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Un figlio disabile, un divorzio, una malattia, una perdita, un lutto…
Esperienze che chiunque, prima o poi, ha modo di incontrare nel proprio cammino.
L’iniziale incredulità, lo shock improvviso di vedersi catapultati in una situazione che sembra senza via d’uscita e senza speranza. Non si riesce a pensare né a ragionare e nella mente incombe solo una domanda: “Perché proprio a me?”.
Segue la rabbia, il bisogno impellente di scaricare la colpa su qualcuno, di prendersela con qualcuno: un famigliare, un conoscente, il destino, Dio…
Poi piano piano si comincia a ragionare in modo più razionale, non è possibile incanalare la rabbia unicamente all’esterno e cominciamo a chiederci se non sia anche colpa nostra. Così la depressione fa da padrona e con essa sopraggiunge anche il senso di colpa, insopportabile gravoso fardello, troppo pesante per essere portato da due spalle già così notevolmente provate. E si chiede aiuto.
Famigliari e amici diventano i primi confidenti e anche i primi consiglieri. Fare qualcosa per risolvere la situazione diventa la priorità assoluta perché il dolore è troppo forte e la speranza sembra essere l’unico sentimento che regala sollievo.
“Vai da un professionista!”.
Un medico, uno psicologo, una figura professionale in grado di dire cosa fare concretamente.
La verità però è dura, cruda, ingiusta: non c’è cura, non rivedrai mai più quella persona, la situazione non cambierà, ma possiamo fare qualcosa per farti stare meglio.
Queste parole sono inaccettabili perché distruggono la speranza che deve restare viva, per dare sollievo, per farci sopportare il dolore, per aiutarci a vivere.
Comincia così un lungo ed estenuante pellegrinaggio: ospedali, cliniche private, specialisti di ogni genere, ma la risposta non cambia.
E’ qui che entrano in scena i cosiddetti guru. Non solo sedicenti maghi e santoni, ma anche professionisti con tanto di laurea e che vantano una specializzazione proprio su quel problema che tanto ci angustia. Teorie disparate, onorari folli, diete e medicinali che non procurano il minimo beneficio se non nella mente del malcapitato, disposto a tutto pur di mantenere viva quella speranza che lo fa sopravvivere. Ecco che, secondo alcune di queste infondate teorie, l’autismo è causato da particolari fori che il bambino avrebbe nell’intestino e quindi dovrà seguire una dieta particolare con cibi esclusivamente biologici e per celiaci; un “metodo didattico” inventato negli anni ’50 e mai comprovato scientificamente sarà l’ideale per migliorare le prestazioni di bambini con sindrome di Down, con ritardo mentale o con sindrome da idrocefalo congenita; la dieta a base di germogli di soia contribuirà a ridurre ogni tipo di tumore.
La scrupolosità con cui vengono seguite queste indicazioni è maniacale, le cifre che si spendono sono da capogiro ma non importa: la speranza deve restare viva. E se anche una terza persona nota la singolarità di alcune “indicazioni” e consiglia di tornare dal professionista, si diventa sordi e non ha importanza se si tratta di un genitore, un fidanzato o un amico. Ormai il legame di attaccamento con il gugu è diventato purtroppo indissolubile, non se ne può più fare a meno, come una dipendenza da alcol o da sostanze.
Per spezzarlo è necessario aprire gli occhi, ragionare in modo razionale, chiedere informazioni ad un professionista serio, parlare con il medico di base, tornare a fidarsi delle persone a noi più vicine ma soprattutto è necessaria la motivazione al cambiamento. Solo così infatti si potrà arrivare ad una serena accettazione e sentirsi finalmente di nuovo liberi.
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