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Alessandro TichAlessandro Tich
Direttore Responsabile
Bassanonet.it

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Il mio nome è Nessuno

Tutto il vuoto e tutto il grigio della politica nazionale: a Bassano tabelloni elettorali deserti. Ma il fenomeno è diffuso ovunque. Un sistema desueto per la politica che corre dietro ai social

Pubblicato il 08-09-2022
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Il mio nome è Nessuno.
Con un simile presupposto, il buon Ulisse avrebbe un seggio assicurato in Parlamento.
Ma così è se vi pare: a giudicare dalle file di tabelloni elettorali sparse per la città di Bassano, sembra che alle elezioni politiche di domenica 25 settembre a candidarsi sia proprio Nessuno.

Tabelloni elettorali desolatamente vuoti in viale delle Fosse (foto Alessandro Tich)

Pannelli deserti, senza alcun manifesto. C’è solo il grigiore metallico di quegli spazi pieni di nulla, quasi a voler rappresentare tutto il vuoto e tutto il grigio della politica nazionale.
Fa eccezione la sola Ilaria Brunelli, candidata bassanese alla Camera con Italexit.
A Bassano il suo manifesto compare sporadicamente qua e là, in solitaria e collocato in mezzo a tutto il resto del vuoto a perdere. Scatto una foto del manifesto affisso in modalità “oasi nel deserto”, la mando alla candidata e le chiedo ironicamente se ci sia solo lei a presentarsi alle politiche. “Un plebiscito”, scherza la Brunellexit nella sua risposta su WhatsApp.
Amenità a parte, l’effetto Nessuno sui tabelloni di questa campagna elettorale comunque sottotono è un segno dei tempi che non va sottovalutato. Il fenomeno non accade infatti solo a Bassano, ma è diffuso ovunque in Italia. Può anche darsi che qualche lista o qualche partito si dia alle affissioni nell’ultima settimana prima del voto, ma sarà comunque poca cosa rispetto al passato.
È il segno manifesto della fine dell’era dei manifesti, già in via di estinzione da qualche anno per la verità. Roba vecchia, troppo statica, troppo cartacea (e va considerato anche il sensibile aumento del costo della carta) e probabilmente ormai inutile per una consultazione nazionale.
È anche la conseguenza di un sistema elettorale che propone già dei nomi prestampati sulla scheda, eliminando le preferenze e costringendo l’elettore a non fare altro che vidimare scelte già fatte da altri. La prevalenza viene tutta data al simbolo e allo schieramento da votare, con una dinamica comunicativa che non è più rivolta al cittadino elettore che passa distrattamente per la strada, ma al cittadino elettore che digita o che clicca: sullo smartphone, sul mouse, sul telecomando.
La ricerca del consenso, al giorno d’oggi, evita pertanto le vecchie e ormai desuete lamiere dei tabelloni sulle strade. Anche perché affiggere i manifesti nei vari Comuni costituisce un impegno non da poco per le formazioni politiche sul piano locale: servono attacchini volontari, armati di colla e scopettone, disposti a farsi il mazzo per il bene della causa.
Una volta i volontari di partito addetti alle affissioni on the road non mancavano, ma era il tempo della politica partecipata, oggi praticamente una chimera.
È cambiata la politica, attualmente ridotta al ping pong di parole della cerchia ristretta dei leader nazionali di partito che twittano, postano o compaiono costantemente in tv.
È cambiata soprattutto la comunicazione elettorale che insegue altri canali: Facebook, Instagram, il web, la messaggistica, gli ancora inossidabili spot televisivi nelle emittenti commerciali, i video in loop nelle stazioni ferroviarie eccetera.
Eppure c’è una vecchia legge nazionale, la cui prima formulazione risale addirittura al 1956, che tra il 33simo e il 30simo giorno prima del voto impone ancora ai Comuni di noleggiare, o di tirare fuori dal magazzino comunale per chi li ha acquistati, questi scheletri di lamiera e di collocarli per le vie e i quartieri del territorio comunale.
Chi è il responsabile del mantenimento in vita di queste strutture così brutte a vedere, così costose per gli enti pubblici e oramai così anacronistiche? Ovviamente Nessuno.

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