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Alessandro Tich
Direttore Responsabile
Bassanonet.it
“La vita di un uomo”
Il parroco di Santa Maria in Colle mons. Renato Tomasi interviene sulla vicenda di Graziano Stacchio, il benzinaio di Ponte di Nanto che ha sventato la rapina alla gioielleria Zancan uccidendo uno dei rapinatori
Pubblicato il 16-02-2015
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Il parroco di Santa Maria in Colle e arciprete abate di Bassano del Grappa mons. Renato Tomasi interviene - affidando il suo pensiero al foglio parrocchiale - sulla vicenda di Graziano Stacchio, il benzinaio di Ponte di Nanto che lo scorso 3 febbraio ha sventato il tentativo di rapina alla gioielleria Zancan sparando mortalmente a uno dei rapinatori, il 41enne giostraio trevigiano Albano Cassol, deceduto pochi istanti dopo la sparatoria a bordo dell'auto in fuga per emorragia alla gamba perforata da un proiettile.
E' da due settimane che i media nazionali e locali si occupano del caso di Stacchio, che oggi si trova indagato per eccesso di legittima difesa e che, parallelamente, si trova al centro di un'ondata di solidarietà popolare senza precedenti. Anche i politici, travolti dalla risonanza mediatica di questa tragica storia, fanno a gara per testimoniare la loro vicinanza nei suoi confronti.
Oggi è stato il turno del segretario federale della Lega Nord Matteo Salvini, che questa mattina a Ponte di Nanto ha incontrato il benzinaio e anche il titolare della gioielleria Roberto Zancan, annunciando che la Lega ha depositato una proposta di legge per l'ampliamento delle garanzie in materia di legittima difesa.

Graziano Stacchio e, nel riquadro, il bandito ucciso Albano Cassol (fonte immagine: urbanpost.it)
In tutta questa corsa alle prese di posizione sul drammatico fatto di cronaca, don Tomasi propone la sua riflessione dal punto di vista cristiano, e in quanto tale le sue parole possono apparire anche controcorrente rispetto al pensiero dominante su quanto accaduto davanti alla gioielleria.
Riportiamo quindi di seguito, integralmente, l'intervento del parroco di Santa Maria in Colle, a beneficio dei nostri lettori e del dibattito sul delicatissimo tema della sicurezza, della legittima difesa e più in generale del valore della vita di chi - come nel caso di un rapinatore armato - può attentare alla vita altrui:
Per il foglio parrocchiale 15.02.15, alla pag.4:
LA VITA DI UN UOMO
Alcuni giorni fa, un benzinaio ha sparato e ucciso uno dei rapinatori che avevano assalito una gioielleria, e cercavano di aprirsi la fuga facendo fuoco con armi pesanti. Tutto fa pensare che si sia trattato di un atto di legittima difesa, anche nei confronti di una commessa che si era trovata sola in balia dei rapinatori; e di fatto la gente si è stretta attorno a lui e al suo gesto di coraggio: è stata usata la parola “eroe” (anche se l’interessato l’ha smentita), e ci sono state (e continuano) molte espressioni di sostegno, pure di rappresentanti della società civile, fino a un grande corteo-assemblea davanti alla sua casa, con le candele accese.
Anche l’apertura del procedimento di legge per accertare i fatti è stata vista da molti come un atto indebito, per quanto sia chiaro che la verità va dimostrata, e non presupposta. E allora è il caso di fermarci un momento a riflettere, e la prima cosa importante è cercare di capire le situazioni di questo genere, al di là dell’emotività del momento. Siamo infatti in un tempo nel quale il dilagare della criminalità sta generando un clima di insicurezza e di paura, di fronte al quale ci si sente indifesi, per cui nasce l’impressione che la legge e le istituzioni non facciano la loro parte, o non la facciano in modo efficace.
Talvolta si tratta di reati che non comportano violenza (i furti negli appartamenti, i raggiri di persone anziane e sole…), ma che impediscono di sentirsi sicuri nella propria casa; e ci sono poi gesti ben più gravi, come le rapine che si traducono in aggressione violenta e terrorizzante.
E’ quindi giustificabile la richiesta forte e collettiva di interventi pubblici, che prevengano e affrontino concretamente la malavita, anche per evitare l’esasperazione di chi pensa di farsi giustizia da solo. A condizione però che tutto questo non serva a fomentare il rifiuto della solidarietà e dell’accoglienza, trasformando in nemico chi è diverso o straniero…
C’è comunque una questione che interroga i cristiani (ma che riguarda ogni uomo, al di là della scelta di fede), ed è il valore della vita umana, qualunque essa sia, di fronte alla quale la Parola di Dio afferma “Tu non ucciderai!” (Esodo 20,13). E a chi sostiene che in questo caso si trattava di un malvivente, la Scrittura dice che Dio “impose a Caino (il fratricida!) un segno, perché nessuno, incontrandolo, lo colpisse” (Genesi 4,15): la vendetta non rende migliore chi la compie, né rende più degna e sicura la convivenza sociale!
Questo vuol dire che ci possono essere dei momenti nei quali si pone l’esigenza di ricorrere alla forza per difendere sé e gli altri dalla violenza: può trattarsi di un rapinatore brutale, o dei terroristi disumani e spietati dell’ISIS, o - come abbiamo da poco ricordato - degli aguzzini dei campi di sterminio…
Ma quando questo accade il cristiano può arrivare a riconoscere che era necessario intervenire, assumendo e condividendo la responsabilità della scelta; ma non può essere contento per aver “fatto giustizia”, o - tanto peggio - per “avergliela fatta pagare”, perché togliere la vita a un uomo è sempre una ferita e una sconfitta che tocca l’umanità intera; e ferisce il progetto di un Dio, che non vuole la morte del peccatore, ma che si converta e viva (v. Ezechiele 18,23).
Allora guardo con simpatia a quel benzinaio, perché, pensandolo un uomo onesto, posso immaginare che non sia estraneo a questi pensieri, e che avverta responsabilmente dentro di sé il carico della scelta compiuta.
Renato Tomasi
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