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Alessandro TichAlessandro Tich
Direttore Responsabile
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Poenta e Tokyo

Eccellenze bassanesi “in the world”: intervista a Andrea Simioni, chef e patron dell’eno-trattoria Nuovo Borgo al Margnan, uno dei quattro cuochi di Casa Italia alle Olimpiadi

Pubblicato il 17-09-2021
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Un astro nascente nel Sol Levante. In realtà il suo lavoro lo svolge già da parecchi anni, ma nel 2021 - l’anno “posticipato” delle Olimpiadi di Tokyo 2020 - ha avuto la grande occasione del suo battesimo del fuoco e della sua consacrazione a livello internazionale. Andrea Simioni, 41 anni, è lo chef e il patron dell’eno-trattoria Nuovo Borgo di Bassano, giù al Margnan. Ma è stato anche, e soprattutto, uno dei quattro cuochi di Casa Italia alle recenti Olimpiadi giapponesi.
Casa Italia è la “Hospitality House” dell’Italia Team del CONI.
Molto più di una sede di rappresentanza per il resto del mondo e di ritrovo per gli atleti azzurri in occasione dei Giochi Olimpici, nel tempo è diventata una vetrina privilegiata del Made in Italy e delle sue eccellenze. A Tokyo Casa Italia era ospitata nell’edificio in stile liberty “The Kihinkan - Takanawa Manor House”, l’ala vecchia e riqualificata di un albergo nel quartiere di Minato, a circa 10 chilometri dal Villaggio Olimpico e dal Main Press Centre.

Andrea Simioni a Casa Italia alle Olimpiadi di Tokyo

Qui, per l’intero svolgimento dei Giochi, Andrea Simioni ha lavorato nella prestigiosa brigata di cucina come sous-chef.
Gli altri tre componenti del quartetto erano i due chef Graziano Prest del ristorante Tivoli di Cortina d’Ampezzo (1 stella Michelin), Fabio Pompanin del ristorante Al Camin sempre di Cortina d’Ampezzo e l’altro sous-chef Stefano Camata di Crocetta del Montello. Segni particolari: tutti e quattro veneti. Quattro uomini ai fornelli, più quattro aiutanti giapponesi, per una media di 400 pasti al giorno da cucinare, tra pranzi e cene.
E tanto per non farsi mancare nulla, la cucina era collocata su due piani, con 48 scalini di dislivello da percorrere in salita o in discesa. E poi dicono che solo gli atleti fanno sport.
Per il cuoco del Margnan è stata in assoluto una di quelle che vengono chiamate le “esperienze della vita”. Ma, a quanto pare, è solo l’inizio di un importante percorso.
E non c’è stato certamente modo migliore per celebrare l’anno del ventennale della conduzione del suo locale: Andrea gestisce infatti il Nuovo Borgo dal 2001.
Dal Nuovo Borgo si è affacciato ora su un nuovo orizzonte: tradizione veneta in trasferta nella capitale nipponica. Poenta e Tokyo.

Andrea Simioni, come è nata questa opportunità di andare a fare il cuoco alle Olimpiadi per Casa Italia?
Io conoscevo uno dei due chef, Fabio Pompanin, che ha pensato di darmi questa opportunità. Ha pensato che io fossi idoneo per questa avventura. Abbiamo già lavorato insieme in qualche piccola esperienza e mi ha fatto la proposta.

Cosa significa “essere idonei” per questa avventura? Quali sono i requisiti richiesti?
A parte la competenza tecnica e professionale, è molto importante avere anche una buona resistenza sia fisica che psicologica, perché c’è una pressione molto alta nel ritmo di lavoro. E poi devi anche calcolare che devi lavorare in un team di quattro persone, più gli aiutanti che vengono forniti sul posto, e sei insieme dal mattino alle 8 fino a mezzanotte. Cioè fai giornate di lavoro di 16-18 ore con quattro persone, quindi devi andare d’accordo e devi eventualmente anche smussare attriti e fare bene la tua parte, oltre ad essere in grado di fare bene il tuo lavoro.

Quanti giorni di lavoro sono stati?
Di lavoro effettivo e di apertura di Casa Italia sono stati 18-20 giorni. Noi però siamo stati via un mese, perché abbiamo fatto quattro giorni di quarantena chiusi in camera in albergo, poi abbiamo cominciato le nostre preparazioni per l’apertura di Casa Italia.

Com’era la vostra giornata-tipo?
In cucina andavamo verso le 8, 8 e un quarto, si controllavano le spese e gli arrivi giornalieri. In base a quello poi facevamo i controlli dei menù dei giorni successivi e cominciavamo le preparazioni giornaliere per il pranzo e per la cena. C’era un menù che era sempre composto da due alternative di primi piatti e secondi piatti, espresso alla carta e quindi non buffet. Ogni cliente che si sedeva chiedeva e in base alle sue scelte il piatto veniva preparato al momento.

I clienti chi erano?
Erano tutti ospiti. Casa Italia è una specie di “piccola ambasciata”, come mi piace chiamarla, dell’Italia. Quindi si andava dai giornalisti ad altri ospiti anche di altre nazionalità. Ci sono stati capi di Stato, ministri, rappresentanti dello sport in generale.

Ma con tutto questo lavoro, un po’ di Giappone lo avete visto?
Siamo riusciti ad uscire una sera, durante il lavoro. E poi ci siamo fermati due giorni in più oltre la nostra esperienza per visitare un po’ la città.

Un’altra persona reduce dalle Olimpiadi di Tokyo, dirigente di una Federazione, mi ha raccontato che era difficile spostarsi al di là dei percorsi prestabiliti. E stato così anche per voi?
Sì, era abbastanza difficile. Non per lo spostamento fisico, ma perché per tutte le restrizioni che c’erano era difficile accedere ad altri plessi e ad altre strutture.

Che tipo di cucina avere proposto a Casa Italia?
Abbiamo fatto dei menù che rispecchiavano un po’ la storia della cucina italiana. Siamo andati anche a scavare nel passato, a tirare fuori magari delle lasagne, piuttosto che le crespelle, anche piatti come la parmigiana. Un po’ quelli che rappresentano di più la storia dell’immagine dell’Italia.

E come pensa invece Andrea Simioni di rappresentare l’immagine di Bassano?
Con la stagionalità giusta e con i prodotti giusti nostri, che di sicuro non mancano qua nel territorio.

Dimentichiamo per un attimo Tokyo: secondo lei la ristorazione bassanese come sta andando?
C’è un po’ di movimento e un po’ di fermento, ma c’è ancora tanta strada da fare. È ancora secondo me troppo legata a quella che è stata la ristorazione degli anni ‘70 e ‘80.

In che senso?
Nel senso dell’approccio col turista e anche con le forniture delle materie prime. C’è da rivedere e da valorizzare meglio quelli che sono i produttori e non pensare tanto a quella che può essere la spesa, i soldi e fare meglio, secondo me.

Torniamo a Tokyo. Qualche altro personaggio che fa il suo mestiere, reduce da qualche esperienza di questo livello, avrebbe inondato i social di foto, di selfie e di post e “incalzato” con telefonate o comunicati stampa le redazioni e le Tv. Io, sinceramente, ho casualmente appreso che lei è andato a Tokyo da un amico…
Questo è un altro dei requisiti che vengono richiesti. Ti dicono: vieni, devi essere anche forte della tua immagine quando torni a casa. Però è richiesta molta discrezione.

Perché?
Sul lavoro, intanto, per non disturbare le persone che sono ospiti e poi anche per avere la fiducia e per essere richiamato.

Pensa che comunque questa esperienza abbia costituito per la sua carriera ormai ventennale un passo in avanti, oppure è qualcosa di “distaccato”?
No, sicuramente è un grande passo in avanti. Anche perché ha aperto un percorso, non è solo un’esperienza. Adesso ci sono altri step in programma. Già ho i contatti per le Olimpiadi invernali che saranno in febbraio, sempre se confermati, in Cina a Pechino. Dopo c’è Parigi 2024, Milano-Cortina 2026 e Los Angeles 2028. Questo è un percorso che ci è già stato confermato. E in mezzo potrebbero esserci anche altri eventi, sempre legati al CONI e allo sport.

Con tutte le medaglie che abbiamo vinto alle Olimpiadi, lei ritiene che una medaglia l’abbia vinta anche lei?
Penso che abbiamo in piccola parte contribuito. L’euforia alla quale abbiamo partecipato quest’anno è stata grandissima.

Ma c’era anche qualche atleta che veniva a mangiare da voi?
Sì sì, tutti gli atleti venivano a festeggiare in Casa Italia la medaglia.

Lo sportivo che si ricorda più, tra quelli che sono venuti da voi?
Sicuramente Federica Pellegrini, che è stata da noi più di qualche giorno in Casa Italia e abbiamo fatto anche la sua festa di compleanno. Ma anche Jacobs e Tamberi. Un po’ tutti i ragazzi sono passati, abbiamo fatto anche diverse foto. Ci siamo divertiti anche dopo, alla fine del lavoro. Ci si trovava anche al bar, si riusciva a bere qualcosa e a stare una mezz’oretta assieme a fine giornata.

Quando è tornato a Bassano come si sentiva?
Un po’ scombussolato con gli orari. È stata dura riprendere, il jet lag è importante perché è stato un volo di 13-14 ore, non facile. Però siamo rientrati quasi subito al lavoro. Ti dimentichi tutto e cominci a fare il tuo.

Per ultima, una domanda che mi piace sempre fare: cosa farà da grande Andrea Simioni?
Siamo sempre nel segno della continuità. Cerchiamo di lavorare bene sul nostro, di reinvestire e soprattutto di non smettere di studiare per andare avanti.

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