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Alessandro TichAlessandro Tich
Direttore Responsabile
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Pompeo Magno

“Pompeo Pianezzola (1925 - 2012)”: al Museo Civico di Bassano una straordinaria mostra retrospettiva sul grande maestro novese della ceramica contemporanea, a cento anni dalla nascita

Pubblicato il 30-05-2025
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Una vita raccontata in 120 opere.
È la macchina del tempo che ripercorre la fantastica parabola creativa di Pompeo Magno, l’uomo che ha saputo trasformare la ceramica in poesia visiva.
“Pompeo Pianezzola (1925 - 2012)”, la mostra retrospettiva dedicata all’artista e maestro di Nove nel centenario della nascita, è cosa fatta.

Foto Alessandro Tich

Da domani, 31 maggio e fino al 7 settembre la Galleria Civica del Museo Civico di Bassano del Grappa ospita questa esposizione davvero eccezionale per i suoi contenuti e per la sua immagine d’insieme, che ricostruisce in chiave antologica la vita e la carriera di un protagonista indiscusso del rinnovamento dell’arte ceramica, che è stato anche artista a 360 gradi, partecipe dei contesti delle neoavanguardie, grafico e designer ad ampio spettro.
Un multiforme ingegno, si sarebbe detto nel Rinascimento.
E i “tanti” Pompeo che si sono susseguiti nella costante ricerca dell’innovazione interpretativa della materia, riemergono tutti insieme nelle due sale espositive della mostra.
Un percorso fra grandi opere appese alle pareti; “involucri”, “rotoli” e “libri” ceramici collocati nelle teche e due tavole imbandite, la prima di capolavori mignon di uso quotidiano (ciotole, piatti e coppe) e la seconda di “fluttuazioni” in plexiglass e colore ad aerografo, a conferma del suo saper andare oltre le sfide creative della ceramica in quanto tale.
Promossa e organizzata dal Comune e dai Musei Civici di Bassano del Grappa, curata da Nico Stringa, composta da prestiti di importanti collezioni private (tra cui i prestatori Ivano Costenaro e Fernando Rigon Forte) e proposta nell’allestimento di ASA Studio Albanese di Flavio Albanese che è anche uno degli sponsor, la mostra si propone di ricostruire l’intero percorso artistico dell’autore, dai dipinti giovanili - davvero una sorpresa esclusiva - alle prime ceramiche, dai grandi e celebri scudi in maiolica alle opere moltiplicate, dalle “grate” e “transenne” e dalle serigrafie alle opere sperimentali sul formato della lastra e dai “libri d’artista” fino al commovente omaggio al Canova del 2003.
Il tutto condensato in undici sezioni tematiche che attraverso il linguaggio “pompeiano” felicemente espresso tra ceramiche, dipinti, disegni e incisioni, documentano tutte le tappe che hanno portato agli inizi il giovane talento di Nove a confrontarsi con i maggiori artisti della sua epoca - da Burri a Fontana e da Melotti a Valentini - e quindi ad interpretare le aspirazioni e le inquietudini della cultura italiana a partire dagli anni del miracolo economico fino alle soglie del nuovo secolo, in costante rapporto e tensione con le più importanti correnti artistiche del suo tempo.

La biografia di Pompeo Pianezzola è il racconto di una tipica storia del Veneto che produce, in questo caso genialità.
Nato a Nove nel 1925, a soliti 14 anni cominciò la sua attività di ceramista come apprendista e decoratore nella storica manifattura novese Antonibon Barettoni, frequentando negli stessi anni la Regia Scuola d’Arte di Nove, oggi Istituto d’Arte Giuseppe De Fabris, di cui poi sarebbe stato insegnante nel secondo dopoguerra, assumendone anche la direzione dal 1963 al 1968, dopo essersi diplomato all’Accademia di Belle Arti di Venezia.
Da Barettoni il giovane Pompeo dipingeva sulla ceramica le copie dei grandi “classici” della pittura come Caravaggio, Tintoretto o Tiepolo.
E nella fase iniziale della sua carriera il linguaggio artistico con cui aveva deciso di misurarsi era stata proprio la pittura, in particolare nel genere del ritratto, che da una prima fase di realismo figurativo si era presto evoluta in forme di aggiornatissima ed autonoma espressività, grazie anche alla “scoperta” dell’artista da parte dei più attenti e preparati interpreti della modernità, come Gio Ponti e Licisco Magagnato.
Il “bivio” decisivo della sua carriera si presentò negli anni Cinquanta, con le sue prime creazioni autonome in ceramica dove già si evidenziava la sua passione per la sperimentazione con la realizzazione di nuove forme ritmate, traforate e leggere, primi segnali di un impegno che diventerà sempre più costante verso il design.
Ma è solo al termine del decennio che Pianezzola raggiunse la piena maturità artistica, nel pieno della stagione dell’arte informale: raccogliendo le suggestioni di quel tempo, dalla pittura “materica” di Alberto Burri ai “tagli” sulla tela di Lucio Fontana, rinunciò definitivamente alla figurazione e soprattutto alla tridimensionalità, voltando le spalle alla tradizione in cui era immerso fin da ragazzo.
Da allora, Pompeo Pianezzola sarebbe diventato il maestro della ricerca espressiva sulle superfici “piane”, tra cui i grandi e famosi Scudi in maiolica che gli valsero la vittoria al concorso nazionale per la ceramica d’arte Premio Faenza nel 1963.

Gli anni Sessanta e Settanta sono quelli di un artista affermato sul piano nazionale ed internazionale, sempre più vocato al design contemporaneo, innovativo interprete del concetto di “replica” nelle sue celebri serie di “opere moltiplicate” e arditamente propenso ad avviare nuove e sperimentazioni di forme, colori e materiali come il plexiglass e diversi tipi di metalli.
Una ricerca che lo avrebbe portato a realizzare uno dei suoi cicli più famosi, “Fluttuazioni”, ed ad interessarsi per molti anni al grande formato.
Sul finire degli anni Settanta, Pompeo (mi permetto di chiamarlo con il solo nome, avendolo io conosciuto sin da quando ero bambino) sarebbe poi ritornato, sempre a modo suo, alle origini, riabbracciando la fase “primordiale” della modellazione dell’argilla.
È in questa fase che sono nati i suoi lavori su “foglio di creta”, con la materia ceramica che si sostituiva alla carta, per creare i suoi “avvolgimenti” o “involucri” ispirati ai rotoli di papiro, tratteggiati in verticale da segni grafici e da pseudo scritture che conferivano alle opere un vago richiamo alle lingue perdute, e i suoi libri-oggetto, a metà tra documento e invenzione.
Mi fermo qui in quanto a biografia e a carriera artistica perché ci sarebbero ancora tante cose da scrivere: l’invito è quello di visitare la mostra al Museo Civico per scoprire o riscoprire, attraverso le opere esposte ma anche col pregiato catalogo edito da Antiga e curato da Nico Stringa, questa figura di primo piano dell’arte ceramica (e non solo) del secondo Novecento.

Alla presentazione per la stampa di “Pompeo Pianezzola (1925 - 2012)” in sala Chilesotti, dopo il saluto istituzionale dell’assessore alla Cultura Giada Pontarollo, la direttrice dei Musei Civici Barbara Guidi sottolinea come la mostra vada “al di là dell’intento celebrativo per il centenario della nascita” per accendere i riflettori su “uno dei più sensibili e talentuosi artisti che questo territorio ha saputo regalare al Veneto, all’Italia e all’Europa”.
Una mostra che “supera la mera visione del ceramista, come lui stesso ha fatto”.
“Lo ha fatto - aggiunge la direttrice - con la tempra del grande artista che ha percorso un inaspettato cammino nelle arti del secolo Novecento, che ancora oggi continua a sorprenderci.”
“Questa è la prima antologica di Pompeo Pianezzola qua a Bassano, con molti inediti che quindi non sono mai stati visti in una mostra, tra cui i dipinti giovanili”, evidenzia il curatore Nico Stringa
Il quale racconta l’episodio che ha aperto le “sliding doors” di una fulgida carriera al futuro maestro della ceramica contemporanea, quando era ancora un giovane apprendista che dipingeva le ceramiche da Barettoni a Nove.
E cioè quella volta che “Arturo Martini e Carlo Scarpa, assieme ad Egle Rosmini, arrivando in bicicletta da Rosà suonarono il campanello da Barettoni perché Martini doveva procurarsi dell’olio per la pittura dei suoi quadri”.
Fu il giovane Pompeo a consegnare l’olio per la pittura ad Arturo Martini, recandosi in bicicletta nella casa che il grande scultore aveva preso in affitto a Rosà, scoprendo i suoi quadri e rimanendone “flashato”, come si direbbe oggi.
“Lui è entrato nel tempio dell’arte da ragazzo dalla porta principale - afferma Stringa -, quella della pittura.” Poi nel corso della sua carriera “non ha mai fatto una scultura e ha lavorato tutto sul piano, come se fosse un pittore della materia.”
Flavio Albanese, curatore dell’allestimento, ricorda Pianezzola come “un rappresentante della nutritissima schiera di personaggi collocati nella Pedemontana, che potrebbe apparire una zona marginale, che hanno coniugato l’alto artigianato con le arti applicate, secondo lo spirito del tempo nazionale ed internazionale”.
Mentre l’assicuratore Ivano Costenaro, l’uomo che sussurra alla ceramica contemporanea, prestatore di opere in mostra dalla sua incredibile collezione nonché sponsor, annuncia che il prossimo 27 giugno, per il ciclo delle “Storie Pop” al Teatrino della Collezione Costenaro a San Giuseppe di Cassola, è in programma una serata su Pompeo Pianezzola con gli interventi di Nico Stringa e di Barbara Guidi.

Questo e non solo questo costituisce tutto l’insieme di spunti e di suggestioni offerto da “Pompeo Pianezzola (1915 - 2012)”, la retrospettiva per i cento anni dalla nascita dell’artista, che viene proposta quale giusto e doveroso tributo ad uno dei massimi esponenti contemporanei del nostro “genius loci”.
Perché è vero: bisogna dare a Cesare quel che è di Cesare.
Ma questa volta dobbiamo dare a Pompeo quel che è di Pompeo.

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