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Alessandro TichAlessandro Tich
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Politica

I Shot the Sheriff

Ci sono notizie di attualità politica che vanno oltre il loro ambito locale per la forte componente simbolica che le accompagna: una di queste è la storica sconfitta di Giancarlo Gentilini alle elezioni comunali di Treviso

Pubblicato il 11-06-2013
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Ci sono notizie di attualità politica che vanno oltre il loro ambito locale per la forte componente simbolica che le accompagna.
E una di queste, inevitabilmente, è la notizia della storica sconfitta di Giancarlo Gentilini alle elezioni comunali di Treviso, dove l'ottuagenario ex sindaco ed ex prosindaco, da 20 anni sotto i riflettori della scena trevigiana, veneta, padana e nazionale, si è dovuto arrendere al ballottaggio lasciando le chiavi del municipio di Ca' Sugana al trionfatore della competizione elettorale: Giovanni Manildo, avvocato, area centrosinistra, candidato sindaco della lista “Treviso Bene Comune”, impostosi con il 55,50% delle preferenze.
Che Gentilini non partisse coi favori del pronostico era un dato di fatto: già al primo turno era arrivato secondo - quasi un'onta per lui, abituato a cavalcare senza se e senza ma sul consenso del popolo - in un momento storico in cui la Lega Nord (si veda il caso Vicenza, con Manuela Dal Lago) scopre che i suoi dinosauri sono in via di estinzione. Ma per l'ennesima volta, in vista del secondo e decisivo turno, il sindaco che più di tutti - a colpi di frasi celebri e di iniziative clamorose - ha proiettato il nome di Treviso sui giornali aveva contato sulle sue indubbie qualità di trascinatore di folle per rovesciare il risultato e riconquistare la poltrona di primo cittadino, evitando di “darla in mano ai comunisti”.

Giancarlo Gentilini: a Treviso, e non solo, è la fine di un'era

Il problema, per un trascinatore come lui, è che questa volta sono mancate le folle. Che da una parte hanno disertato le urne (58,61% l'affluenza al ballottaggio) e dall'altra gli hanno voltato le spalle.
La notizia della sconfitta Gentilini l'ha presa male, anzi malissimo. Narrano le cronache dei quotidiani trevigiani che durante lo spoglio delle schede si è barricato nella sua roccaforte di Ca' Sugana, incredulo del risultato, per poi uscirne affranto e umanamente, prima ancora che politicamente, distrutto. Affidando ai cronisti che lo attendevano fuori - in piena sintonia col personaggio - anche l'epitaffio di se stesso: un privilegio autoreferenziale che in pochi si possono permettere.
“È finita l’era Gentilini, è finita l’era della Lega e del Pdl. Stop. Adesso Gentilini scompare dalla scena amministrativa e politica”: è la sua prima dichiarazione a caldo riportata dalle agenzie. E ancora: “Io i miei voti me li sono presi. Mi sono mancate le stampelle. Mi hanno buttato nel fango della sinistra. In generale è finita. Abbiamo perso dappertutto. L'orda barbara della sinistra non si ferma mai.”
Quasi un testamento spirituale, in puro stile gentiliniano, prima di aspirare a un posto di spicco al Museo delle Cere. Anche se difficilmente riusciamo a immaginarci un Gentilini totalmente staccato dalla politica, intento a passare le sue giornate giocando a briscola in osteria o passando i pomeriggi su quelle panchine che più di 15 anni fa - al massimo della popolarità - aveva fatto togliere dai giardinetti di Treviso per evitare che gli immigrati vi si sdraiassero.
State tranquilli che prima o poi si farà di nuovo vedere e si farà di nuovo sentire: ma questa volta - e dovrà farsene una ragione - lo farà da outsider.
Amato dai suoi aficionados ma non certo da tutti i suoi compagni (mi scusi, Genty, se ho usato una parola “comunista”) della Lega Nord, ora l'ex supersindaco padano rischia dagli stessi l'effetto scarica-barile del “noi l'avevamo detto”, classica giustificazione delle sconfitte elettorali oltre alla scusa dell'astensionismo. E c'è già chi gli rinfaccia di avere ostacolato l'alleanza elettorale con l'imprenditore del caffè Massimo Zanetti - ovvero Mister Segafredo, candidato sindaco sconfitto al primo turno - poi riacciuffata in extremis a pochi giorni dal ballottaggio.
Nicola Finco, green boy della Lega regionale e bassanese, ha cinguettato ieri su twitter il seguente commento: “Purtroppo non è andata bene, onore ai vincitori e rispetto ai vinti”. Ma è lo stesso Finco che sempre sui social network predica la necessità di riflettere sul “futuro della Lega” e sulla “mancanza di rappresentatività politica del Nord”. Una questione che l'uscita di scena dalle stanze dei bottoni di Gentilini, della Dal Lago e di altri gloriosi legosauri costituisce, per il movimento leghista nel Veneto, anche un problema di ricambio generazionale.
Nel frattempo Ca' Sugana, incontrastato feudo del Carroccio per due decenni, apre le porte al nuovo sindaco. Giovanni Manildo indossa la fascia tricolore e promette “una città più aperta e governata da tutti i cittadini”. E intanto - a pieno titolo - può fare il verso a Bob Marley ed Eric Clapton: “I Shot the Sheriff”.

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