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Anche su B. abbiamo scritto molte volte riguardo ai numeri impietosi che la demografia italiana si appresta a registrare. Nello specifico ci eravamo concentrati sull’inesorabile declino della popolazione scolastica bassanese e sui cambiamenti urbani innescati dal progressivo invecchiamento della società (“La città che muore”, www.bassanonet.it/news/28989-la_citt_che_muore.html). Ma la demografia è anche uno strumento prezioso per disegnare gli scenari economici futuri. Sulla base di un assunto semplice: se decresce la popolazione, si rimpicciolisce l’economia in termini numerici e con il tempo cambiamo i consumi, gli investimenti (dei privati e delle aziende) e gli attori della crescita economica.
Nei giorni scorsi la Fondazione Nordest, centro di ricerca che si occupa principalmente di economia e imprese, ha pubblicato una interessante nota riguardante gli impatti della demografia dei prossimi quindici anni sull’economia del Veneto. Utilizzando un titolo molto azzeccato (“La glaciazione demografica”) è riuscita ad attirare una notevole attenzione sull’argomento.

Isole Lofoten (foto di Alessandro Bizzotto)
Rivisitando le recenti previsioni demografiche ISTAT, la Fondazione Nordest - guidata dall’economista Luca Paolazzi - è intervenuta “stressando” due variabili importanti: il saldo migratorio interno e quello con l’estero. In pratica questi due saldi sono stati azzerati, perché molto difficili da prevedere e, dall’altro, perché l’intenzione della Fondazione è di evidenziare cosa sta accadendo nelle regioni settentrionali senza l’apporto demografico di quelle meridionali e senza l’apporto degli afflussi dagli altri Paesi, che avverranno sempre più dal continente africano.
I risultati di questo scenario che “stressa” dunque i numeri sui migranti dall’estero e la mobilità infra-regionale sono a pieno titolo catastrofici. In tutto il Nord si avrà un calo superiore ai 2,3 milioni di persone entro il 2040, passando da 27,4 milioni del 2023 a 25,1 milioni di residenti. Nel Nord-Est la riduzione sarà di 939mila persone, nel Nord-Ovest di 1,4 milioni. In Veneto nel 2040 si conteranno -388mila persone residenti.
Con questi numeri demografici è stato abbastanza facile “giocare” al “cancella le città”, ovvero alla stima di quante e quali città, grandi o piccole, sparirebbero se la perdita di abitanti fosse concentrata in specifiche aree urbane. In Veneto sparirebbero i comuni di Padova, Vicenza e Treviso, oppure, alternativamente ma tutte insieme, Bassano del Grappa, Belluno, Conegliano, Montebelluna, Vittorio Veneto, Valdagno, San Bonifacio, Arzignano, Feltre, Abano Terme, Valeggio sul Mincio, Malo, Marostica, Ponzano Veneto, Peschiera del Garda, Recoaro Terme, Cortina d’Ampezzo e Garda.
E dal punto di vista economico cosa succederà? Meno consumi e investimenti i due macro effetti principali. Lato consumi, oltre alla loro riduzione, si assisterà ad una forte ricomposizione: infatti la glaciazione demografica sta già ridisegnando la piramide per età della popolazione, con incremento degli anziani e diminuzione dei giovani.
«Ci saranno minori acquisti di ogni genere di beni, dall’alimentare alle autovetture, dagli elettrodomestici all’arredamento, dall’abbigliamento al largo consumo. Mentre terranno quelli per i servizi, sicuramente saliranno quelli sanitari e forse quelli Horeca e per gli spettacoli, mentre le discoteche saranno meno gettonate. Negli investimenti perderanno colpi sicuramente quelli per la casa: meno abitanti uguale minor fabbisogno abitativo. Una minore domanda di abitazioni ha effetti depressivi sul mercato immobiliare, che terrà bene solo nei centri urbani più dinamici e importanti, mentre i valori cadranno nei piccoli centri. Diminuirà il capitale fisico in generale, vuoi per la contrazione della domanda finale di consumi, vuoi per la riduzione dell’occupazione, sempre in assenza di flussi migratori. Quindi ci sarà meno domanda di macchinari, di uffici, di spazi commerciali, di mezzi di trasporto collettivo, e così via».
Dentro alla glaciazione demografica, un altro aspetto da considerare riguarda l’assottigliamento dei nuclei familiari, sempre più ristretti, con una forte prevalenza di anziani soli. Bisognerà dunque calcolare anche l’effetto dell’economia della solitudine, prima ancora però come fenomeno sociale forse più pericoloso dello stesso declino demografico.
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