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Laura VicenziLaura Vicenzi
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A ballare con Jezabel: una recensione del celebre romanzo di Irène Némirovsky

Pubblicato il 10-05-2020
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Jezabel, romanzo di Irène Némirovsky (traduzione di Laura Frausin Guarino, Biblioteca Adelphi, 2007, pp. 194) è stato protagonista di recente alcuni riadattamenti per spettacoli teatrali, ultimo quello interpretato da Elena Ghiaurov - qui una recensione bit.ly/3du4N71.
I romanzi della scrittrice (nata Irma Irina a Kiev nel 1903, morta internata ad Auschwitz nel 1942) sono ambientati in anni inquieti, attraversati dalla prima guerra mondiale fino all’avvento del nazismo, invasi dall’euforia jazz degli anni Venti presto silenziata dalla terribile crisi economica che annientò del tutto le prospettive di ascesa sociale delle nuove generazioni. Jezabel fu pubblicato nel 1936, ma solo nel 2007 è stato tradotto ed è uscito in Italia.
La protagonista, Gladys Eysernach, è una bellissima donna di origine sudamericana (il cognome acquisito dal primo ricco matrimonio) nata a fine Ottocento in data imprecisata non a caso, una farfalla esotica non proprio rara che ama svolazzare colorata e profumata tra cene, balli e relazioni amorose e che vive come un dramma il passare del tempo: ha con lo specchio un rapporto che fa venire i mente i ritratti di Narciso, o quello maledetto di Dorian Gray.

Elena Ghiaurov al Teatro Nuovo di Verona, in Jezabel

Gladys appartiene all’alta borghesia francese di inizio Novecento, gli uomini la venerano, la amano incondizionatamente, le donne le ronzano attorno e la invidiano. Gladys è Jezabel — il titolo dell'opera si rifà all'ultima tragedia di Racine citata dal ragazzo che Gladys uccide: creduto dagli inquirenti l’ultimo dei suoi amanti, Bernard Martin muore per un colpo di pistola sparato da una donna di quasi sessant’anni del tutto atterrita, e il libro inizia dalla celebrazione del processo che mette in piazza in modo impietoso l’intera vita dell’imputata, alla fine rea confessa.
La trama del romanzo presenta molti personaggi comprimari e di sfondo: tra gli uomini emergono senza infamia né lode gli “amorosi” Sir Mark, il conte Aldo Monti, il cugino Claude Beauchamp, e gli sfortunati Bernard Martin e Olivier Beauchamp; tra le donne alcune amiche-nemiche del tutto intercambiabili e una figlia sentita come una rivale, condannata al martirio.
La vicenda si muove su un territorio che si potrebbe avere la tentazione di affratellare a quelli esplorati da Colette nei suoi Chéri, ma la distanza è troppo ampia, originaria, viene da dire. Jezabel non è una dame sans soucis, come vorrebbe, non lo è mai stata, è una Signora Barbablù, per tanti aspetti, che si nutre di amanti e di giovinezza ossessionata dalla paura di invecchiare.
A quasi un secolo di distanza, questa paura antica esorcizzata a volte con risultati da esorcismo dalla chirurgia estetica non sembra aggredire con meno virulenza tante cinquantenni dai tratti anche meno esemplari di Gladys. Il romanzo oltre alla storia di una donna racconta il travaglio di un’epoca, la cosiddetta fin de siècle, in parallelo con la caduta all’inferno a cui è condannato il sogno di vita di Jezabel.
Il rapporto malato con una bellezza d’eccezione che le è stata concessa in dono, a cui sacrifica ogni cosa, insieme al mito dell’eterna giovinezza visto come passepartout per il potere e la conquista nei rapporti umani, conducono sui binari della follia questa donna che diventa Medea suo malgrado, perché non riesce a smettere di ballare una danza che diventa macabra, mossa dall’incedere di segni dell’età. Il sacrificio richiesto da questa devozione verso l’effimero sarà paradossalmente, ma nemmeno poi tanto, un simbolo di gioventù.

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