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Quando una serie è più efficace della realtà
Laura Vicenzi
Giornalista
Bassanonet.it
Vittorino Andreoli: lettera dal paese della vecchiaia, con amore
Lo psichiatra, ospite nella terza giornata di Resistere, ha parlato del tema della vecchiaia che affronta nel suo nuovo libro
Pubblicato il 18-06-2023
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Si è parlato di vecchiaia con Vittorino Andreoli nella terza giornata di Resistere 2023, la rassegna culturale della Città di Bassano ideata e realizzata dalla Libreria Palazzo Roberti.
Un tema meno pop di altri, meno acchiappa like, ma la Sala Da Ponte piena anche di giovani di sicuro ha sconfessato la previsione di alcuni commentatori (chi scrive non è mai stata fra questi, neanche da ragazzina lo sarebbe stata, stranamente sono attitudini che occorre ancora difendere).
Pochi giorni fa Bassanonet ha pubblicato l’intervista del Direttore Alessandro Tich a Roberto Volpe, dove il presidente dell’U.R.I.P.A., associazione che svolge il ruolo di rappresentanza delle 351 Case di Riposo del Veneto, denunciava che il grande problema che avrà da qui a pochi anni il Paese è l’invecchiamento della popolazione, a fronte di una tempesta perfetta di condizioni che riguardano l’assistenza. Il tema quindi ha ben a che fare con la “resistenza”, ma il taglio che sceglie nel suo libro e nella conversazione il celebre psichiatra e divulgatore, classe 1940, non è tanto quello dell’invettiva-rimprovero alla politica o l’accusa urlata alla società di “ageismo”, ma in vero quello purtroppo d’altri tempi della missiva, la pacatezza ferma dello scritto a mano, la bella narrazione riflettuta dell’epistolare. «L’ultimo capitolo della nostra esistenza, come l’ultimo capitolo di un libro», così definisce l’autore la vecchiaia nel suo volume intitolato Lettera a un vecchio, edito da Soferino, che pare bello anche ribattezzare “Lettera da un vecchio”, tanto autorevoli ma anche amorevoli sembrano le parole pronunciate tra le pagine e sul palco.

Vittorino Andreoli con Lavinia Manfrotto a Resistere (foto Lucrezia Pegoraro)
Vecchio: c’è chi la ritiene e usa come parola offensiva, ma in realtà è un termine pieno di onore: chi è vecchio ha una storia, anche piccola ma sempre interessante da raccontare, anche perché porta con sé la memoria di epoche diverse da quella che viviamo, lontano il miraggio dell’onnipotenza del presente. Le microstorie delle persone spesso non sono considerate nella "grande narrazione" di un Paese, ma contribuiscono come una germinazione di pietre angolari alla sua costruzione, ce lo ricorda Marc Bloch. Quindi sgombrato il campo dai “diversamente giovani” e dai giovanilismi di turno, si parla di vecchi all’incontro e nel libro, quindi si parla per statuto di persone svincolate dall’incubo della produttività, una parte della popolazione italiana che arriva al 20%, e più di 20.000 sono gli ultracentenari, anche grazie ai progressi della medicina e dello stile di vita. Come pensare di non occuparsene, non solo in termini di sguardo, di cura, ma anche di politiche di attenzione? Perfino nell’esemplare Giappone, dove il terzo lunedì di settembre di ogni anno viene celebrato il Keiro No Hi (Giorno del Rispetto per gli Anziani) e da tradizione si rende onore ai vecchi per esprimere riconoscenza e apprezzamenti, si sta pensando da tempo a soluzioni legate purtroppo al mondo del lavoro per tenere in equilibrio lo stato sociale, perché lo stato dei fatti è già quello dell’emergenza.
Andreoli nella sua narrazione ha usato termini come gentilezza, contrapposta all’aggressività rampante, dolcezza riferita a certi tratti malinconici comuni nella vecchiaia, ha parlato di bellezza riguardo alla fragilità; ha raccontato di uomini e donne diventati nonni, utilizzati nell’odierna società fino a che si può come parcheggio senza orario e “a gratis” per i nipoti, persone care che generosamente accudiscono piccole pesti in anni dove potrebbero e dovrebbero dedicarsi invece un po’ a se stessi, ai propri passatempi, a coltivare nuove socialità tra pari. E in merito ancora all’ultimo capitolo della vita, ha ricordato che solitudine e abbandono non sono la stessa cosa, e che è enorme il problema della depressione nella terza o quarta età.
I vecchi e l’amore: dopo avere ribadito che “amore” etimologicamente vuol dire mancanza di morte, lo psichiatra con l'aggiunta di aneddoti personali divertenti — anche un'assicurazione di vitalità rivolta forse a qualche detrattore — ha riaffermato che l’amore con le sue manifestazioni cambiano nel tempo, e che i giovanilismi soprattutto maschili “da conchiglia” e da tacche sull’asticella suscitano più sorrisi e compassione che ammirazione. Un consiglio applaudito sussurrato alla platea? Fatelo al buio, e a rate.
Nessuna apologia del vecchio nelle sue parole, d’altronde non è che chi è sempre stato un essere umano mediocre o meschino migliori automaticamente in vecchiaia, come può fare un buon vino, non funziona così, è emersa più una richiesta fatta a nome di tante persone che non hanno strumenti e modi di esprimerla di ascolto e di attenzione, perché ciascuno è una piccola storia che lega il presente al passato, e dà spessore all’esistenza di una comunità.
Il bellissimo giardino verde ricreato dall’organizzazione sul palco della Sala Da Ponte non ha i connotati di un orto, ma sono venuti in mente ascoltando le parole di Andreoli tanti libri che parlano dell’invecchiare bene tra le piante, nel verde, a contatto anche di un piccolo fazzoletto di terra, e di quanto l’immagine strida con le condizioni in cui trascorrono gli ultimi anni di vita tanti vecchi.
Come ultimo, Andreoli ha accennato alle tecnologie che sono viste come stampella all’affettività (il nonno è solo? compriamogli uno smartphone!) e alle IA, alle intelligenze artificiali che per quanto siano intelligenti, non possono replicare sentimenti ed emozioni, e da professionista della salute mentale ha messo in guardia rispetto alla fascinazione che generano — Philip Dick e il suo mondo di androidi che si innamorano e piangono appartengono ancora ai mondi della fantascienza (n.d.r.).
Caldi applausi, dal pubblico di Resistere.
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