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Alessandro TichAlessandro Tich
Direttore Responsabile
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Attualità

Solagna - Dakar

L’Africa che non ti aspetti. A Solagna l’incontro conclusivo della rassegna Veneto Barbaro col sorprendente racconto di Chiara Barison, ricercatrice padovana ed ex volto italiano della tv senegalese, trasferitasi da più di dieci anni a Dakar

Pubblicato il 08-09-2024
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“Gli altri siamo noi”.
Così cantava Umberto Tozzi più di una trentina di anni fa, cavalcando l’attualità di quei tempi di definitiva esplosione delle ondate migratorie in Italia, due anni dopo la caduta del Muro di Berlino.
Era infatti il 1991, l’anno dell’arrivo in massa e in un’unica soluzione nel nostro Paese degli oltre 20.000 profughi albanesi sbarcati a Bari dalla nave Vlora, svolta storica del fenomeno dell’immigrazione sul suolo italico e avvenimento-choc per un’opinione pubblica italiana che non era ancora abituata alla regolare (o irregolare) presenza dell’“altro” sul territorio nazionale.

Chiara Barison (foto da Facebook / Veneto Barbaro)

Non va peraltro mai dimenticato, quando si parla di queste tematiche sempre attualissime, che anche noi italiani siamo stati “altri” per il resto del mondo e per lungo tempo, quando le vicende della storia e le ristrettezze dell’economia hanno trasformato milioni di nostri connazionali in emigranti.
Oggi l’emigrazione dal cosiddetto Bel Paese si ripete, ma in modalità 2.0, con le centinaia di migliaia di persone, in gran parte giovani, che hanno lasciato l’Italia, senza più tornarci, alla ricerca di un lavoro meno precario e più remunerativo.
Francia, Belgio, Germania, Austria, Olanda: sono alcuni dei Paesi più gettonati dagli “expat” italiani del Terzo Millennio.

Ma c’è anche chi, andando del tutto controcorrente rispetto ai canoni prevalenti della “fuga dei cervelli” all’estero, si è costruito una vita oltreconfine decidendo di trasferirsi in Africa, e non per motivi principalmente umanitari come i luoghi comuni sulle frequentazioni europee in quel continente vorrebbero farci pensare.
Si tratta di Chiara Barison, padovana di Maserà, dottore di ricerca in Politiche Transfrontaliere, esperta in comunicazione istituzionale e media strategy ed ex conduttrice tv che da più di dieci anni vive in Senegal, nella capitale Dakar, dove ha anche messo su famiglia.
È lei l’ospite della conferenza conclusiva dell’edizione 2024 di Veneto Barbaro, la rassegna organizzata dai giovani esponenti dell’omonima associazione culturale di Solagna, iniziata lo scorso maggio con un incontro a Villa Angaran San Giuseppe a Bassano con l’autore e editore Giuseppe Civati e dipanatasi quest’anno sul filo conduttore della parola “straniero”.
Ci sono anch’io in mezzo al pubblico della serata con Chiara Barison, ospitata al Cinema Teatro Valbrenta di Solagna.
Assisto così ad un inedito traguardo della Solagna - Dakar, rally internazionale di attraversamento del deserto della disinformazione e di superamento delle dune dei luoghi comuni per raggiungere l’oasi della conoscenza diretta della realtà delle cose.

Se dovessi riassumere l’insolita biografia della ricercatrice padovana con un linguaggio stereotipato, potrei dire che il suo è l’interessante esempio di una donna bianca che ha saputo farsi strada nell’Africa nera.
Intervistata dalla vicepresidente di Veneto Barbaro Camilla Baron, Chiara Barison fornisce il suo racconto di testimonianza diretta che ci fa aprire gli occhi su un angolo di Africa moderno ed evoluto, anche se non privo delle contraddizioni di quella regione del mondo, che va ben oltre l’immagine consueta e fissata nell’immaginario collettivo “delle donne che camminano col vaso in testa”.
Lo conferma la sua stessa storia personale.
Tutto è iniziato nel 2001, quando la novella Karen Blixen (l’autrice de “La mia Africa”) del Padovano studiava Scienze della Comunicazione all’Università di Trieste.
In trasferta in Francia col progetto Erasmus, lì ha conosciuto diversi compagni di studio senegalesi che l’hanno invitata a trascorrere le vacanze nel loro Paese d’origine, cosa che ha fatto.
"Arrivata per la prima volta a Dakar - ricorda la relatrice -, sono rimasta sorpresa dai tratti moderni e dinamici della città, un aspetto che qui in Europa non viene messo in evidenza dai media, e anche dal fatto che molte insegne dei negozi avevano dei nomi italiani.”
Erano i negozi gestiti da migranti che dopo un periodo di permanenza nel nostro Paese erano rientrati in patria.
Ritornata in Italia, ha quindi scritto una tesi di laurea sul fenomeno della trasmigrazione senegalese in Italia, proseguendo con un dottorato in Politiche Transfrontaliere sul tema del confine tra Senegal e Gambia, tornando più volte per ricerche sul campo.
Quello che ancora non sapeva, ma forse le stava già covando in animo, è che la terra oggetto dei suoi studi sarebbe diventata la sua casa.

Messa di fronte alle scarse possibilità di carriera accademica in Italia e avendo notato che il Senegal stava iniziando ad attrarre giovani migranti europei in cerca di opportunità, nel 2010 l’intraprendente Chiara ha quindi deciso di trasferirsi nel Paese africano per collaborare come docente di Sociologia in alcune università private.
Qui ha aperto il blog Dakarlicious, il suo diario di racconti di vita quotidiana in Senegal e di riflessioni su temi socioculturali, che ha avuto successo anche se era scritto in italiano.
Ha perfezionato quindi il suo francese e ha cominciato a parlare anche il wolof, la lingua dell’omonimo gruppo etnico senegalese, il principale del Paese.
Come racconta al pubblico dell’incontro solagnese, un momento fatidico della sua esperienza africana è stato quando ha avuto il coraggio di presentarsi senza essere annunciata alla sede di Dakar di TFM, Télé Futurs Médias, l’emittente televisiva più seguita del Paese, fondata da Yossou N’Dour, la popstar senegalese di fama globale poi datosi alla politica, e gestita dai fratelli del cantante della celebre hit mondiale degli anni Novanta “7 Seconds”, eseguita assieme a Neneh Cherry.
Ha chiesto di parlare con il direttore, che passò davanti a lei proprio in quel momento, e si è proposta di collaborare con la tv curando una rubrica di sociologia.
Una proposta talmente imprevedibile che venne accettata.
È stato così che Chiara Barison è diventata il primo volto bianco della televisione del Senegal, come curatrice e conduttrice della rubrica di sociologia “Parmi Nous” all’interno del programma-contenitore mattutino “Yeewu Leen” (“Svegliatevi”, in lingua wolof).
L’esperienza televisiva è terminata due anni fa, a seguito del nuovo lavoro della migrante padovana come responsabile comunicazione per l’Ufficio di Dakar dell’Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo (Aics).
La sua presenza in tv non è stata tutta rose e fiori, per le reazioni negative di alcuni telespettatori sul suo status di straniera e sulla sua pelle bianca (per la serie: tutto il mondo è paese) che tuttavia non l’hanno fatta desistere dalla sua missione comunicativa che l’ha fatta entrare in tutte le case, diventando un volto popolarissimo a quelle latitudini.
“La settimana scorsa ero a Brescia e stavo passeggiando con una mia amica - riferisce al Cinema Teatro Valbrenta -. Un giovane immigrato senegalese mi ha visto e mi ha detto: “Ciao Chiara, perché non ti vediamo più in televisione?”. Sono passati due anni e la gente mi riconosce e si ricorda ancora di me.”

L’incontro di Solagna organizzato da Veneto Barbaro è l’occasione per alcune riflessioni sul concetto dell’“essere straniero”, su quale luogo possiamo chiamare “casa”, sulla ricerca di un “altrove” per cambiare vita (il Senegal è anche terra di immigrazione, con 84 comunità nazionali presenti), su come cambiare il nostro sguardo oltre i preconcetti che limitano la nostra capacità di comprensione nei confronti degli “altri”.
Chiara Barison, da brava comunicatrice, fornisce a tale scopo anche alcuni strumenti per la conoscenza diretta ed aggiornata, non filtrata dalle “narrazioni” occidentali, di quello che per noi può essere definito il Senegal questo sconosciuto.
Con l’ausilio di una serie di foto proiettate sullo schermo, indica i nomi di alcuni blogger, influencer e videomaker senegalesi grazie ai quali si può accedere a contenuti per noi sorprendenti a riguardo di quel pezzo di Africa contemporanea.
Come ad esempio il suo amico Matador, storico rapper ormai di una certa età, che col suo progetto Africultururban aiuta i giovani delle banlieu più povere di Dakar, formandoli alla musica e avviandoli a carriere artistiche, evitando loro di imbarcarsi sulla prima carretta del mare in partenza per l’Europa.
O come Selly Raby Kane, la giovane stilista di Dakar rappresentante della moda Made in Africa, baciata ormai dalla fama internazionale, che ha vestito, tra gli altri, anche la signora Beyoncé.
Oppure il video-blogger Cheikh Moustapha, famosissimo in terra patria, che realizza e posta video anche turistici sui Paesi esteri dove i giovani senegalesi possono recarsi senza il visto obbligatorio sul passaporto. Ovvero: social e socialmente utile.
Questi ed altri ancora sono i portavoce di un’Africa che vuole dichiarare la propria emancipazione, al di là delle donne che camminano col vaso in testa, che ci saranno sempre, e di una situazione socio-economica che fa ancora del Senegal un Paese di forte emigrazione di fortuna.

Postilla di chiusura.
Fra i testimonial di questo “Senegal sorprendente” ci sono anche il videomaker Elhadj Keba e il danzatore Lamine Diagne, con cui Chiara Barison collabora e che avrebbero dovuto affiancarla sul palco della serata di Veneto Barbaro a Solagna.
Tuttavia, l’impossibilità di ottenere in tempo utile il visto per l’Italia ne ha impedito la partecipazione. Ma dove si ingolfano le catene della burocrazia, scatta la libera espressione dell’arte.
E così, sul grande schermo del Cinema Teatro Valbrenta, l’incontro si conclude con la proiezione di un suggestivo video a tre voci realizzato per l’occasione da Chiara, da Elhadj e da Lamine, che invita a riflettere sulla condizione della “vita altrove”, per chi arriva in quel Paese dell’Africa occidentale subsahariana e per chi vuole partire.
E qui siamo arrivati al termine della Solagna - Dakar, rally internazionale oltre le dune degli stereotipi e dei pregiudizi. È stato un bel viaggio.

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