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Alessandro TichAlessandro Tich
Direttore Responsabile
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Attualità

Rosa Shocking

Quando Marco Pantani passò per Bassano in maglia rosa, nel tripudio della folla. Due giorni dopo, il test ematico a Madonna di Campiglio: l'inizio della fine. Venerdì 27 alla Bassanese riflettori su “Pantani ucciso due volte” con Davide De Zan

Pubblicato il 25-02-2015
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Ho ancora un vivissimo e emozionante ricordo che risale al 3 giugno 1999.
Era la data della 19sima tappa del Giro d'Italia di quell'anno, la Castelfranco Veneto-Alpe di Pampeago. Per raggiungere le strade trentine, la Corsa Rosa transitava per Bassano del Grappa. Mi ricordo i due lati di via Parolini, dove avevo scelto di assistere al passaggio della carovana, pieni di gente: giovani, anziani, adulti, bambini, famiglie, scolaresche. Idem, se non di più, in viale delle Fosse e nelle altre strade incluse nel percorso.
Eppure Bassano non era sede di partenza, né di arrivo di tappa.

Fonte immagine: ilrestodelcarlino.it

Solo una città di attraversamento, prima di affrontare le montagne, dove il Giro - come è successo anche in altri anni - arriva veloce, passa in pochi attimi e altrettanto velocemente se ne va. Non manca mai il pubblico, ovviamente, in simili occasioni. Ma quell'anno non era la stessa cosa: c'era più gente del solito. L'atmosfera era elettrica, l'attesa spasmodica. Perché in mezzo a quel gruppone che di lì a poco avrebbe sfrecciato tra le due ali di folla c'era un uomo in maglia rosa. Si chiamava Marco Pantani.
Tutta quella gente ai lati della strada era lì solo per lui. Compreso il sottoscritto. C'erano anche gli altri, ma erano invisibili. Tutti ad aspettare quel puntino rosa che, nella tappa ancora alle prime fasi, sarebbe passato seminascosto tra le altre cento e più maglie del gruppo compatto. Un'emozione rosa shocking. Amplificata dal boato collettivo esploso alla vista, per pochi attimi, di quel puntino rosa che a pochi chilometri dalla partenza, forse per salutare a suo modo la città di Bassano, era già nelle posizioni in testa al gruppo. Inconfondibile, al di là del colore della maglia che indossava. Un'icona, prima ancora che un'atleta. Ricordo che quando mi è apparso davanti agli occhi, mentre tutti urlavano il suo nome cercando di allungare lo sguardo su quella testa pelata, mi sono corsi i brividi lungo la spina dorsale. Non me ne do una spiegazione logica, è stato irrazionale.
Eppure avevo già visto dal vivo altri Giri d'Italia con altri campioni in rosa e, per lavoro, avevo più volte incontrato altri grandi fuoriclasse di questo sport: da Bugno a Fondriest, da Saronni a Moser. Ma Pantani, in quel momento, era un'altra cosa. Non so spiegare cosa, come non se la sono spiegata le migliaia di persone che hanno condiviso quegli esaltanti momenti di una soleggiata mattinata bassanese.
Era semplicemente lui. Il Pirata. Un uomo diventato un simbolo, in nome del popolo italiano. Che quel 3 giugno 1999 vinse la tappa, arrivando solitario ai 1760 metri del traguardo di Pampeago dopo aver staccato in salita Simoni, Gotti, Savoldelli e tutti gli altri.
Me lo ricordo eccome, quel giorno. E se lo ricordano tanti altri.
Perché il giorno successivo, il 4 giugno, si correva la 20sima tappa del Giro, la Predazzo-Madonna di Campiglio. E dal rosa shocking si è passati allo shock.
Il test ematico la mattina del 5 giugno in albergo a Madonna di Campiglio, l'ematocrito oltre i limiti consentiti, la sospensione dal Giro, l'uscita dall'hotel scortato dai carabinieri, la squalifica. Era, per chiunque avesse appreso la notizia, come se crollasse il mondo: e, per il Pirata, l'inizio della fine. O, se preferite, l'inizio di una vicenda che è entrata di diritto nel poco edificante novero dei misteri d'Italia, sfociata nel suo tragico epilogo nella stanza di un residence, il 14 febbraio 2004 a Rimini.
Una storia che negli ultimi tempi, come sappiamo, è stata clamorosamente rovesciata. La Procura di Forlì ha aperto un'inchiesta sull'ipotesi di associazione a delinquere finalizzata alla truffa e alla frode sportiva, tramite un'alterazione del controllo che estromise Pantani dal Giro d'Italia '99, alimentata dal giro delle scommesse sportive. Parallelamente la madre del campione, Tonina, ha promosso un'indagine privata per ricercare la verità sulla morte del figlio, evidenziando le numerose contraddizioni emerse prima, durante e dopo il ritrovamento del suo corpo a Rimini.
Indagini ancora in corso su vicende che, per molti versi, restano ancora oscure.
C'è però chi esplicitamente parla di complotto ai danni del Pirata: è Davide De Zan, giornalista e telecronista della redazione sportiva di Mediaset, figlio d'arte dello storico telecronista Rai del Giro d'Italia Adriano De Zan, che ha dato alle stampe per i tipi di Piemme il libro-inchiesta “Pantani è tornato. Il complotto, il delitto d'onore”.
Davide De Zan, che è stato un amico di Marco Pantani, è una delle tre persone - assieme a mamma Tonina e all'avvocato della famiglia Pantani Antonio De Rensis - che non ha mai smesso la battaglia per trovare finalmente la verità sulla fine del campione, e restituirgli l'onore. E venerdì 27 febbraio sarà a Bassano dove - nella sede degli “Incontri senza Censura” alla libreria La Bassanese, in Largo Corona d'Italia, con inizio alle 20.45 - ripercorrerà le fasi salienti della controversa vicenda “fornendo dettagli, fatti e clamorose dichiarazioni, analizzati nella loro sconvolgente evidenza, rompendo il muro di menzogne”.
“Pantani - informa in una nota l'organizzatore della serata Marco Bernardi - è tornato davvero, nel senso che la magistratura ha riaperto il caso, anche per merito delle ricerche e le incongruenze di molti aspetti che De Zan e i legali della famiglia Pantani hanno evidenziato. A distanza di 11 anni dalla morte del campione, il caso-Pantani, che tutti i media stanno radiografando con attenzione, diventa attualità con la magistratura in prima fila.”
La serata sarà arricchita da video nonché da letture dal vivo di Anna Branciforti ed inoltre, per gentile concessione della Wilier Triestina, sarà esposta la bici di Pantani usata al Tour de France del 1997, con la quale il Pirata ha fatto il record di scalata dell’Alpe d’Huez - ancora imbattuto - e vinto la tappa di Morzine.
E' il rovescio glorioso della medaglia di Marco Pantani. L'altro rovescio, quello inquietante, parla di una “caduta all'Inferno” da cui uno dei ciclisti più amati di sempre non sarebbe più riuscito a risalire. “A Campiglio hanno ucciso il campione, a Rimini l’uomo. Un solo uomo ucciso due volte”, si legge nel libro di De Zan. Una storia che continua ad essere contornata da tinte fosche.
Ma che mai potrà cancellare la memoria di quei brividi rosa di una mattina di sole in via Parolini.

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