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Brassaï. L’occhio di Parigi

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Brassaï. L’occhio di Parigi

Alessandro TichAlessandro Tich
Direttore Responsabile
Bassanonet.it

Attualità

Per sempre Mundial

Esattamente 40 anni fa il trionfo dell’Italia al Mundial di Spagna ‘82, col 3 a 1 alla Germania Ovest al Bernabeu. È stato il momento in cui siamo tornati a scendere sulle piazze per il più grande fenomeno di euforia nazionale che si ricordi

Pubblicato il 11-07-2022
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Brassaï. L’occhio di Parigi

Caspita, sono passati esattamente 40 anni. Se ci pensate bene è un’eternità.
Ma per chi c’era già in quell’11 luglio 1982 sembra ieri, sembra oggi e continuerà a sembrarlo anche domani. Non è memoria: è un moto perpetuo. Che si rinnova di continuo, che rigenera l'emozione, che fa parte di te.
La generazione che ha avuto il privilegio di assistere in diretta televisiva a Italia-Germania Ovest 3 a 1, il trionfo azzurro al Mundial di Spagna nella straordinaria finalissima al Santiago Bernabeu di Madrid, sa di che cosa parlo. Chi invece è nato dopo, e che ha quindi il privilegio di essere più giovane di noi, può solo sentirne i racconti, riguardare i video, riscoprire le foto di quella pagina di storia nazionale, e non solo del calcio, ma non può umanamente capire - perché non lo ha provato, neanche nel 2006 - che cosa ha significato e che cosa ha fatto esplodere negli animi di un’intera Nazione quella notte di ordinaria follia.

Fonte immagine: ilnapolista.it

Allora - e parlo per me - i giovani eravamo noi: un fattore anagrafico che ha reso certamente ancora più folle l’ardore e l’entusiasmo per quella Coppa del Mondo alzata al cielo da capitan Zoff. Il clima era già euforico, e l’adrenalina già messa a durissima prova dai due inaspettati trionfi preliminari nel girone di ferro dei quarti di finale.
L’Argentina di Maradona e il Brasile di Zico e Falcao, quest’ultimo favoritissimo squadrone stellare, messi sotto dai magnifici guerrieri del Ct Bearzot contro ogni pronostico, dopo un girone eliminatorio giocato male e superato per il rotto della cuffia, tra polemiche in patria, attacchi sui giornali e il silenzio stampa degli azzurri.
Dopo il 3 a 2 al cardiopalmo rifilato al Brasile al Sarriá di Barcellona e soprattutto dopo l’improvviso risveglio di San Pablito Rossi - che il Cielo lo abbia in gloria - avevamo tutti la potente sensazione che nulla e nessuno ci potesse più fermare. E dopo la semifinale con la Polonia, che la forza cristallina di quella Nazionale aveva ridotto a una pura formalità, i panzer di quella che si chiamava ancora Germania Ovest incutevano rispetto, ma non terrore.
La squadra tedesca è stata surclassata sul campo, nonostante un primo tempo senza gol e il rigore sbagliato di Cabrini, che avrebbe potuto confondere la testa e tagliare le gambe a chiunque. Ma quel momento di sofferente sconforto ha reso poi incommensurabile l’eccitazione collettiva per i tre gol di Rossi-Tardelli-Altobelli, festeggiati al Bernabeu dalle braccia alzate del presidente Pertini, impossibile da descrivere a parole.
Quella è stata la notte in cui, dopo decenni, siamo tornati a scendere sulle piazze.
Ciascuno di noi ha la sua piazza e il suo indelebile ricordo di quei momenti.
Io avevo appena compiuto 23 anni e abitavo a Mestre. È lì che ho dato sfreno e sfogo, assieme a tutti gli altri, al più grande fenomeno di euforia nazionale che si ricordi.
L’Italia stava uscendo da un decennio terrificante, culminato il 2 agosto 1980 con la strage terrorista alla stazione di Bologna. Era come se il piombo di quegli anni, che aveva ucciso e sparso sangue anche nella città dove abitavo, venisse d’un tratto cancellato dall’oro delle medaglie dei vincitori.
Anch’io dunque, come tutti, ho follemente festeggiato ma non avevo una bandiera italiana, non l’avevo comprata per scaramanzia. Avevo però a casa una bandierina di carta ungherese, che ha gli stessi tre colori di quella italiana ma collocati su tre strisce orizzontali: l’ho capovolta per creare il tricolore verticale e sventolandola col manico di legno rovesciato a mezza altezza ho vissuto coi miei amici la mia notte di pazzia in mezzo a un mare di folla tra corso del Popolo e piazza Ferretto. Indimenticabile.
Certo: poi ci sono state, dopo qualche ciclo d’anni, altre vittorie e altre feste.
Sono impazzito per i gol di Totò Schillaci a Italia ‘90. Ho perso la voce per le urla ai due gol di Roberto Baggio contro la Nigeria che vinceva 1 a 0, il primo in extremis e il secondo ai supplementari, nell’ottavo di finale dei Mondiali di USA ‘94, con successive scene di giubilo di massa in piazza Libertà. Ho quasi rotto il divano saltando di gioia per la vittoria azzurra contro la Francia nella finalissima mondiale di Berlino del 2006. E il buon Dio, nei tempi recentissimi, mi ha dato anche la fortuna di assistere in diretta al trionfo dell’Italia agli Europei, l'anno scorso e sempre l'11 luglio, contro l’Inghilterra a Wembley.
Ma sia il Mondiale del 2006 che l’Europeo 2020 giocato nel 2021 hanno avuto due esiti sofferti, sempre sul filo della possibile beffa, entrambi terminati con la massima tortura dei calci di rigore. Ci è andata bene, fortunatamente, e onore e gloria all’Italia di Lippi e all’Italia di Mancini. Ma probabilmente non ha vinto la squadra più bella del torneo: e di Francia-Italia a Berlino si ricorda di più la testata di Zidane a Materazzi che non l’imperioso gol di testa del pareggio di Materazzi stesso.
Spagna ‘82 stata invece un’altra cosa. È stato il trionfo di una squadra che, dall’Argentina in poi, si divertiva e faceva divertire, murandosi in porta, dominando in difesa e a centrocampo e finalizzando in attacco con un calcio di alta scuola.
Il grandissimo Pablito, il supremo Zoff, Gentile, Scirea, Zio Bergomi, Conti, Tardelli e tutti gli altri: contro quella Germania Ovest non c’è stata storia, l’euforia nazionale non è esplosa all’ultimo secondo ma ha preso coscienza e consistenza in eccitante progressione fino a quel 3 a 0 - con l’immagine iconica di Bruno Conti che si accascia da solo in ginocchio sulla sua ala destra mentre tutti gli altri affondano Spillo di abbracci - che ha dato un significato assoluto alla parola “apoteosi”.
Potrei continuare a scrivere e a inondarvi di aggettivi, ma a chi non ha vissuto quei momenti è realmente impossibile descrivere a parole i reali sentimenti di quell’11 luglio 1982.
Una cosa è certa: ci sono stati e ci saranno ancora tanti Mondiali, ma c’è stato e ci sarà per sempre un solo Mundial. Un fantastico trionfo che è stato molto di più di un fenomeno generazionale. E un Campionato del Mondo che ha consegnato alla storia dell’arte un nuovo capolavoro: dopo l’Urlo di Munch, l’Urlo di Tardelli.

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