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Luigi MarcadellaLuigi Marcadella
Giornalista
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War Economy

Export, sanzioni e paura di un lockdown energetico. L’analisi di Andrea Visentin, presidente degli Industriali bassanesi

Pubblicato il 26-02-2022
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Vale 450 milioni di euro l’export dell’industria vicentina e bassanese verso la Russia e l’Ucraina. L’impatto economico che dalla geopolitica del fronte russo arriva fino agli indotti esterni delle nostre filiere della meccanica, dell’artigianato, dell’arredo casa e del tessile, potrebbe essere però ben più oneroso. Inoltre dopo l’impazzimento globale sui prezzi delle materie prime, il disordine energetico causato dal conflitto ucraino potrebbe portare oltre al blocco dell’export anche a scenari impensabili per il funzionamento della nostra economia manifatturiera. «L’impatto di una guerra è prima di tutto umano, tocca le vite del popolo ucraino, dei loro figli, la parte economica e geopolitica viene dopo. La guerra è una decisione nefanda, questo è il solo termine da usare», commenta senza tanti giri di parole Andrea Visentin, presidente del Raggruppamento Bassano di Confindustria Vicenza e vicepresidente di Energindustria (consorzio per la fornitura di energia elettrica e gas naturale).

Con una guerra vera, in corso a 2.500 km di distanza, che scenari si aprono per la nostra economia?

Andrea Visentin, presidente di Confindustria Bassano

«Da novembre in poi l’aumento dei prezzi energetici ci ha portato ad una escalation di crisi fino a porci oggi il problema in termini quasi vitali. Il governo sta impostando una serie di contromisure per fronteggiare la crisi energetica. Si parla anche di sospensione delle attività industriali. Uno scenario di lockdown energetico mette oggettivamente i brividi. È solo un’ipotesi per ora, ma significherebbe di fatto far lavorare le imprese a giorni prestabiliti se la situazione dovesse peggiorare ancora. Semplicemente perché non ci sarebbe energia per tutti. Voglio pensare che sia una opzione da ultima spiaggia».

Immaginarsi di nuovo un blocco delle fabbriche per colpa dell’energia che non arriva è un incubo…
«La speranza è che gli eventi geopolitici non vadano su scenari quasi apocalittici con sanzioni e contromisure spropositate».

Sul versante esportazioni quali sono i vostri timori?
«Quanto vale l’export diretto è abbastanza facile stimarlo, sono numeri importanti anche per le aziende del bassanese. Ma dentro le filiere che lavorano direttamente con quei mercati c’è un indotto indiretto difficilmente quantificabile. Scenari che prevedono il blocco dell’export, o addirittura la sospensione industriale, sono devastanti per un’economia che cercava la normalizzazione dopo il Covid».

Dopo il far west sulle materie prime, la guerra energetica rischia di mettere l’Europa e l’Italia nell’incudine tra l’America e il nuovo blocco russo-cinese?
«L’Italia per molti anni ha scelto di non scegliere su tante questioni energetiche. Dal nucleare alle rinnovabili, l’eolico, l’idroelettrico. Non vogliamo i termovalorizzatori, non vogliamo le trivelle sull’Adriatico. Sono temi complessi ma devono essere affrontati in modo trasparente e oggettivo. Tutto è stato stoppato da ogni lato possibile, oggi ci troviamo tremendamente fragili».

Lo richiedo: ma davvero è pensabile che in Italia si possa bloccare l’attività industriale? Perché a catena significa anche limitare l’attività delle famiglie, delle case.
«Ho letto le notizie Ansa, lo hanno scritto nero su bianco. Adesso il gioco si fa duro, se non c’è abbastanza energia o se raggiunge prezzi fuori controllo il problema si pone».

L’esercizio delle previsioni sta mietendo vittime illustri in questi giorni. Cosa è ragionevole pensare sulla questione energetica?
«Fuori il mostro del Covid ne arriva un altro. Dico quello che mi auspicherei nel breve termine per rientrare in una quasi normalità: un nuovo equilibrio da Guerra Fredda, dove la tensione di massima allerta rientra e non si spara. Così come è successo nel 2014 in Crimea».

Il mondo dell’economia veneta ha una paura enorme di quello che potrebbe scatenare il pacchetto di sanzioni occidentali.
«Certamente, ancora adesso ci sono gli effetti pratici delle sanzioni scaturite dopo la Crimea. Per esempio, noi lavoriamo per General Motors e dobbiamo garantire il totale rispetto dell’embargo commerciale verso l’Iran. Sono meccanismi che toccano in modo implacabile tutti i comparti dell’industria».

In definitiva cosa si auspica chi fa impresa?
«Non sono un politico, ma mi auguro che l’Europa e l’Occidente non arrivino a strappi irreversibili. Significa gradualità del sistema delle sanzioni. Con la speranza che tra qualche mese trovino un equilibrio più o meno stabile».

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