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Laura Vicenzi
Giornalista
Bassanonet.it
La lezione dell’Islanda
Hörður Torfason, ospite a Vicolo Gamba, ha traghettato in città l’esperienza civile del popolo islandese
Pubblicato il 18-04-2012
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La tappa al Caffè dei Libri di Hörður Torfason, il leader in Islanda della rivolta “silenziata” – non “silenziosa” come traduciamo noi pensando alla sua connotazione pacifica – contro la politica economica fallimentare del suo Paese, fa parte di un lungo peregrinare per il mondo assunto come dovere sociale dall’artista per far conoscere, direttamente dalla sua voce, l’esperienza che sta vivendo l’Islanda.
Torfason è stato accolto a Vicolo Gamba dal direttore di Bassanonet, Alessandro Tich, che ha traghettato per i più il suo lungo discorso in inglese, e già la necessità di un mediatore anche per una lingua veicolare la dice lunga sul margine di movimento che noi Italiani abbiamo l’abitudine di lasciare ad altri. Torfason, in piedi, ha lasciato la sua sedia a disposizione del pubblico che ha affollato il locale, si è presentato e ha parlato a lungo della sua vita, e il racconto dell’uomo, con le sue vicissitudini personali, a dispetto dell’attività artistica, non è mai sembrato un assolo, la narrazione di un singolo, così intrecciata alla storia, al costume, all’attualità, all’economia e alla politica di un Paese è parsa sempre il discorso di un cittadino. “Io sono un attore, un cantante, mi occupo di teatro, di musica, scrivo e sono gay” ha esordito così Torfason. L’omissione di questo ultimo aspetto, il suo mascheramento, gli avrebbe certo garantito una vita più tranquilla, negli anni ’60 in Islanda l’essere dichiaratamente omosessuali, e la parola importante è “dichiaratamente”, era una discriminante che aveva conseguenze gravi e ripercussioni notevoli nella dimensione personale, sociale e professionale degli individui, non è esagerato parlare di persecuzione. La sua dichiarazione, quindi la sua scelta deliberata di rendere pubblico questo aspetto e di non trincerarsi per comodità dietro il cartello “privato”, risale al 1975, e da quell’anno la sua carriera di artista, fino a quel momento popolare, fiorente, è andata alla deriva, è stata “silenziata”. Senza arrendersi all’ostracismo messo in atto dai media, Torfason ha ricostruito dal basso il suo rapporto con la gente, rifiutando la condizione dell’esilio e andando nei teatri, nei locali, continuando a lavorare: si è attivato. “Sono un attivista dei diritti umani”, ha aggiunto alla sua presentazione: nel ’78 ha contribuito alla costituzione di un gruppo in difesa della parità dei diritti delle persone di ogni orientamento sessuale; più tardi ha manifestato a lungo per il rimpatrio di un ragazzo profugo originario del Ghana espulso dall’Islanda, e la sua azione si è conclusa felicemente; poi si è attivato senza risparmio per i fatti che conosciamo notizie.bassanonet.it/attualita/10826.html. Non è un economista Torfason, “a me il denaro serve per vivere, certo non vivo per il denaro”, e non si addentra nelle questioni specifiche se non per spiegare i fatti, chiari, da cui ha preso le mosse la rivolta economica e politica degli Islandesi. Nel suo discorso, un’orazione da vero “tribuno del popolo”, Torfason si è premurato di mettere in evidenza il pericolo della distorsione delle informazioni operato dai media, spesso alleati del potere; ha sottolineato il ruolo importantissimo che ha Internet con i suoi social network utilizzati a modo, e ha ribadito l’aspetto determinante di sorvegliare le modalità della protesta, che deve rimanere pacifica ed evitare le trappole della provocazione e l’affumicamento della rabbia. L’invito finale di Torfason al pubblico bassanese è stato quello di non abdicare al ruolo principale che ha il cittadino, quello di essere vigilante, guardiano della società in cui vive, e di muoversi per andare a protestare, se è necessario, senza pensare “ma siamo in pochi”, o “e poi tanto non cambia niente”, perché il momento storico è grave e lo è a livello mondiale, e alzando lo sguardo oltre il campanile o l’orticello di casa, lo provano i fatti islandesi, qualcosa si può riuscire a cambiare. Piacciono nel suo discorso da uomo comune l’intraprendenza, il portare un esempio concreto e la volontà di riallineare fatti, non vuote ideologie. La scelta di non ricorrere all’evocazione di scenari apocalittici è deliberata, Torfason non vuole suscitare l’urlo o il conato, ma la comprensione e il dialogo. Ascoltando le sue parole vengono in mente altri oratori, o provocatori, che trovano oggi alti consensi e alleanze e ai quali però mancano delle caratteristiche indispensabili per essere riconosciuti come leader: una testimonianza di vita civile onesta, pulita, e il primato che si conquista solo ad azioni, non a voce, della non ricattabilità.
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Hörður Torfason e Alessandro Tich al Caffè dei Libri
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