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Laura VicenziLaura Vicenzi
Giornalista
Bassanonet.it

Interviste

A tu per tu con Patrizia Valduga

L'incantamento della poesia

Pubblicato il 26-05-2009
Visto 5.378 volte

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Mi ha colpito una sua osservazione inanellata tra le parole dell’incontro ad Oliero: ha affermato che dopo lunghi e amorosi studi e letture di poesia è giunta a fare una sua particolare distinzione tra i poeti, ci sono quelli “della mancanza” e quelli della “pienezza”. Lei a quale si sente di appartenere?

A quelli della mancanza, con tutta probabilità del classico oggetto d'amore materno.

Patrizia Valduga


Per gioco ha detto di essere stata donna di cuori e di dolori, ma anche donna di casa, tuttofare, idraulico, colf... per Giovanni Raboni, non ha fatto accenno al suo essere stata la sua Musa. Un atto d’amore, una forma di rispetto?

Un poeta è sempre fatalmente ispirato dalla donna che ama, e Raboni ne ha amate molte. Non credo di essere stata più "musa" delle altre.

Lei racconta prima e dopo le poesie, le introduce, le cura e le culla con la voce...

La poesia è anche incantamento, piacere sensuale di una successione ordinata di suoni e di ritmi. Mi piace tanto recitare i poeti che amo, e perché mi piace tanto riesco, forse, a trasmettere il mio piacere.

Mi è molto piaciuto il suo sottolineare che “i Grandi si amano tra loro”, dunque non si è soli... quelle bellissime “solitudini gemelle”: ci si riconosce e ci si rispecchia negli occhi o nelle parole di qualcuno forse solo per affinità, non per un desiderio di incontro?

Proust parla di consanguineità delle intelligenze. Che sia questo? Mah.

Ho visto un filmato su YouTube in cui una sua poesia “Vieni, entra e coglimi” viene interpretata attraverso la danza e il colore. Cosa pensa delle contaminazioni artistiche? Le parole possono anche stare da sole?

L'ho visto anch'io; nessuno mi ha consultato, è un po' come essere morta. Penso, tutto sommato, che i versi dovrebbero bastare a loro stessi.

Lei è spesso stata definita la poetessa dell’Eros, ma le etichette sono sempre fuorvianti nel loro tentativo vano di “de-finire”. Ho amato molto quel suo verso “dopo ci sono solo i morti”

Tutti quelli che parlano di sesso hanno problemi sessuali. Cercano l'estasi del piacere, l'annientamento del sè, insomma una specie di morte.

Per continuare a parlare d’amore, due è sempre un numero dispari?

No, se si ha la fortuna di incontrare chi ci è complementare.

Lei sembra una donna senza tempo, è anche senza spazio? Ama Milano? Ci si sente a casa? Raboni diceva che la città è la metafora della vita

II luogo è dove c'è chi amiamo. Non m'importa di altri luoghi. Amo Milano perché è la città di Raboni. Diceva anche: "Ho sempre pensato che la vita non sia qualcosa da cui si entra e si esce, qualcosa che si attraversa come uno spazio finito, ma come qualcosa in cui si sta indefinitamente". Lui sta indefinitamente qui, a Milano.

Trovo il suo utilizzo della metrica un volare in una bellissima gabbia d’oro, non è una chiusura, assomiglia di più ad una scelta di clausura

Ho scritto che la prigione della forma è la più alta forma di libertà, perché essere costretti a scegliere tra poche parole ci fa dire di noi qualcosa che non sapevamo neppure di sapere.

Un congedo con un verso che ama

Posso 2 e mezzo? "Così c'è / chi ignora e chi invece ha nel cuore / la comunione dei vivi e dei morti" (Raboni, Quare trisris).

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