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Modalità lettura - n.4

Presentato ieri, sabato 4 marzo, alla libreria Palazzo Roberti, è Hestia, il nuovo libro di Giovanni Spitale, il protagonista di questa 4^ puntata di “Modalità lettura”

Pubblicato il 05-03-2017
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Elena Pavan

Presentato ieri, sabato 4 marzo, alla libreria Palazzo Roberti, è il libro di Giovanni Spitale intitolato Hestia (Ed. Il Poligrafo, pp. 185, 16 euro) il protagonista di questa 4^ puntata di “Modalità lettura”.

Spitale, Spit, è un giovane che abita a Solagna, laureato in Filosofia, che presto andrà in Germania per fare il ricercatore – migrerà altrove, come tanti ragazzi del suo tempo – al quale nel 2009 è stata diagnosticata una grave malattia ematologica che riduce drasticamente le aspettative di vita.

Giovanni Spitale a Palazzo Roberti

Nel suo sito internet, a questo indirizzo www.giovannispitale.net/ si possono leggere le storie che narrano la sua storia, e l’impegno che profonde tutto intorno, incessantemente, armato di parole, teso all’informazione, alla divulgazione e a «raccontare e raccontarmi per cambiare il mondo (almeno un pochino)».
Hestia, che suona come “Bestia”, e che si rifà al nome di una divinità greca, è il suo secondo libro: mentre Il dono delle donazioni, offre un approccio multidisciplinare alla tematica del dono per il trapianto di organi, tessuti e cellule, valutandone gli aspetti medico-scientifici, storici, giuridici, etico-morali e filosofici, Hestia è definito dall’autore “volgare”, “ignorante”, perché pur essendo stato scritto in sette anni, si snoda come una presa diretta, a tratti arrabbiata e rabbiosa, come si intuisce già dai titoli di diversi capitoli.
Si tratta di una sorta di diario di bordo, racchiuso originariamente in un file intitolato “Dall’ospedale”, sopravvissuto alla tentazione sana dell’autore di affondarlo nel cestino (col carico di infelicità e di dolore che riportava a galla), arricchito di riflessioni profonde e di domande scomode; di incontri e di testimonianze; di divagazioni che parlano della vita e delle passioni di un giovane sportivo, innamorato della montagna, dello scoutismo, della lettura e dello studio. Non mancano gli approfondimenti tecnici, le citazioni, ma a farla da padrone sono le urla rivolte all’esterno da questo parlatorio a cielo aperto, a quelli che sono diventati all’improvviso un po’ di più e insieme un po’ di meno “gli altri”.
Spitale parte a illustrare il kit di sopravvivenza, nell’introduzione, rievocando l’incontro con lo spartiacque della diagnosi, e prosegue intrecciando il prima e il dopo rispetto al ricovero nel reparto di Ematologia, stanza 22 – un evento che ribalta le prospettive, facendo uscire dal mazzo la carta che raffigura «la percezione della nostra mortalità, la limitatezza del nostro tempo» – facendo percorrere anche al lettore un cammino tra vette e abissi che mette in luce l’estrema fragilità della condizione umana.
In copertina è raffigurato il celebre “Viandante sul mare di nebbia” di Caspar David Friedrich, in una elaborazione grafica di Angela Bonato che sostituisce la figura di spalle con la sagoma di Spit, accanto un gatto grigio tigrato, di fronte lo skyline delle luci della pedemontana, vista dal Monte Grappa: l’invito di Spitale è ad accendere uno sguardo da fuori, più attento, più consapevole, che riesca a dileguare le nebbie rassicuranti in cui sono immersi tanti giorni che trascorriamo in doppiopetto grigio, schiavi di una quotidianità che per soprammercato diamo per scontata.
Diego Cugia, nella prefazione al libro, scrive: «Gli autori di romanzi e sceneggiature conoscono un trucco per rendere le proprie fantasie il più avvincenti possibile: porre i loro eroi in una situazione estrema, senza ritorno. Jack Folla aveva le ore contate e più nulla da perdere. L’imminenza della sua esecuzione rendeva “sacra” ogni sua parola. Nessuna censura avrebbe potuto mai infilargli la museruola».
Se non “sacre”, sono parole “importanti”, quelle che con generosità Spitale mette a servizio, fermandole sulla carta e in rete, ripetendole alle presentazioni, nelle conferenze rivolte ai ragazzi delle scuole, con la volontà di trasformare una storia personale segnata dalla malattia in impegno civile.

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