B.Motion legge l'attualità
Una seconda giornata densa di eventi, per B.Motion Teatro, tra libri-mondo e temi forti, visti col linguaggio del contemporaneo

gli attori di Oyes, al teatro Remondini per Operaestate B.Motion
Una seconda giornata densa di eventi, per B.Motion Teatro. Nel tardo pomeriggio di ieri, la compagnia svizzera Trickster-p ha proposto allo Spazio Corona, in replica, Book is a Book, is a Book, is a Book (lo spettacolo è in programma anche per oggi alle ore 19 e alle ore 21, su prenotazione), una prima nazionale che offre a ogni singolo spettatore partecipante — tutto è organizzato in conformità alla normativa vigente sulla salute pubblica — l’esito di un progetto molto interessante che guarda alla pluralità di linguaggi delle arti performative e che ha portato alla realizzazione di un viaggio emozionale ed emozionante, di quelli che permettono visioni da Google Earth, il via e l’approdo: un oggetto-libro.
In serata, rispettivamente al Teatro “Tito Gobbi” e al Remondini, si sono susseguiti due spettacoli: Lo psicopompo, scritto e diretto da Dario De Luca, portato in scena dallo stesso ideatore con Milvia Marigliano, e poi a chiudere Vivere è un’altra cosa, lo studio di una performance realizzato a cura di Oyes-La Corte Ospitale. Entrambi temi difficili, quelli affrontati da questi due spettacoli in scena, declinati il primo (il suicidio) coi toni della tragedia e il secondo (i giri sulle catenelle della non-vita, li abbiamo fatti tutti di recente) con quelli della commedia, ma con un filo rosso ben visibile a tenerli uniti.
Lo psicopompo, una figura antica che svolgeva la funzione di accompagnare le anime dei morti nell'aldilà, nel lavoro di De Luca indossa le vesti di un infermiere che a pagamento offre in prontuario il suicidio assistito. La richiesta del servizio proviene da una donna che l’angelo nero scopre essere sua madre (potrebbe essere un gioco di finzione che i due portano avanti tra loro). Tutto si svolge su un palcoscenico che presenta al centro un divano giallo, una dormeuse, a testimoniare che la richiesta di aiuto nulla ha a che fare con un disagio materiale, né sociale, neanche con una malattia di quelle terribili qualunque che conosciamo e che non nominiamo mai volentieri. Milvia Marigliano recita con bravura la parte dell’aspirante suicida. La donna è astiosa con lui, il figlio-infermiere, e con il mondo intero ma la sua sofferenza, il male di vivere, va al di là di qualsiasi contesto indagabile su un lettino anche esperto. Molta parte dei riferimenti frammisti ai dialoghi sono lasciati all’interpretazione, c’è una quota di reticenza nel racconto che permette di percorrere diverse strade allo spettatore che segue il dramma.
C’è anche un’ampia finestra in scena, che diventa presto uno schermo che benevolmente tiene fuori da ciò che accade. Il susseguirsi delle scene è ritmato anche dalla musica, musica classica (il suono è a cura di Hubert Westkemper) che diviene forse l’unico canale comunicativo libero tra i due, al di là delle trattative per il loro contratto pietoso.
Non c’è invece un divano di quelli che amava Oblomov, sul palco del Teatro Remondini, ma sono presenti a gruppi alcune sedie che accolgono gli attori (Martina De Santis, Francesca Gemma, Francesco Meola, Dario Merlini, Umberto Terruso). La trasposizione dei personaggi che interpretano, liberamente tratti dal romanzo capolavoro di Gončarov, è nell’aria, ma prevalgono le figure del tutto anonime, da vicini di casa quando non esattamente da “uno di noi” dei giovani uomini e donne alle prese con la pandemia e il lockdown che interpretano: del tutto credibili, replicati e replicabili come un riflesso nello specchio in questi momenti, al di là di qualunque riferimento letterario. Oblomov è in realtà un artefice di mondi, di mille fatti e di eventi che scaturiscono per assurdo dalla sua immobilità. Anche qui, la chiusura delle strade e dei chiavistelli di casa genera un gran movimento che fa guardare tutto più da vicino e amplifica delizie e orrori della vita quotidiana. I giovani attori che raccontano sul palco suscitano simpatia, e risate. Parlano delle loro giornate (se anche lo fossero) con ironia e sforzandosi di non vedere dentro le cose buffe l’ombra della tragedia. Solo in un momento, per contrasto, la si legge chiaramente: quando viene accesa una palla da discoteca e suona forte una vecchia canzone di Gloria Gaynor (I will survive) e gli attori restano immobili, schierati, seri, a guardare il buio che hanno davanti.
A fine spettacolo, Francesca Gemma ha dato lettura di una lettera che ricorda la crisi che stanno vivendo i lavoratori dello spettacolo, che chiede risposte concrete e il riconoscimento della dignità del loro lavoro.
Applausi, dal pubblico di B. Motion.
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