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Alessandro Tich
Direttore Responsabile
Bassanonet.it
Gran Galan
Il consiglio regionale si costituisce in giudizio contro il ricorso dell’ex presidente della Regione Giancarlo Galan per la restituzione del proprio vitalizio. Il presidente Roberto Ciambetti: “Doveroso tutelare l’Ente da richieste infondate”
Pubblicato il 05-06-2025
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Toh, chi si rivede.
È vero: Luca Zaia continua ad essere il governatore più amato d’Italia e un sondaggio reso noto ieri da SWG ne attesta il primato nazionale con un gradimento veneto-bulgaro nei suoi confronti espresso dal 70% dei cittadini della sua Regione, intervistati dalla società di indagini demoscopiche.
Ma prima di lui, nel quindicennio trascorso dal 1995 al 2010 (quando non si diceva ancora “governatore” ma solo “presidente della Regione”) c’era Giancarlo Galan, che per vecchi e risaputi motivi non gode invece di una simile popolarità.
Giancarlo Galan e Roberto Ciambetti (foto Alessandro Tich - archivio Bassanonet)
Si rivede Galan perché il suo nome è improvvisamente riapparso agli onori della cronaca.
La qual cosa mi ha anche costretto a recuperare una sua immagine da quel Pozzo di San Bassiano che è l’archivio degli articoli di Bassanonet.
È una foto che gli ho scattato nell’ormai lontano marzo del 2013, un anno prima della “Retata Storica” (dal titolo del noto libro-inchiesta dei giornalisti Monica Andolfatto, Gianluca Amadori e Maurizio Dianese) che la mattina del 4 giugno 2014 lo vide fra i 35 arrestati - tra cui diversi big della politica e del mondo dell’impresa - per lo scandalo Mose, dando il via al procedimento giudiziario conclusosi per lui con il patteggiamento a due anni e dieci mesi di reclusione, con la confisca della sua villa cinquecentesca da 2,6 milioni di euro a Cinto Euganeo e con la condanna contabile di risarcimento allo Stato di 5 milioni e 808mila euro.
Il Galan di quella foto del 2013 era ancora un politico in auge: nel 2010 e 2011 era stato anche ministro delle Politiche Agricole e ancora nel 2011 ministro del Beni e Attività Culturali, sempre nello stesso Governo e cioè il Berlusconi IV.
Lo avevo fotografato al Museo Gypsotheca di Possagno, alla conferenza stampa di annuncio del restauro del gesso canoviano del “Principe Henryk Lubomirski come Amore”, perché in quel periodo l’ex presidente della Regione Veneto era anche il presidente della Fondazione Canova.
Da allora sono passati dodici anni: in realtà sembra trascorsa un’era geologica.
“Giancarlo Galan: “Ridatemi il vitalizio, non ho reddito”.” (Il Messaggero); “Galan, notificato il ricorso per avere il vitalizio” (Il Gazzettino); “Giancarlo Galan, l’ex governatore del Veneto: “Ridatemi il vitalizio, non ho reddito: vivo grazie a mio fratello”.” (Leggo).
Sono solo alcuni dei titoli degli articoli pubblicati di recente sull’azione messa in atto dall’ex presidente del Veneto, tramite ricorso notificato contro la Regione Veneto e l’Agenzia delle Entrate per la restituzione del vitalizio, con richiesta di mantenere pignorato solo un quinto (pari a 565,16 euro netti) dell’assegno mensile di 5.420,83 euro lordi.
Secondo il ricorso per riavere il vitalizio, dunque, “su 3.825 euro netti solo 565 sono confiscabili”, pari ad un importo netto di cui viene chiesta la restituzione di 3.260 euro mensili.
Più gli arretrati, a partire da giugno 2016 (da quando cioè non percepisce più l’assegno), fino a 200mila euro, oltre gli interessi maturati.
L’assegno mensile - riferito a Galan in quanto ex consigliere regionale - viene attualmente trattenuto dal consiglio regionale del Veneto e girato all’Agenzia delle Entrate-Riscossione a graduale copertura della condanna contabile di 5,8 milioni di euro.
L’avvocato Maurizio Paniz, che difende Galan, sostiene nel ricorso che “oggi il vitalizio regionale ha assunto natura previdenziale” e che pertanto “è illegittima l’intera privazione del suo importo”.
Galan può guardare a un precedente favorevole, per così dire, alla causa.
Ed è quello del suo ex assessore Renato Chisso, pure coinvolto nello scandalo Mose, il quale l’anno scorso - difeso sempre dall’avvocato Paniz - ha ripreso a percepire il vitalizio che gli era dovuto dal consiglio regionale, sempre per il principio che oggi il vitalizio va equiparato alla “pensione” e il sequestro totale, secondo il legale, “non è accettabile”.
Ma il consiglio regionale del Veneto non ci sta.
“In riferimento al ricorso promosso dall’ex presidente Giancarlo Galan, volto a ottenere la restituzione parziale del proprio vitalizio trattenuto in forza di due sentenze esecutive, l’Ufficio di Presidenza del consiglio regionale del Veneto ha deliberato la costituzione in giudizio.”
Così dichiara, in una nota trasmessa oggi alle redazioni, il presidente del consiglio regionale Roberto Ciambetti.
“Gli articoli apparsi sulla stampa nei giorni scorsi hanno ingenerato alcune suggestioni non esatte - prosegue Ciambetti -. Alcuni titoli erano fuorvianti, mentre i contenuti erano più attinenti quanto riportato nella delibera. Il consiglio regionale non si oppone al diritto alla difesa dell’ex consigliere, ma ha il dovere giuridico di tutelare sé stesso in qualità di ente pubblico esecutore di provvedimenti dell’autorità giudiziaria.”
“Dal 2017, infatti, il vitalizio dell’ex presidente Galan è interamente devoluto all’Agenzia delle Entrate-Riscossione sulla base di due sentenze dei Tribunali di Padova e Rovigo, relative a debiti per un totale di circa 5,8 milioni di euro - continua il presidente dell’assemblea regionale -. Il consiglio ha operato esclusivamente come soggetto terzo pignorato, eseguendo ciò che i giudici hanno disposto.”
“La normativa del 2022 - aggiunge - ha riconfigurato il vitalizio in senso para-previdenziale, ma perché i nuovi criteri (tra cui il limite di pignorabilità di un quinto) possano applicarsi, è necessaria una nuova sentenza, che al momento non esiste. Il consiglio, quindi, non può modificare da sé una disposizione giudiziaria in vigore.”
Incalza il presidente del consiglio regionale:
“Ciò che invece il consiglio non può accettare - e che ha reso necessaria la costituzione in giudizio - è la richiesta avanzata dall’avvocato Paniz di condannare il consiglio stesso a restituire le somme versate all’Agenzia delle Entrate. Una tale impostazione porterebbe a un grave paradosso giuridico: il consiglio dovrebbe versare due volte le stesse somme: la prima volta, come esattore, allo Stato; la seconda volta, al consigliere cessato.”
E ancora:
“Come chiarito anche dai legali dell’Ente, se mai un giudice dovesse stabilire la restituzione di tali somme, sarà semmai l’ente che le ha incassate, ovvero l’Agenzia delle Entrate, a doverle eventualmente restituire, non il consiglio regionale, che ha solo adempiuto a un ordine giudiziario.”
“La linea seguita è la medesima già adottata in passato per analoghe situazioni, a conferma di un approccio istituzionale, coerente e imparziale - conclude Roberto Ciambetti -. Il consiglio regionale difende la propria correttezza amministrativa e il principio di legalità, senza entrare nel merito delle singole posizioni personali.”
Tuttavia, la partita rimane più che aperta e comunque vada, il consiglio veneto avrà Paniz per i suoi denti.
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