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Alessandro TichAlessandro Tich
Direttore Responsabile
Bassanonet.it

Attualità

Mi sono rotto i tamponi

Sono stufo della marea di parole che in Italia sta seppellendo l'informazione sull'evolversi della situazione Covid. Ora ci si mette anche il sindaco Pavan

Pubblicato il 20-10-2020
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Mi sono rotto i tamponi. Non ce la faccio più, mi sono stufato. Sulle questioni cruciali come la sanità pubblica, l'Italia è un Paese incapace di rendere un'informazione obiettiva, formativa e distaccata. Non ne siamo capaci, perché la sanità è un'arma impropria di consenso in mano alla politica, oltre che un sistema di tutela della salute dei cittadini. Vedasi Luca Zaia a reti unificate durante il lockdown. Parole, parole, parole: ci risiamo, come sette-otto mesi fa, prima e durante il culmine di primavera della pandemia da Covid-19. I grandi media hanno ripreso a bombardarci scientificamente sull'evoluzione del contagio e la novità di questa nuova fase di convivenza con il virus è la “guerra” tra i clinici e tra i virologi, protagonisti dei titoli sui giornali e delle ospitate in Tv. Zangrillo contro Crisanti, Tarro contro Burioni, Clementi contro Ranieri Guerra. Persino Crisanti contro Zaia, accusato nei giorni scorsi dal noto virologo e microbiologo di essere diventato “un venditore di fumo” per la proposta dei “tamponi fai da te”, considerati dallo studioso “una buffonata”. È notizia di queste ore che il professor Andrea Crisanti - considerato l'uomo che ha salvato il Veneto dalla prima ondata del Covid, intuendo la necessità di fare i tamponi e i tracciamenti agli asintomatici, a partire dal focolaio di Vò Euganeo - è stato invitato all'inaugurazione dell'anno accademico dell'“Ateneo di Treviso” per parlare sul tema “Pandemia, quali prospettive?”, ma la giunta leghista di Treviso ha ritirato il patrocinio all'evento perché “la sua presenza è un affronto” in quanto “ha messo in discussione la sanità veneta”. Un episodio che parla da sé. E questo perché le divisioni scientifiche sulla gestione dell'emergenza debordano inevitabilmente anche nella politica.
E mentre nella “prima fase” della pandemia un Paese ancora sotto shock e impreparato alla novità del virus metteva in pratica, stringendo i denti, le disposizioni dei vari DPCM del premier Conte auto-raccontandosi l'enorme bugia dell'“andrà tutto bene”, in questa “seconda fase” la tutela del diritto fondamentale alla salute dei cittadini (articolo 32 della Costituzione) è diventata invece un'opinione. Da una parte, il governo ribadisce quotidianamente la necessità di tenere alta la guardia e continua a seguire la linea della “massima prudenza” secondo i dettami indicati dal Comitato tecnico-scientifico. Dall'altra, l'opposizione - Salvini in primis - grida al deficit di democrazia, accusando l'esecutivo di voler mantenere forzatamente lo stato di emergenza per scavalcare il parlamento. In mezzo a tutto a questo maremoto di parole ci siamo noi, comuni cittadini, con le nostre mascherine, i nostri gel per le mani e il nostro distanziamento sociale, sballottati tra una notizia e la sua contraddizione, tra un annuncio e la sua smentita, tra una dichiarazione e il suo contraltare, nel terrore supremo che ci arrivi tra capo e collo l'incubo di un nuovo lockdown. E la giostra continua.

Fonte immagine: regione.abruzzo.it

Non so voi, ma è per queste ed altre ragioni che io ho superato il limite della sopportazione.
E, a quanto pare, siamo ancora all'inizio perché questo tourbillon di parole al vento proseguirà almeno fino a Natale. Sarà un inverno riscaldato dal CO2 delle chiacchiere.
Se poi questo triste teatro delle posizioni “pro” e “contro” le disposizioni governative a seconda della collocazione politica scende anche al livello della politica locale, siamo veramente alla frutta. Come ben sappiamo, domenica scorsa è stato emesso il nuovo DPCM del presidente Conte che stabilisce, tra le altre cose, la chiusura di tutti i locali alle 24, aggiungendo che “i sindaci potranno disporre la chiusura dopo le 21 di vie e piazze dove si creano assembramenti”. La cosa ha creato scompiglio tra i primi cittadini dello Stivale, a cui adesso spetta la facoltà di “chiudere” la movida serale che viene data in mano ai Comuni e che per molti è apparso un escamotage per “scaricare” la responsabilità sui territori di eventuali mancate restrizioni su locali, piazze e quartieri a forte rischio di assembramenti.
Di questa fazione di sindaci “contestatori” fa parte anche il sindaco leghista di Bassano del Grappa Elena Pavan, che in un Tg locale ha dichiarato che “i sindaci sono veramente lo scaricabarile di questo governo, perché altre volte molte responsabilità grosse sono state demandate ai primi cittadini, andando oltre le loro competenze per proprio ovviare a delle lacune centrali.” “Questi nuovi limiti orari - ha ancora detto la Pavan al microfono del Tiggì - hanno delle conseguenze naturali, inevitabilmente, rispetto alla vitalità della città.”
Come dire: una città vitale, con la sua movida e con i suoi Giri d'Italia, è prioritaria rispetto a una città sana.

Elena Pavan ha ovviamente il diritto e la facoltà di dire quello che vuole, ma il fatto di demandare a un sindaco decisioni riguardanti gli assembramenti sul suo territorio per evitare rischi di contagio è tutto, fuorché un andare “oltre le competenze” di un primo cittadino.
Il sindaco di Bassano dovrebbe sapere bene che la legge attribuisce ai sindaci la funzione di autorità sanitarie locali. Secondo le disposizioni legislative vigenti “il sindaco rappresenta la comunità locale ed è autorizzato a esercitare una serie di poteri anche molto incisivi per garantire il benessere dei suoi cittadini”. Inoltre “il sindaco, in quanto rappresentante del Governo sul territorio, svolge in prima persona le funzioni che caratterizzano la sua natura di pubblico ufficiale e di rappresentante dello Stato centrale sul territorio”. Possiamo anche chiamarlo scaricabarile, ma è così. Inoltre la Pavan ricopre la delicata posizione di presidente della Conferenza dei Sindaci dell'Ulss n. 7 e certe dichiarazioni in materia di politica sanitaria dovrebbe perlomeno concordarle con il comitato esecutivo di tale organismo rappresentativo. Posso capire che i primi cittadini siano rimasti “sorpresi” da una simile disposizione governativa, arrivata all'improvviso sui loro gropponi, ma l'alternativa - al netto dei provvedimenti dei prossimi DPCM, che non mancheranno di sicuro - sarebbe stata quella di una decisione da Roma uguale per tutti, senza tenere conto delle differenze di frequentazioni a rischio di affollamento negli spazi pubblici tra i quasi ottomila Comuni italiani, dalle metropoli ai paesini di montagna. Ancora una volta, dunque, il sindaco di Bassano del Grappa ha dimostrato di pensare più alla politica che alla città, più alla movida che alla prudenza, più alla vitalità che alla prevenzione. Quello stesso sindaco che alla “ripresa” post-lockdown dello scorso mese di maggio, in occasione di una commissione consiliare dedicata alla situazione Covid nelle case di riposo bassanesi, ha delegato a rappresentarla l'assessore al Sociale Zanata, preferendo andare a visitare i negozi e i bar del centro per salutare la loro riapertura. Qualcosa vorrà pur dire.

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