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Brassaï. L’occhio di Parigi

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Brassaï. L’occhio di Parigi

Alessandro TichAlessandro Tich
Direttore Responsabile
Bassanonet.it

Special report

Attualità

Gli Afictionados

Dopo le quattro puntate su Rai 1, ecco il mio bilancio conclusivo della fiction “Di Padre in Figlia”

Pubblicato il 03-05-2017
Visto 7.372 volte

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Brassaï. L’occhio di Parigi

Oh, benon: ora faccio quello che avevo promesso. Do finalmente il mio giudizio su “Di Padre in Figlia”, la fiction che ha monopolizzato le cronache e le discussioni di questo ultimo mese, con il teledrammone della famiglia Franza, succube del capofamiglia produttore di grappa, ambientato a Bassano del Grappa.
Ho aspettato la conclusione della quarta e ultima puntata e adesso dico la mia.
Con una doverosa premessa. Io non faccio parte del popolo degli Afictionados, ovvero coloro che - a prescindere - amano e seguono questo genere televisivo. Ma sono in tanti, sono milioni (quasi sette ieri sera) e quindi meritano rispetto. In più la fiction è un format, con i suoi canoni e i suoi codici, che chi la produce deve altrettanto rispettare.

Fonte immagine: iodonna.it

Mi sono quindi accostato alla visione della serie Tv provando ad immedesimarmi nel modo di pensare dell'Afictionado medio.
Che cosa mi aspetterei da un prodotto televisivo che una volta si chiamava sceneggiato?
Una storia famigliare, come vuole la prassi, con personaggi caratterialmente ben distinti l'uno dall'altro: caratteristica fondamentale per alimentare contrasti, dissidi, affetti forti, rivalità, emozioni. Una storia dove i “buoni” (Maria Teresa Franza) non hanno difetti, acquisendo quasi un’aura di sovrumana perfezione morale. E dove i “cattivi” (Giovanni Franza) non hanno pregi, salvo poi redimersi e assumere tratti di umanità con lo sviluppo degli eventi. Una trama ricca dei soliti ingredienti (amori, passioni, intrighi, corna, ambizioni, delusioni, cadute, riscatti) e una dose giusta di colpi di scena per mantenere viva l'attenzione. Mettiamoci anche un po' di scontri generazionali per accontentare le attese, e le mentalità, delle diverse fasce di pubblico.
Con una altrettanto adeguata e incalzante dose di drammi e di sfighe, capaci come nient'altro di catalizzare la psicologia di massa (“tanto a me non succede”), nonché di “climax”, e cioè di progressivo crescendo, nelle reazioni dei protagonisti alle avversità della vicenda, prima dell'atteso e soprattutto liberatorio lieto fine.
Le famiglie delle fiction vivono una vita-minestrone: dentro c'è davvero di tutto e di più.
E i Franza ma anche i loro amici o parenti acquisiti, in questo senso, ne rappresentano un modello perfetto: non si fanno mancare davvero nulla.
Ebbene: dal punto di vista dei canoni standard della fiction italiana, “Di Padre in Figlia” non mi ha assolutamente deluso. Anzi: la ritengo un'opera antologica del teledrammismo nazional-popolare. Mascherata da racconto dell'emancipazione femminile in tre decenni di evoluzione della società italiana. E mi sono così tanto immedesimato nell'utente medio di questo genere Tv che sono rimasto incollato davanti al teleschermo, aspettando con trepidazione la puntata successiva. Certo è che se la serie televisiva non fosse stata ambientata a Bassano non avrei neanche sfiorato il telecomando, ma questa è un'altra storia.
È vero: ci sono state un'overdose di sentimentalismo (soprattutto nella puntata conclusiva) e forzature, non sono mancate banalità e disarmanti luoghi comuni, la parlata dei protagonisti e comprimari non rispecchia la cadenza bassanese, alcuni noti difetti del popolo veneto sono stati evidenziati all'eccesso sfiorando i limiti della caricatura.
Ma per un prodotto per il piccolo schermo che deve essere digerito lungo tutto lo Stivale, pensate che siano cose importanti?
È fiction, ragazzi: ogni riferimento a persone esistenti o a fatti realmente accaduti è puramente casuale.

Detto questo, arrivo al vero nocciolo della questione. E cioè il ruolo giocato, nelle quattro puntate televisive, dalla città di Bassano del Grappa.
Non c'è dubbio che molte scene della fiction de noialtri hanno come sfondo angoli e scorci riconoscibilissimi dai bassanesi.
Sul sito internet di Vicenza Film Commission è pubblicata persino una “Movie Map” con l'indicazione dei vari punti del centro storico dove sono stati allestiti i set.
Cliccando su ciascuna icona sulla mappa compare una scheda che spiega di quale piazza, chiesa o edificio si tratta e quale scena o quali scene vi sono state girate.
Ma dire che Bassano - come ardentemente sostenuto da qualcuno - è “protagonista” dello sceneggiato, mi pare quanto meno azzardato. Perché Bassano, nella serie Tv, altro non è che una bellissima comparsa. Una “cornice” - per quanto pregiata - che “compare”, a più riprese, attorno alle vicissitudini della saga familiare, e neanche esclusiva. Va bene le panoramiche col Ponte, le due sponde di Brenta Beach, il Museo Civico, piazza Terraglio trasformata in stazioncina delle corriere, piazza Libertà dove tutti i protagonisti si incrociano e così via.
Ma lo stabilimento dei Franza, dove si sviluppa il cuore della narrazione televisiva, è stato ricostruito nella Distilleria Poli di Schiavon; la prima distilleria Franza & Sartori è stata ricavata nei locali della Distilleria Fratelli Brunello di Montegalda; la distilleria Sartori, dove Maria Teresa Franza è “concorrente” del padre, altro non è che la Distilleria Schiavo di Costabissara; la splendida sede del collegio delle suore è Villa Fietta di Paderno del Grappa e molte scene importanti sono ambientate a Padova, a Milano e in Brasile.
Bassano del Grappa è quindi la location con la “L” maiuscola, ma - altre città della storia a parte - non ha saputo offrire l'intero pacchetto (per usare una parola cara ai guru della promozione turistica) dei luoghi utili per girare le scene previste dalla sceneggiatura.
So di remare contro rispetto alla corrente di pensiero degli Afictionados e sono ben cosciente del fatto che anche cinque secondi di centro storico trasmessi su Rai 1 valgono probabilmente di più, dal punto di vista dell'attrattività del territorio, di cinque convegni sul Marchio d'Area. E mi auguro sinceramente, perché amo questa città, che il tanto auspicato richiamo turistico conseguente alla messa in onda della fiction, con tanto di pacchetti di Vicenza Film Commission, sia molto più di un pio desiderio.
Mi piace pensare a una famiglia di Ascoli Piceno, di Viterbo o di Caltanissetta che da qui ai mesi a venire si sobbarca un bel viaggione, magari anche organizzato, per visitare la città dei propri eroi televisivi.
Ma tutto questo appartiene alla sfera del senno di poi o, se preferite, alla sfera di cristallo di un “teleturismo” che non sappiamo e non possiamo ancora prevedere. Perché tutto possiamo dire di “Di Padre in Figlia”, ma non che si tratti di un prodotto finalizzato, anche indirettamente, alla valorizzazione turistica dei luoghi raccontati.
Al centro di tutto c'è lo psicodramma di una famiglia italiana e solo virtualmente bassanese, che a lungo andare prende il sopravvento nelle emozioni del pubblico, puntando molto di più sulle caratterizzazioni e sugli intrecci personali e finendo col soverchiare le stesse ambientazioni.

Infine, torno su un mio punto fisso. Ma non posso non farlo. Perché se c'è un luogo comune che ci trasciniamo da tempo immemore e che la fiction ha consacrato definitivamente, è quello di Bassano città della grappa.
Già non passa fine settimana nel quale le comitive mordi-e-fuggi che arrivano in pullman nella nostra città non ritornino a casa con lo stesso, immutabile souvenir: l'immancabile sacchetto di carta con la bottiglia di grappa. Della solita ditta (o ditte) che conosciamo. Ceramiche? Asparagi? Qualche altro acquisto in centro storico o, se preferite, nel Kilometro Quadro? Non pervenuti. Figuriamoci adesso che la saga al profumo di vinacce e di acquavite barricata di Giovanni Franza & Famiglia ha inebriato gli occhi di milioni di telespettatori.
Il vero ritorno d'immagine conquistato sul campo grazie a “Di Padre in Figlia” è quello dei soliti nomi della Bassano da bere. Ne sa qualcosa la Distilleria Poli, col suo Museo della Grappa, che dalla sovraesposizione televisiva e dal non troppo velato riferimento nell'ultima puntata al proprio prodotto “Poli Airone Rosso” (il “Franza Rosso” lanciato nel finale dalle tre sorelle Franza riunite) non potrà che beneficiare in termini di autopromozione e di conseguenti vendite.
Ma è di Nardini il capolavoro di marketing, e questa volta non territoriale. L'ultrabicentenaria distilleria bassanese, in realtà, figura tra le aziende produttrici di grappa che hanno ospitato i set della serie Tv, ma con un ruolo di fatto marginale: solo un paio di ciak girati alla grapperia al Ponte. Una conseguenza del “no” iniziale, espresso dalla proprietà alla produzione BiBi Film, circa la richiesta di fare da location per le riprese. Eppure la Ditta Bortolo Nardini Spa ha ottenuto il massimo risultato con il minimo (anche se costoso) sforzo: ha fatto pubblicità all'interno della fiction.
Tutta Italia, isole comprese, ha così automaticamente associato il suo nome alla città dei Franza e della grappa. A beneficio di tanti, ma tanti altri sacchetti di carta con la loro bella bottiglia da riportare sui pullman. Non c’è che dire, davvero un colpo da maestri.

Ora passo e chiudo, cari lettori: su questa fiction ho già scritto fin troppo.
E se siete arrivati fin qui, vi ringrazio per la pazienza e per l'attenzione.
E adesso cosa faremo senza più Maria Teresa, Giovanni, Franca, Elena, Antonio, Sofia, Riccardo, Filippo, Pina e compagnia bella in televisione?
Non preoccupiamoci: perché la vita, quella reale, continua.

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