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Modalità lettura - n.9

Maigret si sbaglia: un viaggio nel giallo, e nel mondo della scrittura, con Georges Simenon. Una recensione di Marco Cavalli

Pubblicato il 09-04-2017
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Elena Pavan

"Sparigliando le carte" del giallo. Per giocare col titolo della rassegna dedicata allo scrittore Luigi Meneghello, di cui di recente ci siamo interessati in quest'articolo www.bassanonet.it/cultura/26103-la_voce_di_meneghello.html, è un voltare le carte del romanzo giallo in modo inedito, ampio e interessante, quello che ci propone il critico letterario Marco Cavalli in questa recensione inviata appositamente per Modalità lettura. La Redazione ringrazia.

Tra i molti personaggi usciti dalla penna di Georges Simenon (1903-1989), il più antipatico è anche il più famoso: il commissario Jules Maigret.

galleria di copertine di Ferenc Pintér

Sono antipatici il suo paternalismo adulatorio verso la gente di ceto inferiore, il suo elogio implicito della sedentarietà, i silenzi oracolari, grigi del fumo della pipa. Antipatica è la moglie che gli fa da attendente, un sottufficiale donna che castamente si corica accanto al superiore, silenziosa, servizievole, sempre indietro di un passo, le pantofole del marito pronte dentro la borsetta. Maigret al suo peggio è un borghese massiccio e rassicurante, amante dei piaceri che non si pagano a caro prezzo. È un prete laico dell’arte investigativa, che volge sul mondo del crimine lo sguardo bonario e comprensivo del parroco di campagna di Bernanos.
In Maigret si sbaglia, romanzo del 1956 (traduzione di B. Bertoni, Adelphi, pp. 162, euro 10,00), troviamo il commissario alle prese con un personaggio che lo manda in crisi, il chirurgo Etienne Gouin. Maigret, che indaga sull’assassinio di una giovane amante di Gouin residente nel condominio di lui, al piano di sotto, resta affascinato da quest’uomo insensibile alla lusinga come al pettegolezzo maligno, barricato dietro una ritrosia che abbaglia le donne di tutte le età. Ne studia le maniere ruvide fino all’insolenza, i silenzi d’artista, i raptus erotici segnati in margine a una carriera che considera gli alti e i bassi con la stessa indifferenza.
Ponendo uno accanto all’altro il commissario e il luminare di medicina, in un conflitto apparente che accentua le affinità spirituali, Simenon riesce a fare, da scrittore, un discorso sulla vita dello scrittore, la sola che conosceva e di cui gli importava davvero. Rispetto a Maigret, Gouin rappresenta l’altra metà dello scrittore, la parte moralmente sgradevole, misogina, che non nutre aspirazioni segrete di vita comoda, raccolta. Gouin è un isolato, un materialista al quale preme sopra ogni altra cosa continuare a fare ciò che sa fare bene e che si difende dagli intenerimenti cui il mestiere lo espone usando le donne come mouchoirs: le prende e se ne sbarazza non appena quelle tentano di accaparrarselo. Da solo, con pazienza da ergastolano, si è creato un patrimonio, un reame, un serraglio, una vita di comando, una reputazione di despota; tutto per scoprire quel che sapeva già agli esordi, ossia la preminenza del lavoro su ogni utile, perseguito o no, e su ogni malanno derivato. C’è antagonismo tra il lavoro e i suoi effetti sociali ed economici. I secondi moderano il primo, tendono a dettargli condizioni. La celebrità, la ricchezza, possono diventare lo stupefacente dell’azione che le ha procurate.
Per Maigret e Gouin, queste due metà della stessa mela, le conseguenze del lavoro, perfino le più degne di lode, sono inconvenienti da scavalcare con impazienza. Entrambi non hanno figli. Disconoscono il concetto stesso di dinastia e odiano l’esibizionismo della paternità, la civetteria di ogni genitore di mostrare un po’ di sé nei propri figli. Qualunque eccesso di cui sono fatti segno in privato li opprime di noia e di tristezza. Riescono a trattare con l’umanità e il suo bisogno di avventure solo restandone fuori. Si fidano non degli esseri umani ma di collaboratori stretti, cioè di persone che entrando alle dipendenze rinunciano alla propria imprevedibilità. Temuti più che non amati, e amati in conseguenza della soggezione che incutono, non sono romantici nemmeno con la professione. Parlano con rudezza e malvolentieri della mola alla quale si sono legati, come se per loro fosse questione di liberarsene da un momento all’altro. Nel lavoro non mettono la passione gelosa che si mette nell’amare le persone che si amano. Un innamorato può mettere in posa le sue gioie, lo scrittore invece le deve cogliere al volo, furtivamente, come un ladro; oppure come un chirurgo e un poliziotto.

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