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Rinascimento in bianco e nero

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Rinascimento in bianco e nero

Laura VicenziLaura Vicenzi
Giornalista
Bassanonet.it

Libri

Libri a teatro

Andato in scena a Teatro Remondini, in prima nazionale, il nuovo lavoro di Marta Cuscunà narra storie di donne e di veli, i tanti che sono loro imposti

Pubblicato il 01-09-2012
Visto 2.702 volte

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Rinascimento in bianco e nero

Al Teatro Remondini è andato in scena ieri sera il secondo lavoro di Marta Cuscunà. La giovane attrice e autrice ha portato a Bassano in prima nazionale La semplicità ingannata. Satira per attrice e pupazze sul lusso d’esser donne. Lo spettacolo prosegue la sua esplorazione artistica che segue il tema delle “Resistenze femminili”.
Dopo È bello vivere liberi la ricerca della Cuscunà si è rivolta a una stagione della resistenza che pare lontana – si parla delle vicende di figlie del Cinquecento – ma che lo è solo in apparenza: il testo dello spettacolo è liberamente ispirato alle opere di Arcangela Tarabotti, scrittrice e monaca nata nel Seicento, e al caso della rivoluzione bianca delle Clarisse di Udine, un gruppo di donne eroiche che negli anni del Rinascimento italiano sfuggirono, usando il sapere e l’intelligenza, all’accusa dell’Inquisizione di eresia. La semplicità ingannata (all’inizio titolato Tirannia paterna, libro messo all’Indice) è un trattato giovanile della Tarabotti, una veneziana di buona famiglia condannata per nascita, era zoppa, alla vita monacale. In essa, come in tutto il corpus delle sue opere, Angela ha denunciato gli abusi dell'autorità familiare nel decidere la sorte delle figlie e l’offesa perpetuata da un’intera società alla dignità delle donne non da marito rivendicando la libertà e l’arbitrio delle ragazze; il suo duro j'accuse è rivolto a un diritto leso opportunamente canonizzato.
Il tema centrale dello spettacolo è dunque l’abuso. La sua lettura attraverso un viaggio letterario tra le prassi della monacazione forzata, dell’uso dei conventi a fini economici da parte dei padri che risparmiavano sulla dote della prole femminile e della consuetudine della Chiesa di fare di questo mercato delle donne un business, è stata proposta da Marta Cuscunà priva di accenti enfatici – i testi delle tragedie non ne hanno mai necessità –, facendo tesoro degli echi letterari delle storie di capinere e sostituendo alla fastidiosa retorica che spesso sottende il genere del teatro civile una satira porta con garbo, e per questo ancora più pungente. Sola sul palco, circondata dai pupazzi realizzati da Belinda De Vito, l’attrice ha dato voce a memorie del passato che parlano di sconfitte e di vittorie, di atti di resistenza e di vili tirannie.

Marta Cuscunà

Gli spettatori del Remondini hanno tributato lunghi applausi, meritati, all’attrice e al suo lavoro. Tra le riflessioni “semplici” che sorgono a fine spettacolo: sarà scomparso o è stato subdolamente sostituito, nella realtà moderna, uno dei tre modelli di vita dettati alle donne dal potere dominante (o mogli, o prostitute, o suore)?

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