Connessioni contemporanee
Un dialogo col presente
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Alessandro Tich
Direttore Responsabile
Bassanonet.it
Pubblicato il 25-09-2010
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“Ho 87 anni, ma non lo scriva!”. Ma come facciamo a non scriverlo?
Milena Favrin, testimone dell'epoca della lotta di liberazione nel Bassanese, è un classico ed energico esempio di come l'età, vissuta con lo spirito giusto, non rappresenta un ostacolo alla voglia di fare e brigare.
Alla cerimonia di mercoledì scorso per la consegna degli attestati “Bassanesi per la Liberazione”, seduta in prima fila, è stata quasi incontenibile: dispensando saluti, ricordi e battute a tutti i presenti.
Milena Favrin
La signora Milena è insomma ancora quella “ragazza terribile” che più di 60 anni fa, in piena offensiva nazifascista, diede il suo piccolo ma fondamentale contributo - come tante altre persone - alla Resistenza nel Bassanese, con quel miscuglio di coraggio e di incoscienza che spesso emerge dal profondo del cuore quando si è giovani.
Un caso su tutti? “La mia famiglia abitava in Via Roma a Cassola - ci racconta la signora Favrin -. Nel '44, una notte, stavamo aspettando l'aereo “Pippo” che doveva sganciare tre casse per i partigiani: una di munizioni, una di soldi e una terza con una motoretta. Quando è arrivato l'aereo, abbiamo lampeggiato le luci delle biciclette e le tre casse sono state lanciate col paracadute. Tre gruppi di partigiani stavano arrivando da Romano, da Marini e da Cassola, ma c'era in giro un camion di tedeschi. Il camion è arrivato a Cassola e io, al passaggio a livello, gli sono corsa incontro. “Fermati, fermati! - ho detto a quelli del camion - Lancio, lancio!”. I tedeschi hanno pensato che stavano per lanciare delle bombe e hanno girato via verso Rosà. La strada era libera e i partigiani, che si erano fermati a Marini, sono venuti a prendersi le casse.”
Un episodio che la dice lunga sulla dose di fegato della giovane che un'altra volta, alla Caserma Montegrappa, non esitò a chiedere udienza nientemeno che al temutissimo tenente Alfredo Perillo, ufficiale di collegamento della Repubblica Sociale Italiana con i tedeschi, per chiedere la liberazione di 19 giovani detenuti, tra cui un ragazzino di 13 anni.
“La nostra casa a Cassola - ci dice ancora - confinava con quella del capo partigiano Andrea Cocco “Bill” e aveva il cortile in comune. Un giorno sotto il portico - io ero con mio papà e con mio fratello - c'erano Corrado Rossan di Onè di Fonte, Renato Cocco e altri che stavano incartando delle munizioni. Stavano preparando la bomba per far saltare il Ponte di Bassano.”
La bomba fu fatta esplodere sul Ponte, facendolo saltare, il 17 febbraio 1945 - ad opera del comandante Masaccio (prof. Primo Visentin) e di un manipolo di volontari tra cui lo stesso Cocco “Bill” - per salvare la città dal minacciato bombardamento aereo alleato.
Un'azione nata nella “corte” della signora Milena. Che ancora oggi - dopo una vita dedicata a fare i più disparati mestieri, tra cui quello di operaia al calzaturificio militare di Castelfranco Veneto e dopo tanti anni di volontariato e di assistenza agli anziani della Pia Casa di Ricovero - non perde la voglia, e soprattutto la forza, di raccontare quegli episodi.
Nel suo salotto di casa è conservato un riconoscimento che ci mostra con orgoglio: è il “Diploma d'onore al combattente per la Libertà d'Italia”, consegnatole nel 1985. Firmato: Sandro Pertini, Presidente della Repubblica e Giovanni Spadolini, ministro della Difesa. A fianco del diploma, una seconda pergamena incorniciata - a firma sempre del ministro Spadolini - con la motivazione del riconoscimento.
A Milena, ragazza terribile, non servono altri diplomi. Quelle due firme bastano e avanzano.