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Laura VicenziLaura Vicenzi
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Le Aure di Proust

Nella serata conclusiva di B.motion la compagnia Teatro Persona ha presentato a Bassano in anteprima il suo nuovo spettacolo ispirato alla Recherche di Marcel Proust

Pubblicato il 04-09-2011
Visto 2.991 volte

Messaggi Elettorali

Elena Pavan

Aure, presentato al Teatro Remondini in apertura della serata finale di B.motion, ha proposto una Recherche evocata e silenziosa, i sette volumi di Proust addensati in un linguaggio dei segni parlato solo dai corpi e dalla luce.
La compagnia Teatro Persona ha ambientato la sua rappresentazione ispirata al capolavoro dello scrittore francese in una “stanza della memoria” estetizzante e onirica, la scena priva di mobilio – presenti solo una sedia, un tavolino, un libro e un lume, ciò che è sufficiente all’uomo per fermarsi a recuperare il tempo perduto attraverso la sua riscrittura – lo spazio reso un luogo/non luogo dove il tempo che scorre è quello mosso dalle figure che vi compaiono e dai loro ricordi. Le azioni dei personaggi, i protagonisti dell’opera anch’essi solo evocati e senza narrazione, nella performance sono proposte stilizzate, rese segno, gesto mimico, il tempo che le scandisce è quello irreale del sonno. Come accade nei dipinti le figure “vivono” quando sono colpite dalla luce, che qui è la luce della memoria. Alla ricerca del tempo perduto è reso in questa interpretazione un lavoro pittorico, le Aure sono quelle lasciate impresse sulla tela dagli archi di pennellata delle vite raccontate: tracce colorate o nere, lievi o impetuose. Tutte insieme, e interpretate, vogliono simboleggiare alcuni temi che percorrono l’opera, amore e desiderio di possesso, solitudine e ossessione, slancio e rinuncia. Alla fine non si ottiene un disegno, perché le aure sono evanescenti e necessitano di una lettura, quindi di un veicolo che dia loro una forma che è comunque quello della parola. Proust nella Recherche ne ha usate tante, ha affidato all’arte, alla musica, solo l’indicibile, e così facendo anche questo l’ha detto, e scritto. Lo spettacolo rinuncia alla parola, affida solo al fascino della suggestione il compito di narrare, e l’effetto che ottiene è che lo sguardo dello spettatore si distoglie presto dai movimenti che animano la scena per andare a raggiungere quel libro inerte aperto sul tavolino, è lui il vero protagonista e si ha solo voglia di sentirlo parlare.

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