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Laura Vicenzi
Giornalista
Bassanonet.it
Ombre Gialle sull'ultimo libro di Giorgio Faletti
A tu per tu con Eleonora Andretta
Pubblicato il 23-08-2009
Visto 6.349 volte
Su internet e sui giornali ha iniziato a rimbalzare, tra i traduttori e chi mastica bene l’inglese, qualche strano dubbio di matrice “linguistica” a proposito dell’ultimo romanzo giallo di Giorgio Faletti “Io sono Dio”. Se ne è scritto su Italians, il blog di Beppe Severgnini, e su alcuni siti specialistici, hanno accennato all’argomento un paio di articoli su quotidiani autorevoli e un diffuso settimanale. Il vespaio, ed entriamo nel merito anche noi con qualche modo di dire tipicamente italiano, è stato sollevato da Eleonora Andretta, traduttrice e interprete che vive Crespano del Grappa. Intervistata, Eleonora ci ha raccontato che leggendo il libro si è imbattuta in una quantità davvero notevole di “calchi”, cioè di espressioni tradotte letteralmente dall’inglese, cosa che l’ha molto disorientata e che l’ha spinta ad inviare l’ormai famoso post a Beppe Severgnini: “mobile” al posto di cellulare, “tavolino da notte” invece di comodino, “non giriamo attorno al cespuglio” al posto di non meniamo il can per l’aia, e poi un sovrabbondare di “eccitato”, aggettivo onnipresente e senza sinonimi di sorta... la lingua non è fatta solo di parole e di forme sintattiche, è arricchita da modi di dire, da forme idiomatiche, e quelle che sarebbero chiarissime ad un americano stonano ad un lettore italiano e soprattutto all’orecchio sensibile di un traduttore.
Lei ha terminato il suo post inviato a “Italians”, il forum del Corriere della Sera curato da Beppe Severgnini, con un: “E allora? Non so cosa pensare… ”, ora dopo aver esternato il suo dubbio sull’ultimo successo di Faletti, un libro che le ha lasciato l’impressione dell’italiano incomprensibilmente «derivato», ha le idee più chiare?
Eleonora Andretta
La mia rimane una perplessità. Ho voluto esternarla e l’ho fatto quasi d’impulso sul blog di “Italians”, dove si pone molta attenzione alle tematiche linguistiche e a quelle della traduzione, l’ho fatto mentre leggevo il libro. Mi pareva davvero esasperato l’abuso di calchi che continuavo ad incontrare, le traduzioni letterali, improprie, sono un difetto per chi si occupa di traduzione. Mi ha stupito trovarmi di fronte a questa ricorrenza di immagini che non ci sono proprie in un libro scritto da un autore italiano.
Ha avuto qualche contatto dopo l’uscita del post con la casa editrice dello scrittore, la Baldini Castoldi Dalai, o una qualsiasi risposta dall’autore?
Nessun cenno di risposta. Questo aspetto mi ha un po’ avvilita, nel mondo del lavoro di fronte ad un’osservazione critica, a un prodotto che genera un motivo di insoddisfazione si apre un interlocutorio, per capire insieme, per spiegarsi. Io ho acquistato il libro, posso giustamente essere considerata una cliente della Baldini Castoldi Dalai, una cliente non proprio soddisfatta e ne ho spiegato le ragioni, mi pareva lecito attendermi due righe di commento alle mie osservazioni. Non ho secondi fini, mi hanno persino chiesto se faccio parte del personale di un’altra casa editrice! Quello che mi ha mosso a rendere pubblico il mio pensiero è solo l’amore per il mio lavoro e per chi lo sa fare bene. Ho studiato alla Scuola Superiore di Lingue di Trieste, sono esaminatrice Cambridge ESOL, e non sono di madrelingua inglese, ho molto rispetto per chi si occupa seriamente di traduzione.
Ha letto gli altri suoi romanzi? Faletti è anche finalista al Premio Chiara con la raccolta di racconti “Pochi inutili nascondigli”
Non lo sapevo. Ho letto il suo primo romanzo “Io uccido”, me l’aveva regalato mio marito. Mi pare di ricordare una scrittura diversa, ma lo stile si affina, cresce e migliora solitamente, e poi bisogna pensare che la prospettiva di una distribuzione mondiale cambia anche il taglio e le prospettive dei progetti. Voglio precisare che non è mia intenzione quella di dare la “caccia al ladro”, quello di Giorgio Faletti è un libro che mi è capitato di leggere e che mi ha lasciato un dubbio per lo stile che è stato usato.
Spesso quando leggiamo non pensiamo a quanto sia importante l’opera del traduttore nel determinare il successo o l’insuccesso di un libro
Certo, quando leggiamo un libro tradotto alla fine leggiamo il libro del traduttore. Dovrebbe essere sempre tenuta ben presente l’importanza del ruolo di chi importa le parole facendole trasmigrare da territori altrui. Per rispondere a chi se lo chiede sui blog io non mi occupo della traduzione di libri. Quello dei traduttori per le case editrici è un circuito davvero molto chiuso. Lavoro alle traduzioni con continuità, ho soggiornato a lungo all’estero, conosco molto bene la New York che descrive Faletti nel suo thriller.
L’Assessore alla Cultura Prof. Pegoraro in una recente intervista rilasciata a Bassanonet ci ha parlato del traduttore come di un “direttore d’orchestra”, di una figura che dà il suo ritmo, i suoi tempi, le sonorità che in fondo è lui a scegliere a testi scritti da altri
Sì è così, il traduttore cerca di modulare sinfonie scritte da persone diverse, spesso sconosciute, lo fa con i propri strumenti cercando di non “tradire” troppo l’intenzione ultima, comunque l’opera che ne risulta è sempre altro dall’originale. Ammiro molto la serietà e la ricerca della precisione in chi si vede affidati pensieri e parole provenienti da altri mondi, da altre realtà. Al giorno d’oggi tutti orecchiamo un po’ l’inglese e pensiamo di essere in grado di tradurre senza troppe difficoltà un testo, una canzone, ma la vera traduzione è un’altra cosa, occorre saper pensare ed esprimersi con padronanza in due lingue, non è così facile.
Il traduttore ha il passepartout per entrare in mondi nuovi che in parte alla fine poi gli appartengono interamente, è una professione che richiede studio e impegno ma che regala questo grande privilegio
Capita anche molto spesso che l’interprete e il traduttore non abbiano a cimentarsi con discorsi o testi così interessanti ed eletti, si tratta di un lavoro, è quello che ho scelto e che amo
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