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F.lli Campagnolo ha appena chiuso il miglior bilancio della sua storia. 180 milioni di fatturato, indicatori finanziari in grande spolvero (l’Ebitda è intorno al 20%) e soprattutto nuovi progetti che potrebbero portare la storica azienda bassanese nella primissima fascia dei brand per l’abbigliamento sportivo anche fuori dall’Europa. Nel 2022 il gruppo bassanese dovrebbe portare il fatturato vicino ai 250 milioni di euro.
Incontriamo l’amministratore delegato Fabio Campagnolo direttamente in azienda per raccontare l’agenda strategica di F.lli Campagnolo da qui ai prossimi mesi.

Fabio Campagnolo, amministratore delegato di F.lli Campagnolo
Presidente Campagnolo, avete approvato il miglior bilancio di sempre.
«Il post pandemia ha aumentato notevolmente il numero di persone che fa attività fisica. Ci rivolgiamo ad un pubblico molto ampio, le famiglie, gli sportivi, gli amanti della montagna».
L’anno prossimo aumenterete il fatturato di altri 70 milioni di euro.
«Abbiamo indovinato la strategia anticipando alcuni trend. E soprattutto abbiamo fatto trovare al consumatore e ai negozianti il prodotto disponibile quando volevano averlo. In Italia gestiamo 50 negozi e 150 dipendenti, il canale di vendita diretto ha dato una ottima visibilità all’immagine aziendale e al nostro brand».
Negozi fisici più e-commerce, è questa una delle formule del successo?
«Non vendiamo prodotti super tecnici, quindi siamo ben posizionati anche sulle vendite online, soprattutto con Amazon e Zalando. La crescita del fatturato è il frutto della politica dei punti vendita diretti, del rapporto con i negozianti e del canale e-commerce».
La guerra e l’instabilità a livello globale hanno modificato i vostri piani di espansione?
«Il nostro catalogo invernale 2022 è stato progettato a luglio dello scorso anno. Gli ordini di oggi sono gli ordini di un anno fa. Tra i nostri clienti, in Italia e in Europa, sento un generale stato di incertezza. Sono preoccupati dall’aumento enorme delle bollette e dall’inflazione. Per il 2023 le previsioni non sono rosee, non solo per noi. L’obiettivo che ci siamo dati è cercare di tenere i numeri che faremo quest’anno».
Come state affrontando l’aumento generalizzato di tutte le materie prime?
«Ogni prodotto ha una soglia prezzo oltre la quale non può essere venduto. La scarpa da bambino oltre i 59 euro perde il 30% del mercato. Per ora tentiamo di arginare l’aumento dei costi, vediamo per quanto sarà possibile. Le faccio un esempio di come sono cambiate le cose».
Prego.
«Fino a due anni fa un container che trasportava 4 mila paia di scarpe costava dai 1.500 agli 1.800 dollari, 30 centesimi a scarpa. Oggi viaggiamo sui 15.000 dollari a container, 3 euro a scarpa».
Il mercato europeo rappresenta comunque la quota principale del vostro export.
«In Germania siamo la prima azienda nel mercato outdoor. Stiamo crescendo molto anche in Italia, complice la chiusura nelle grandi città di molti negozi sportivi multimarca. A Norimberga, città di 150 mila abitanti ci sono 10 negozi sportivi, nessuno in centro a Padova. Questa tendenza ci ha spinto ad aumentare la nostra presenza retail».
Quindi credete alla potenzialità di ripartenza economica del nostro Paese?
«Siamo italiani, dobbiamo crederci. È una scommessa anche su di noi, sul futuro del nostro territorio. Non ci sono tanti Paesi al mondo in cui si vive bene come in Italia».
Come sta cambiando la domanda europea?
«Più che europea, direi italiana. Anche da noi si assiste ad un significativo cambiamento dei gusti: dal fashion al modello sportivo. È il consumatore italiano che si sta europeizzando».
Gli Stati Uniti sono entrati nei vostri piani di espansione. Che agenda americana vi state organizzando?
«Per ora stiamo studiando il mercato, va affrontato con altre logiche rispetto all’Europa. C’è la questione delle taglie da ricalibrare e soprattutto la parte logistica. In generale è un ottimo mercato per l’outdoor, sci, trekking, abbigliamento da montagna. Siamo in contatto con un distributore locale, dobbiamo capire se è più vantaggioso entrare dalla porta principale o da un’entrata laterale. Nei nostri piani saremo in America non prima del 2024».
Anche il settore moda è coinvolto nei grandi processi di riorganizzazione produttive in chiave di sostenibilità. Qual è la politica di F.lli Campagnolo?
«Abbiamo organizzato un team che si occupa solo di sostenibilità, visto che dal prossimo anno redigeremo anche un bilancio di sostenibilità. Nel nostro settore Patagonia ha fatto scuola, ormai la sostenibilità è la condizione obbligata per la via del successo. Nelle nostre collezioni usiamo cotone e plastica riciclata, siamo tra i fondatori del consorzio Cobat che si occupa del fine vita dei prodotti. Per le calzature è più semplice il riciclo: già ora le suole in plastica si possono trasformare in tante cose, dai pavimenti ai rivestimenti. Sul filato si stanno studiando le tecniche per recuperarlo completamente».
Acquisizioni in vista?
«Preferiamo crescere per linee interne. Ad agosto 2023 le nostre clienti troveranno un nuovo marchio dedicato esclusivamente al femminile outdoor».
Entrando in azienda, ho notato nel salone d’ingresso una bellissima foto di Papa Francesco che sorride.
«Provengo da una famiglia molto religiosa. La sostenibilità riguarda prima di tutto le persone e i valori attraverso i quali si governa un’azienda. Ma riguarda anche il rispetto delle persone, dei ruoli, dei fornitori, dell’ambiente sociale in cui si opera. Siamo nati come una delle tante aziende tipiche del modello industriale veneto: l’abitazione vicinissima al capannone, l’imprenditore che fa lo stesso lavoro dell’operaio. Alla sera gli operai mangiavano a casa da noi, mia mamma preparava tre cene in base agli orari dei turni serali».
La sostenibilità e i valori possono conciliarsi anche con le logiche delle aziende di successo che hanno bilanci milionari e centinaia di dipendenti?
«Prima di misurare i dipendenti con i numeri, bisogna conoscerli. Nelle loro potenzialità, nei loro limiti. Le aziende grandi hanno l’ossessione dei numeri, tendono a creare budget sempre più insostenibili, entrano in un loop molto pericoloso. I numeri sono importanti, ma lo scopo di un’azienda sana e competitiva non può essere solo il profitto».
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