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Premiato a Venezia con la Coppa Volpi per la miglior attrice e ora in corsa per l'oscar come miglior film straniero, La sposa promessa riesce ad immergere in un mondo a sé.
Distante dai clamori della società moderna, le famiglie che ci presenta non sono antiquate né retrograde come ci si aspetta, ma solo tradizionali. Legate alla religione e alle gerarchie interne, mostrano come anche la più piccola decisione (come quale forno da cucina comperare) possa essere consigliata o presa da un rabbino.
Rama Burshtein ci immerge fino in fondo nella comunità ebraica charedì di Tel Aviv . Nella sua lingua poetica, nei suoi arredamenti retrò, nei suoi costumi e nella sua estetica all'antica. Le famiglie però, per quanto rispettanti certi dogmi, non sono così chiuse mentalmente come ci si aspetta, o perlomeno non così tanto.

Tutto gira attorno a Shira, al suo matrimonio. Come da tradizione il suo futuro marito viene scelto dalla famiglia tramite accordi con un rabbino, l'incontro fintamente casuale, gli sguardi di stupore e piacere sembrano approvare la scelta ma la tragedia è dietro l'angolo. La sorella di Shira, Esther, al nono mese di gravidanza muore. Lascia il figlio, un marito addolorato e una famiglia in lutto. E' proprio la madre a cercare una soluzione che possa permettere alla famiglia di non sfaldarsi, di non vedersi strappare il nipote appena nato: e se Shira sposasse il cognato?
Il percorso per questo matrimonio combinato sarà difficile, passerà necessariamente per i sentimenti di due giovani che hanno imparato a conoscersi come parenti e solo attraverso la ridefinizione dei loro ruoli, affrontando a viso aperto i propri voleri, riusciranno ad accettare una decisione che porterà davvero la pace nella famiglia... e l'amore nei loro cuori?
Hadas Yaron è bravissima a dare corpo a tutte le sfaccettature di Shira, ragazza seria sì, ma allo stesso tempo giovane e con davanti una difficile scelta. Tutto il film è incorniciato da una fotografia che lo illumina a tratti e lo lascia in ombra in altri, ma che soprattutto permette di dare naturalezza ad una vicenda così distante dalla mentalità occidentale, senza troppi sofismi o complessità.
Il finale, così enigmatico, ricorda gli sguardi stralunati di Dustin Hoffman e Katharine Ross ne Il Laureato, dove tutte le speranze e i sogni giovanili devono fare i conti con la dura realtà, lasciando noi stessi in sospeso.
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