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Laura Vicenzi
Giornalista
Bassanonet.it
Primo piano
L’inverno di Tiziano
La Pietà, ultima opera di Tiziano Vecellio, e la vecchiaia del Maestro raccontate in parole e musica per Operaestate alla Pieve di San Martino
Pubblicato il 13-08-2013
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L’inverno di Tiziano è stato il protagonista della narrazione di Luca Scarlini ideata per il progetto di Operaestate “Ekfrasis: storie dell’arte”.
La performance per parole e musica dedicata all'ultima opera dell'artista è stata ospitata domenica alla Pieve di San Martino, a Campese. Un’ambientazione ideale per l’evento: il complesso religioso, che sorge su un antico luogo di culto e che divenne Pieve della sponda destra del Canal di Brenta nel 1100, sorge sulla “strada dei morti” e all’interno di un antichissimo recinto-necropoli, come ha ricordato in apertura dell’incontro lo storico Angelo Chemin.
Tiziano, artista ormai vecchio – “di un’età mitologica, 95-96 o forse addirittura 103 anni” in un’epoca in cui si arrivava in media a compierne la metà –, malato e magrissimo, e la sua progenie, biologica o acquisita nei secoli, sono i personaggi che popolano il racconto di Scarlini. Tiziano è appena morto dipingendo con lentezza, come spesso faceva, mai soddisfatto del suo lavoro, la sua ultima opera, una Pietà rivoluzionaria, teatrale, espressionista (in credito di cinque secoli col tempo) che verrà poi ultimata da Palma il Giovane e che ora è ammirabile alle Gallerie dell’Accademia a Venezia.
Luca Scarlini e Alessandra Caruccio alla Pieve di San Martino
Scarlini, narrando, scosta i veli luttuosi della stanza di Tiziano, entra ed esce dalla bottega del Biri Grande e fa rivolgere lo sguardo fuori a uno scenario anch’esso lugubre: la Serenissima è turbata perché dopo la scoperta dell’America ha perduto la sua supremazia nel commercio; Venezia è diventata una città piena di ombre, resta opulenta ma nasconde piaghe infette, e in quegli anni (dal 1575 al 1577) è di nuovo preda della peste; vi regnano donnazze e beccamorti, dappertutto soffia uno scirocco dannato. La Pietà è un enorme ex voto: Tiziano, l’artista degli imperatori, voleva essere sepolto ai Frari e temeva di finire in una delle fosse comuni destinate agli appestati – uno dei suoi figli, Orazio, che morirà di peste, appare nel dipinto accanto al padre in una tavoletta votiva.
Tiziano fu un grande imprenditore, un artista che dovette fare i conti con una committenza illustre ma spesso avara, e fu un padre-padrone. L’inverno di Tiziano fu flagellato dall’eterna storia di odio che rinasce sempre uguale tra i padri troppo grandi e i loro figli. L’artista ne ebbe tre di naturali da Cecilia (una serva-governante portata a Venezia dal Cadore): Pomponio (detto Tizianello), Orazio e Lavinia – è possibile vederli raffigurati insieme nella Madonna della Misericordia. Tizianello, destinato dal padre alla carriera religiosa, trascorse la sua esistenza nella dissipazione, votato alla passione per le donne e per il gioco. Alfred De Musset, ha ricordato Scarlini, ha lasciato una novella dove Tizianello è dipinto come un eroe romantico, ma di fatto fu un ribelle rapace e riottoso che alla morte del padre operò un saccheggio della sua opera, ne dilapidò in breve il patrimonio, e nel contempo compì un’azione di sabotaggio alla pittura del suo tempo.
Le ultime opere di Tiziano rappresentarono un mistero per tanti uomini d’arte del suo tempo: Giorgio Vasari, ma anche gli amici Pietro Aretino e Jacopo Sansovino, di fronte ai suoi ultimi lavori, come il San Sebastiano, dichiararono la loro incapacità di capirli e di apprezzarli (troppa carne viva, troppa distanza, Tiziano aveva superato se stesso). Nel testo di Scarlini fanno la loro apparizione tanti altri figli postumi: artisti che hanno ammirato il Maestro e hanno attinto a piene mani dalla sua lezione (da El Greco, che fu nella sua bottega, fino a Oskar Kokoschka); e poi autori che hanno trovato ispirazione nel suo linguaggio (Hugo Von Hofmannsthal, scrittore, drammaturgo, librettista viennese e enfant prodige che nel 1892 scrisse il dramma “La morte di Tiziano”, dove appariva una Pietà resa mitologica e carica di simbolismo; questi ha fornito lo spunto per l’idea della narrazione); infine biografi capaci (la prima biografia su Tiziano scritta dopo la sua morte è apparsa nel 1622 ad opera di un altro Tizianello; l’anno scorso, per restare vicini, è uscito Tiziano, scritto da Neri Pozza); tutto a testimonianza che l’arte, quando è grande, manda chiari i suoi messaggi soprattutto ai tempi seguenti.
L’atmosfera di morte che ha permeato l'incontro – la parte musicale è stata affidata a composizioni seicentesche e settecentesche di Giacomo Antonio Perti, Francesco Cavalli e Tarquinio Merula interpretate dal mezzosoprano Alessandra Caruccio –, i toni dimessi, la sottolineatura in nero così umana del lamento e della profanazione, sbiadiscono d’incanto di fronte a queste prove d’immortalità.
Restano impresse solo le immagini vivide e tanto feconde, senza stagione, di questo inverno rosso-tiziano.
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