Veneto si è associata a un progressivo invecchiamento, determinando effetti rilevanti nel mercato del lavoro e sulla crescita economica. Se in altre regioni europee a vocazione manifatturiera questo impatto è stato più che compensato dal forte aumento della produttività, in Veneto e in Italia il calo demografico si è invece associato alla diminuzione della produttività, contribuendo alla bassa crescita del PIL pro capite registrata negli ultimi venti anni».

Incontro Federmeccanica e Sindacati (18 giugno 2024)
Scorrono a cadenza settimanale gli indizi grandi e piccoli del tracollo demografico che coinvolgerà l’organizzazione sociale dei centri urbani, e più in generale i conti pubblici e il sistema pensionistico italiano. Inoltre, alla demografia si sta pericolosamente collegando la questione della produttività che è a sua volta una (non certamente l’unica, e in alcuni lavori nemmeno la più importante) delle cause della glaciazione di salari e stipendi del nostro Paese, rimasti sostanzialmente al palo negli ultimi vent’anni. Se un tempo preoccupava la spirale inflazione-aumento dei salari, oggi preoccupa la spirale demografia-produttività-bassi salari.
Nell’ultimo rapporto della Commissione europea sulla convergenza sociale si legge che «i salari italiani sono strutturalmente bassi, tra il 2013 e il 2022 la crescita dei salari nominali per occupato è stata del 12%, la metà della crescita europea (23%). E se si ragiona in termini di potere d’acquisto: l’Italia va al -2% mentre la UE registra un +2,5%».
E ancora: i salari e gli stipendi italiani hanno subito un ulteriore stress nel biennio di altissima inflazione tra il 2022 e il 2023. «La crescita dei salari nominali non è stata sufficiente a colmare la perdita di potere d’acquisto causata dal recente picco di inflazione collegato alla crisi energetica generato dall’invasione russa in Ucraina» (Commissione europea).
In cerca di salari migliori i giovani italiani, non solo quelli specializzati e in grado di andare a cogliere le migliori opportunità professionali in giro per il mondo, vanno all’estero e contribuiscono a “spolpare” la base dei residenti. È “l’emigrazione dei camerieri” come l’ha chiamata il demografo Gianpiero Dalla Zuanna che, al convegno della Banca d’Italia a Palazzo Dolfin Manin, riportava l’esempio delle sue chiaccherate con i giovani italiani che nei mesi scorsi aveva “intervistato” in Australia durante una parentesi di insegnamento all’estero. Perché i ragazzi vanno all’estero? Semplice, un cameriere a Melbourne può guadagnare oltre 2.000 euro netti al mese (fatto il debito cambio di valuta) contro i 1.000 euro scarsi che riceverebbe in Italia.
L’Italia, oltre ad essere un’economia turistica con una forte componente di servizi che ha bisogno anche di camerieri, è prima di tutto però un grande Paese manifatturiero. Per questo è molto interessante leggere il resoconto di Federmeccanica diramato in occasione dell’ultimo incontro con Assistal e Fim, Fiom, Uilm che si è svolto nei giorni scorsi per il rinnovo del contratto nazionale metalmeccanici.
«La questione salariale è di grande attualità, considerando che sono passati pochissimi giorni da quando, il 7 giugno u.s., l’ISTAT ha pubblicato il dato a consuntivo dell’indice IPCA NEI, relativo all’anno 2023, che determinerà nel corrente mese un adeguamento dei minimi di garanzia, in unico anno e in un’unica soluzione, che non ha precedenti nella storia del nostro CCNL e dell’intero Sistema.
Il dato dell’IPCA NEI - al netto degli energetici importati - relativo all’anno 2023, pari al 6,9% è stato superiore rispetto a quanto previsto (6,6%) il giugno scorso dallo stesso Istituto, e si è rivelato superiore al dato IPCA - inflazione generale - che è stato pari a 5,9%, nonché al dato IPCA al netto degli energetici (non solo quelli importati) che è stato pari a 5,7%. L’adeguamento dei minimi di garanzia sarà pertanto pari a 137,52 euro al livello C3.
In soli due anni sono stati riconosciuti nel nostro Settore adeguamenti pari a 260 euro al livello C3, e considerando l’intero periodo di vigenza, a partire dal giugno 2021, l’adeguamento complessivo è stato pari a 310 euro sempre al livello C3. Sono numeri che parlano da soli ed evidenziano come il CCNL metalmeccanici abbia dato le risposte tempestive e sostanziose, determinando un salario di garanzia di assoluto livello».
Ci saranno dunque spazi per ulteriori aumenti? L’associazione della meccanica sembra molto preoccupata dalla riduzione dei margini che si sta verificando nei bilanci delle imprese associate. «Abbiamo richiamato tutti a confrontarsi con la realtà del CCNL, che deve essere collegata alla realtà di una Categoria molto eterogenea caratterizzata da una diffusa ridotta profittabilità. Per questo motivo gli oneri complessivi derivanti da tutte le voci di costo CCNL hanno rappresentato un impegno al limite della sostenibilità per tantissime aziende che si troveranno in grandi difficoltà, a prescindere dalle loro dimensioni.
Il grande sforzo economico compiuto dalle imprese rende necessaria la ricerca, nel corso del negoziato, di misure che possano determinare un incremento della produttività per far fronte ad una situazione di contrazione dei margini e di perdita di competitività, come dimostrano i dati raccolti e l’andamento prevalente delle performance della metalmeccanica. In presenza di un aumento della produttività potrebbero essere messe in campo, nel periodo di vigenza, azioni di natura solidaristica anche attraverso il welfare per tutelare chi ha più bisogno e chi può avere bisogno in futuro».
Al netto degli aumenti tabellari derivanti dai rinnovi contrattuali in corso, la stagnazione di salari e stipendi sta riguardando in modo ormai strutturale troppi settori del lavoro basilari per il futuro dell’Italia. Anche in relazione alle buste paga della scuola, della sanità, della cooperazione, del mondo dell’Università e della ricerca, si sta contribuendo a rendere sempre più irreversibile la scelta di guardare all’estero da parte dei più giovani (ma non solo).
E in molti di questi settori sopra elencati l’aumento delle buste paga non è propriamente un problema di produttività.
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