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Rinascimento in bianco e nero

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Rinascimento in bianco e nero

Luigi MarcadellaLuigi Marcadella
Giornalista
Bassanonet.it

Attualità

Andreotti visto da vicino

Presentato in sala Chilesotti l’ultimo libro di Stefano Andreotti “I diari degli anni di Piombo”

Pubblicato il 28-10-2022
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Rinascimento in bianco e nero

Di solito le cronache partono dall’abc dell’evento: chi c’era, chi non c’era, le frasi ad effetto, l’affluenza.
Qui, per sgombrare subito il campo dagli equivoci, partiremo dal dire che ieri pomeriggio in sala Chilesotti si è dibattuto solo di sfuggita delle vicende più tristi degli anni di piombo. Stefano Andreotti, terzogenito di Giulio, sette volte presidente del Consiglio e indiscusso protagonista della storia pubblica e di quella segreta della Prima Repubblica, è salito da Roma per raccontare ai lettori bassanesi di VenerdìStoria – in un meraviglioso mercoledì quasi primaverile – la sua ultima fatica familiar-letteraria, “I diari degli anni di Piombo”, edizioni Solferino (prefazione di Bruno Vespa).
Nessuna interpretazione segreta dunque degli anni della violenza, degli oltre 400 morti lasciati sul campo, delle contestazioni, del terrorismo rosso e nero, degli scontri di piazza. Il figlio del Divo, con un passato da dirigente della Siemens, dopo la pensione, con la sorella Serena si è inventato un proficuo mestiere di biografo e ricercatore della vita pubblica e privata del padre, con un obiettivo preciso e nobile, quello di “umanizzare” la figura di un politico a cui l’immaginario collettivo, guerre puniche a parte, ha attribuito la paternità di tutti i complotti di questo Paese.

Il senatore a vita Giulio Andreotti

Il convegno è stato introdotto dall’Assessore alla Cultura Giovannella Cabion che meritoriamente ha pensato bene di portare in prima fila i ragazzi delle scuole ad ascoltare le memorie andreottiane, sicuramente utili per dare qualche appiglio di interesse ai giovani e invogliarli a mettere il naso nella storia recente italiana senza preconcetti di appartenenza. Doveroso e significativo il minuto di silenzio che la professoressa Cabion ha fatto tributare dalla sala alla memoria del senatore Pietro Fabris recentemente scomparso. Andando al cuore delle presentazione: è stata moderata dal giornalista Giandomenico Cortese con la doppia introduzione di due democristiani amici di Giulio Andreotti.

Ha scaldato per primo i microfoni Giuseppe Saretta che, tra una rievocazione e l’altra delle sue frequentazioni romane (è stato parlamentare per tre legislature, dal 1983 al 1994), ha ricordato il “rito” della Santa Messa mattutina a cui si dovevano sottoporre i parlamentari, anche i meno devoti, che volevano un appuntamento immediato con il “Presidente”. E quindi sveglia presto, prestissimo: Messa alle 7:30, con Andreotti che accende il cero e fa la comunione, e poi a seguire un rigenerante “cappuccino e cornetto” con il leader democristiano per parlare con la pancia piena di cose pratiche. Il tutto, come racconta il misquilese Saretta, seguendo sempre un consiglio di vita recapitato dal più esperto senatore Onorio Cengarle ai peones vicentini della Dc:
«A Roma el primo anno tasi, el secondo scolta». Una parte non secondaria del mito andreottiano era collegato al potere delle sue “segnalazioni”. Un ricordo tutto bassanese evocato da Saretta: il famoso direttore d’orchestra Roberto Zarpellon da giovanissimo vinse una prestigiosa borsa di studio per frequentare il Conservatorio di Vienna, l’unico in Italia. Ma studiare all’estero costava un patrimonio. Saretta alla prima occasione ne parla in Transatlantico con il Divo: «Il ragazzo è un talento assoluto, è un’occasione unica, ma vivere a Vienna costa. Tanto, troppo».

Andreotti si appunta in un angolo di un giornale il nome del giovane musicista in erba. Saretta perde le speranze di una “segnalazione” davvero in grado di cogliere il segno. Magicamente, dopo meno di quindici giorni, il futuro direttore d’orchestra troverà alloggio nella casa degli studenti di Vienna. Una sinfonia perfetta per decifrare il vero potere andreottiano: attenzione alle grandi e alle piccole cose, ai segreti del Vaticano e della diplomazia internazionale ma anche all’aiuto indirizzato agli sconosciuti e ai meritevoli. Tocca al secondo Dc di casa, Luigi D’Agrò, ricordare il “suo” Andreotti. 1989: elezioni Europee, il Divo si candida nel Nordest e ha bisogno di un supporto anche da parte degli amici dorotei. Per consegnare brevi manu i santini alle truppe bassanesi, Andreotti arriva a pranzo al “Camin” scortato dalla padovana Elisabetta Gardini, oggi in Fratelli d’Italia. I dorotei mantengono i patti e convogliano una parte dei loro voti anche al leader romano.
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Salto di quindici anni, 2006: elezione del Napolitano I, in un salottino riservato del Transatlantico, il Divo circondato da mille discussioni sui massimi sistemi delle strategie per eleggere il nuovo Capo dello Stato, chiede incuriosito a D’Agrò: «Ci sono ancora giovani cattolici che si impegnano nelle elezioni universitarie in Veneto?».
Manca l’Andreotti visto dal salotto e dal tinello di casa sua e quindi il microfono passa al figlio Stefano, venuto a raccontare ai lettori bassanesi le chicche più intriganti di un tomo di ben 700 pagine. Il giornalista Cortese dà il via al botta e risposta con l’immancabile sfilza di record numerici ascrivibili ad Andreotti: 7 volte presidente del Consiglio, 50 libri scritti, 28 partecipazioni al Meeting di Rimini, sposato per 69 anni con Livia Danese (questo sì un vero record). Proprio alle kermesse di Comunione e Liberazione si incrociano le strade di Andreotti e Cortese, inviato dal Gazzettino per tentare di punzecchiare il Divo con qualche domanda scomoda.

Dice Cortese: «Andreotti mi ha sempre affascinato, un po’ meno gli andreottiani». Par di capire che il volume in presentazione elaborato a quattro mani da Stefano Andreotti e dalla sorella Serena (un passato all’Enciclopedia Treccani) non sarà sicuramente l’ultimo, considerata la mole immensa di documenti lasciati in eredità dal padre, qualcosa come 700 metri di carte da leggere, ora custodite presso l’archivio Sturzo e accumulatesi giorno dopo giorno su agende, block notes e fogli liberi a partire dal 1945, anno in cui il Divo prese sul serio il consiglio di Leo Longanesi di scrivere un diario personale. Stefano Andreotti ricorda anche un’altra pubblicazione ora in libreria: “Cara Liviuccia. Lettere alla moglie”, una raccolta di lettere di Giulio Andreotti indirizzate alla moglie Livia.

«Queste sì le abbiamo trovate in un cassetto segreto all’interno di un armadio. In queste lettere si può trovare un’altra immagine di mio padre, sicuramente inedita per chi lo ha conosciuto solo attraverso le lenti spesso distorte di una certa storiografia». A seguire un po’ di flash gustosi raccolti a macchia di leopardo durante la presentazione. Andreotti e la parità di genere: «Il primo ministro donna in Italia fu Tina Anselmi nel 1976, governo Andreotti III. Ci sono voluti altri 45 anni per avere finalmente una donna a Palazzo Chigi».

Andreotti e lo sport: «Mio padre fu un eccezionale sportivo, ma da seduto. Era difficile convincerlo anche a fare una piccola passeggiata. Le sue due grandissime passioni? L’ippica e la Roma. I calciatori della Roma aveva imparato a conoscerli fin da bambino, quando andavano a mangiare in una trattoria in via dei Prefetti dopo gli allenamenti». Andreotti e Madre Teresa di Calcutta: «Tantissime le lettere che si scambiavano. Durante gli anni dei processi rimasero in costante contatto. Pensate che chiedeva a mio padre di pregare per lei».
Gli Andreotti’s secrets si avviano alla conclusione scorrendo vicini alle splendide esposizioni del Canova.
Parafrasando una fortunata serie di libri scritti dal presidente Andreotti, ieri grazie al VenerdìStoria i bassanesi hanno visto da vicino anche il figlio del Divo.

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