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Laura VicenziLaura Vicenzi
Giornalista
Bassanonet.it

Interviste

A tu per tu con Andrea Marchi

Il giovane scrittore di Marostica presenta il suo nuovo libro, parla di temi d'attualità, indaga il rapporto tra nuovi autori e mondo dell'editoria

Pubblicato il 10-10-2010
Visto 4.522 volte

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Andrea Marchi, giovane scrittore di Marostica, presenta a Bassanonet la sua seconda pubblicazione "Non mordere la mano che ti nutre" edita da Eumeswil nella collana Sottovoce. Un'occasione per parlare del libro che conduce anche ad altro, come spesso accade, e la conversazione plana sui terreni fertili o tra le acque torbide dei temi esistenziali, dell'attualità, del contesto imprescindibile del territorio, una quasi provincia del Nordest, (e a nordest poi di cosa?), del rapporto tra i nuovi autori e del mondo dell'editoria.

Due titoli che rivelano entrambi la volontà di raccontare l'inquietudine quelli dei tuoi romanzi. Di che cosa parla "Desiderio e sgomento"?

Andrea Marchi


"Desiderio e sgomento" è il mio primo libro, l'ho pubblicato nel 2006 per Aletti che l'ha edito nella collana Gli Emersi. E' un romanzo di formazione, giovanile se vuoi, nel senso che utilizza il liguaggio e la storia di un ventenne per raccontare però in filigrana un'esperienza esistenziale, la ricerca interiore e necessaria, improvvisamente urgente, della costruzione di un mondo nuovo. Il protagonista è un ragazzo come tanti che vive in un paese di provincia della pianura veneta. La mattina del suo ventesimo compleanno si alza e sente che qualcosa è cambiato, e per sempre. Non che intorno tutto fosse stato stravolto, ma suo padre d'improvviso lo tratta come un uomo, i suoi amici sono apatici ed egoisti, il suo mondo sta ancora dentro quel cassetto che non si decide di aprire... e allora si mette sulle tracce di questo cambiamento, intravede una via e intraprende un cammino tortuoso ed esaltante, che, tra inquietudini ed illusioni, trasformazioni e riconciliazioni, fughe verso un futuro incerto e ripiegamenti in un passato dove i conti non tornano, lo porteranno ad una scoperta importante. Desiderio e sgomento è appunto il binomio della crisi che porta alla costruzione ri-costruzione di un sè diverso, parla in sostanza del tema dell'identità e dell'alterità.

"Non mordere la mano che ti nutre" approfondisce i temi di questo primo romanzo?

Sì, e ne introduce un altro, quello della diversità. I protagonisti principali sono due ragazzini Matteo e Tamba: il primo è un giovane che vive il disagio di non essere accettato dal gruppo, circondato com'è da coetanei che spesso lo deridono tacciandolo di omosessualità e che ne fanno il loro capro espiatorio con atti di bullismo; il secondo è un immigrato africano che vive quotidianamente la condizione e i sentimenti della non apparenenza, del non aver radici. La vicenda è ambientata in un contesto locale, sullo sfondo i nostri paesaggi veneti e i toni a contrasto dell'attualità: una popolazione messa di fronte all'urgenza di una realtà multiculturale che cerca rifugio in un'identità comune di cui non è certa, e che forse non le corrisponde più. Torna quindi il tema del confronto, dell'alterità, un "sottovoce" che percorre tutto il romanzo.

Si tratta quindi di un libro che vuole stimolare una riflessione, di un romanzo con un intento filosofico?

Mi interessava parlare del tema della diversità, ad ampio spettro, e della solidarietà tra le persone. Quest'ultima ho cercato di rappresentarla attraverso il racconto della nascita di un imprevisto patto amicale, fraterno, che viene stipulato tra i due protagonisti in seguito ad un grave episodio che accade nel romanzo e che scuote le loro esistenze isolate.

Allora si può parlare di un noir?

In realtà ho cercato più che l'appartenenza a un genere l'utilizzo di uno strumento, mi sono servito del noir come mezzo stilistico. Rispetto al mio primo romanzo ho scelto anche di utilizzare una linguaggio più diretto, curata ma essenziale, con l'intenzione di far arrivare più direttamente la storia, ma anche i messaggi, i dubbi, gli spunti di riflessione. A conclusione della storia il lettore è portato ad interrogarsi sull'opportunità della scelta tra vendetta o perdono. Io non esprimo giudizi. L'apertura del noir, le sue caratteristiche di non-risoluzione, di non-consolazione si prestavano bene alla narrazione che intenevo fare.

Scrivi nel libro: "La vendetta non libera, il perdono non rimargina. Al tavolo delle trattative due sono le persone. Uno è un sè, l'altro un me. Siamo in due, sono me stesso"

Sì, ognuno nella vicenda cerca la sua rivalsa personale, non c'è una retta via da seguire. Il perdono ha le sue ragioni e la vendetta pure.

Come ti sei documentato sulle tematiche dell'immigrazione che racconta il personaggio di Tamba?

Ho letto dei libri, alcuni mi hanno colpito moltissimo e mi sono stati utili per aspetti diversi, ne cito alcuni, anche per consigliarne la lettura: "Erano solo ragazzi in cammino" di Dave Eggers, "Bestie senza patria" scritto da Iweala Uzodinma, "Quando sei nato non puoi più nasconderti", un reportage di Maria Pace Ottieri, e poi "Nordest" di Massimo Carlotto e "Io non ho paura" di Niccolò Ammaniti. Mi hanno fornito degli spunti anche dei film e naturalmente la lettura dei reportage dell'Espresso.

Recentemente ad una celebrazione dedicata a Dino Coltro, un grande scrittore studioso delle tradizioni e della cultura veneta, sono state ricordate alcune sue parole: "Mi hanno chiesto di parlare di lingua e identità veneta. Ma quale lingua? Il Veneto ha mille diversissimi dialetti. E quale identità? L'unica che conosco e in cui mi riconosco è questa: il veneto ama la famiglia, i campi e le montagne, il lavoro, e nelle case c'è sempre un "piato in tola" per chi non ce l'ha". Nel tuo libro c'è spazio per un pensiero critico nel confronti dell'attualità del Nordest?

La critica è più generale: è nei confronti della diffidenza verso l'altro, accanto a questo verso la stima eccessiva in quella che si definisce "identità di un popolo", verso il rischio di crederla "la migliore". Una tendenza comune nel mondo attuale.

Tu sei un giovane autore, come tanti in bilico tra l'emergente e l'emerso. Come descrivi il tuo approccio al mondo dell'editoria?

Come fanno tanti altri scrittori, per il mio primo romanzo mi sono affidato a una casa editrice che fa proposte di pubblicazione a pagamento. A muovermi la necessità e insieme l'urgenza comune a tanti nuovi autori di vedere pubblicato il proprio lavoro. Per il secondo ho cercato di intraprendere una strada che segnasse una svolta per la mia passione di scrivere: mi sono affidato ad un agente che ha presentato il mio manoscritto ad un editore. Il libro è piaciuto e l'editore ha deciso di pubblicarlo. Il lavoro di editing fatto assieme sul testo è stato molto interessante, un'occasione per imparare sul campo e dagli addetti ai lavori molte cose che certo mi torneranno utili.

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