Pubblicità

UnipolMove

Pubblicità

UnipolMove

Laura VicenziLaura Vicenzi
Giornalista
Bassanonet.it

Primo piano

Teatro

Cosa resta del padre?

Domenica 18 agosto, l’ultimo appuntamento del mese di Operaestate Festival prima della sezione dedicata al contemporaneo di B.Motion ha portato al Teatro Remondini Mario Perrotta e il suo nuovo spettacolo: In nome del padre

Pubblicato il 19-08-2019
Visto 1.556 volte

Messaggi Elettorali

Renzo MasoloElena Pavan

Ieri sera, domenica 18 agosto, l’ultimo appuntamento del mese di Operaestate Festival prima della sezione dedicata al contemporaneo di B.Motion ha portato in scena al Teatro Remondini Mario Perrotta e il suo nuovo spettacolo intitolato: In nome del padre.
Realizzato con la consulenza drammaturgica dello psicanalista Massimo Recalcati e prodotto dal Teatro Stabile di Bolzano, lo spettacolo è il primo di una trilogia che vedrà impegnato l’attore, autore e regista pugliese fino al 2020 e che dopo la figura del padre sarà dedicata a raffigurare i tipi della madre oltre al figlio, in una sorta di segno della croce poco ortodosso legato alla contemporaneità che parla sicuramente anche di croci.
L’epoca del “tramonto dei padri”, come la definisce Recalcati, dove ciò che irrompe nelle nuove narrazioni non è “il padre”, ma la mancanza del padre, è impersonata sul palco da tre uomini-genitori italiani che abitano lo stesso condominio, primo, secondo e terzo piano senza criteri dimostrativi d’altro; una trinità variegata rispetto a cultura, estrazione sociale, ruolo lavorativo e provenienza geografica d’origine, interpretata in un monologo articolato a più voci e in più panni da Perrotta. Sul fondale nero, tre sculture scheletriche che rappresentano figure classiche (il discobolo, il pensatore e un guerriero ferito/prostrato).

Mario Perrotta in In nome del padre (foto di Luigi Burroni)

I rispettivi figli adolescenti sono assenti, evocati dalle parole dei padri impongono una loro presenza distante, aliena, del tutto altrui e dai tratti imprendibili: Virgilio — ahilui, poveretto — manifesta forse i sintomi della sindrome di Hikikomori, vive rinchiuso nella sua camera rifiutando ogni contatto col mondo, o quasi, ma potrebbe anche essere un omosessuale che non riesce ad accettarsi, suppone il padre, un professore greco-latineggiante che si esprime per motti e dalla cattedra anche nel salotto di casa; Alessandro non parla col papà lavoratore da officina che riesce a comunicare e neanche tanto solo in un dialetto veneto-padano; non hanno niente da dirsi, fino a quando il padre rivela di essere stato un chitarrista talentuoso, e appassionato, e di avere abbandonato la musica senza rimpianti per lui, suo figlio, per dargli un futuro “sicuro”; Giada si fa aperi-cene, canne e disco in minigonna col papà-fratello, ma da “fatta” gli rivela il timore che lui si trasformi in un lupo che oltraggia i cuccioli, se non prima poi, e vuole mettersi in salvo; al padre non resta come difesa che un attacco da autogol: si è fatto tutte le minigonne del quartiere, mai mai mai avrebbe neanche concepito di farsi lei.
È il dialogo che riesce a riavvicinare dopo tanta sofferenza i pianeti-figli a quelli che sono diventati satelliti-padri, un dialogo aiutato anche da sedute di psicoanalisi e da veicoli come la musica. Le madri non aiutano, sono lontane e un po’ Medee nell’animo: i figli sono capitati, come nel caso di Alessandro, o facevano parte del pacchetto tutto compreso da treperdue imposto dalla pressione del consenso sociale. Almeno così racconta la narrazione dei tre padri, in attesa di quella delle madri.
Uno spettacolo che invitando alla riflessione offre uno spaccato della vita quotidiana in famiglia dai contorni drammatici, che sembra un’immersione nella selva oscura, tanto sono spariti i riferimenti al passato, al concetto di autorità e di guida che appartengono alla tradizione della famiglia. Questi figli non vogliono ribellarsi ai padri, non sanno che farsene di loro, anche se in qualche modo sono disponibili ad avvicinamenti senza com-passione, alla fine solo un po’ penosi.
Applausi calorosi dal pubblico del teatro, al quale Perrotta, prima di dismettere il ruolo paterno, ha lasciato oltre alla riflessione un giusto rimprovero: «Siamo fatti di carne e ossa, noi attori sul palco, e vi vediamo, vi sentiamo. Sentiamo quando il pubblico respira quasi all’unisono e ci segue con attenzione. È come un atto erotico, da lontano, ma è un atto erotico…». Si riferisce alle luci degli schermi dei cellulari che si accendono qua e là per qualche attimo, per guardare l’ora, dato che gli orologi non si portano più, o che per impertinenza restano accesi anche a lungo, per controllare i social…
Non ci sono tanti ragazzini a teatro, certo non erano loro. Essere un buon esempio, padri e madri o no, è un buon inizio.

Più visti

1

Elezioni Regionali 2025

25-10-2025

Financial Times

Visto 18.082 volte

2

Politica

26-10-2025

I nodi al pettine

Visto 16.651 volte

3

Attualità

29-10-2025

Dica 33

Visto 7.059 volte

4

Attualità

29-10-2025

Tre anni di pena

Visto 6.528 volte

5

Attualità

30-10-2025

Colpo di teatro

Visto 4.881 volte

6

Elezioni Regionali 2025

30-10-2025

Quei bravi Tosi

Visto 3.912 volte

8

Sociale

27-10-2025

Voci per Gaza: sul palco, la solidarietà

Visto 2.633 volte

9

Calcio

27-10-2025

Bassano, colpo da pirati

Visto 2.622 volte

10

Manifestazioni

26-10-2025

Sapori d'autunno e di storia, a Marostica

Visto 2.538 volte

1

Elezioni Regionali 2025

14-10-2025

Numeri civici

Visto 20.345 volte

2

Elezioni Regionali 2025

19-10-2025

Fratelli e Sorelle

Visto 20.327 volte

3

Elezioni Regionali 2025

09-10-2025

Santo Stefani

Visto 19.677 volte

4

Elezioni Regionali 2025

25-10-2025

Financial Times

Visto 18.082 volte

5

Politica

14-10-2025

Legati dal destino

Visto 17.664 volte

6

Politica

26-10-2025

I nodi al pettine

Visto 16.651 volte

7

Attualità

21-10-2025

Antenna 5G sotto accusa

Visto 11.964 volte

9

Attualità

10-10-2025

Jacopo Marostica

Visto 11.404 volte

10

Politica

16-10-2025

Fratelli d’Antenna

Visto 11.304 volte