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Rinascimento in bianco e nero

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Rinascimento in bianco e nero

Laura VicenziLaura Vicenzi
Giornalista
Bassanonet.it

Teatro

Tra gli scogli, con Ulisse

Uno spettacolo carezzato a lungo da Marco Paolini, Nel Tempo degli dèi - Il calzolaio di Ulisse, approdato a Treviso

Pubblicato il 27-11-2019
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Rinascimento in bianco e nero

Uno spettacolo carezzato a lungo da Marco Paolini, e che ha viaggiato anche all’estero, questo Nel Tempo degli dèi - Il calzolaio di Ulisse andato in scena al Teatro “Del Monaco”, a Treviso, in tre repliche dal 22 al 24 novembre. Con lui sul palco, per questo “canto” scritto con Francesco Niccolini, per la regia di Gabriele Vacis, la bella voce e la presenza scenica di Saba Anglana, a dare vita ai celebri personaggi femminili dell’Odissea; Elisabetta Bosio agli archi e interprete pallida di Atena; Vittorio Cerroni, un padovano giovanissimo e talentuoso (classe 2002) a incarnare col giusto disincanto e un pizzico di insolenza da giovane social il pastore di capre sotto le cui spoglie si cela Hermès, un dio che profuma d’inganno; poi Lorenzo Monguzzi, chitarrista-cantante che collabora da anni con Paolini (l’aedo Femio) e per finire, a seguire passo passo le orme del calzolaio Elia Tapognani (Telemaco).
Dietro agli attori stanno appesi cinque grandi pannelli metallici, che percossi producono suoni battaglieri; in alto, un drappo bianco molto greco diventerà la tenda che copre le grazie di Circe, e poi vela; cielo e mare sono presenze inquiete, non del tutto dette ma incombenti, “scenofonia, luminismi e stile” sono a cura di Roberto Tarasco. I musicisti vanno e vengono da una pedana-montagna — sul finale, da dèi, incombono infuriati dallo chalet Olimpo — mentre Paolini, il calzolaio che ricuce le vicende epiche di Ulisse, rimane in primo piano imbraccia un remo e narra la sua storia dimesso, invecchiato, smagato. Non importa: per quanto sia poco consolatorio, quello dell’Odissea è un testo ancora così potente da riuscire a generare infiniti in-cantesimi: «storie che non avvennero mai, ma sono sempre», le definì Salustio.
Il dramma è traghettato in parte nel presente, a tratti fa slittare nel contemporaneo la parola antica e i temi che racconta messi in fila intonati, solo con qualche battuta-gioco di parole di troppo, e allora si innervano nel testo altre stragi, evocate da teli isotermici che piovono dall’alto senza più corpo, i tweet di Polifemo e le difficoltà di connessione, i rumori del traffico metropolitano, lo smarrimento dell’Occidente senza connotati del villaggio globale.

Marco Paolini in scena, foto di Gianluca Moretto

Lo spettacolo inizia e finisce dall’ecatombe: il sacrificio in nome degli dèi è una prassi consolidata anche nella modernità, anche nel nostro tempo in cui non si destinano grandi onori né titoli, agli eroi, e gli dèi portano nomi imbastiti per l’immediato, senza storia; l’ecatombe in cui perirono centinaia di Proci per mano di Ulisse purtroppo è sacra, ma non è perdonata da Penelope, né perdonabile. L’esilio è l’unica strada che rimane da percorrere a chi come lui ha tradito l’uomo per l’ambizione di alzare lo sguardo, per la smania di affrontare l’ignoto.
L’Ulisse personaggio millantatore che vide Dante esiste, come esiste l’Ulisse che tradisce Penelope senza tanti rimorsi e che sarebbe forse pronto a strangolare anche lei, se avesse seguito seppur costretta i passi accondiscendenti delle ancelle. Lo scoglio a cui si aggrappa ancora una volta lo respinge in mare, e le lusinghe degli dèi-sirene non lo attraggono più: è un naufrago perenne, un uomo solo che continua a intonare con voce roca un bellissimo canto.
È un canto, ma corale, anche lo spettacolo, e non poteva essere altrimenti: una coproduzione Jolefilm, Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa, realizzato con la collaborazione di Estate Teatrale Veronese e Teatro Stabile Bolzano.
Applausi e richieste di bis, dal pubblico del teatro.

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