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Pietro Fabris è il “Senatore” per antonomasia a Bassano del Grappa. Ha avuto un’infinità di ruoli politici, ma è stato soprattutto sindaco della città dal 1967 al 1975.
Senatore, auguri. Quanti sono?

Senatore Pietro Fabris
«87».
Quindi terza dose?
«Sì, sto aspettando la convocazione. Spero arrivi il più velocemente possibile. Ho provato il Covid sulla mia pelle, non sono finito in ospedale ma ho avuto problemi molto seri».
Che effetto le fa vedere Bassano piazza calda del movimento No vax, No green pass. “Trieste chiama, Bassano risponde”…
«Non li capisco proprio. Con tutta la possibile comprensione umana, cristiana, cattolica. Capisco chi non può farlo per motivi di salute. Ma tutti gli altri? Perché devono danneggiare la collettività? Bisogna guardare all’interesse generale, per fortuna ci stiamo riprendendo dal punto di vista economico, vogliamo rovinare tutto? Sono ragionamenti basilari: pretendono che il 15 per cento della popolazione condizioni il restante 85 per cento».
È passata qualche settimana, a mente fredda come le sono sembrate le manifestazioni per la restituzione del Ponte?
«È stata una festa della città. Poi si sa, le manifestazioni, come la politica, c’è chi le vede bianche, gialle o nere… È fatale che qualcosa sia sfuggito di mano, ma nel complesso hanno portato lustro a Bassano. Il Ponte non è un manufatto qualsiasi, esprime la nostra storia di bassanesi, è la nostra identità, guai se la perdessimo».
Quindi finalmente basta polemiche sul Ponte?
«Direi di metterci una pietra sopra e pensare al futuro».
Il futuro è il progetto di riconoscimento del Ponte come patrimonio Unesco.
«Non credo sia risolutivo dei tanti problemi della città, ma sicuramente male non farebbe. Attenzione però a come si imposta la pratica, non sarebbe saggio allargare l’area Unesco a tutto il centro storico. Significherebbe metterci dei vincoli incredibili per il futuro. I funzionari tecnici diventerebbero i padroni della città».
A proposito di burocrazia: il grande architetto Sergio Los nei giorni scorsi, proprio qui su Bassanonet, ha rilanciato un po’ di idee per ricominciare a pensare lo sviluppo della città.
«Le idee camminano sulle gambe degli uomini, ci vorrebbero uomini con visioni. Luigi d’Agrò in un’intervista recente ha detto che questa amministrazione è quella che più ha rotto con i legami del passato. Io aggiungo: non si può coltivare qualcosa prescindendo dalle radici. Storia e tradizioni possono dare ottime indicazioni per gli sviluppi futuri della città».
Concretamente in che modo si può fare?
«L’amministrazione ha di fronte 2-3 grandi temi che deve assolutamente prendere in mano. Per esempio, l’area che dal Caffè Italia arriva fino alle scuole Mazzini e Vittorelli. È stata oggetto di uno studio con proposte pratiche di intervento. È una zona strategica, ma devono essere convinti sul da farsi. Cosa facciamo dell’ex Caserma Cimberle Ferrari? I vecchi progetti sono da archiviare? Basta dirlo alla città e si va avanti. Anche il destino della scuola Mazzini, con l’ipotesi della Vittorelli come destinazione alternativa di utilizzo, sono temi da grande dibattito cittadino. Serve però un’idea dell’amministrazione su cui impostare il dibattito».
Lei è il padre del primo Piano Regolatore (anno domini 1967): sono passati decenni e ci becchiamo sempre il traffico infernale della discesa Brocchi nonostante l’area vasta della Stazione sia un blocco ancora da connettere al resto della città.
«Si è discusso molto in passato, se non sbaglio lo stesso professor Los era il principale teorico del progetto per bypassare il viale della Fosse collegando l’area della Stazione al resto della città con una viabilità sotterranea. Siamo rimasti per aria anche su questo tema, direi di riprovare a fare alcune simulazioni per trovare soluzioni nuove. E poi c’è il grande equivoco…».
Quale?
«L’Astra, perché si tratta di un cinema e non di un teatro. Prima di decidere se comprarlo o meno bisogna capire se resterà appunto un cinema o se verrà trasformato in teatro. Come si aggiungono gli spazi necessari per avere un palcoscenico adeguato, camerini, servizi? Quanti soldi servirebbero? E nel caso bisognerebbe già trovare in anticipo i fondi di finanziamento ad hoc per non intaccare le possibilità di indebitamento per altre opere pubbliche».
Ha un rimpianto nella sua carriera da amministratore bassanese?
«Rifarei tutto quello che ho fatto. Forse, col senno di poi, avrei cercato un progetto definitivo per quello che oggi viene chiamato Piano Mar. Già all’epoca si capiva il problema di integrare meglio l’area ferroviaria alla città».
Io avrei scommesso il “Quarto Ponte”…
«Nel 1969 accantonammo quell’idea. Prevedeva una strada di collegamento da San Vito, con un ponte per attraversare il Brenta, fino al quartiere XXV Aprile. Avrebbe stravolto il paesaggio bucolico di villa Cà Michiel e delle sue splendide aree verdi. O si sceglieva l’ambiente o la strada».
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