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Alessandro Tich
Direttore Responsabile
Bassanonet.it
Al riparo dal passato
Incontro con Manlio Milani, marito di una delle vittime della strage di Piazza della Loggia a Brescia, e con Ernesto Balducchi, ex leader dei Comitati Comunisti Rivoluzionari, a Bassano per il Festival della giustizia riparativa
Pubblicato il 23-10-2025
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Brescia, Piazza della Loggia, 28 maggio 1974, ore 10:12.
Durante una manifestazione antifascista indetta per protestare contro una serie di attentati avvenuti nella zona, viene fatta esplodere una bomba nascosta dietro una colonna, dentro un cestino dei rifiuti.
È la strage di Piazza della Loggia: otto morti e un centinaio di feriti.

Ernesto Balducchi e Manlio Milani (foto Alessandro Tich)
In mezzo alla folla dei manifestanti c’è anche Manlio Milani, assieme alla moglie Livia Bottardi e ad alcuni suoi amici. Vuole la sorte che qualcuno gli chieda un’informazione e Milani si fermi per qualche attimo a parlare con lui. Poi, mentre si appresta a raggiungere la consorte e gli altri che si trovavano vicino alla colonna, scoppia la bomba: muore la moglie e muoiono anche i suoi amici.
Nel giro di un attimo, la vita di Manlio Milani viene sconvolta per sempre.
Ernesto Balducchi, monzese, è invece un militante della lotta armata di quello stesso periodo.
È il responsabile militare dei Comitati Comunisti Rivoluzionari (CCR), sorti nella galassia della sinistra operaia extraparlamentare, antagonista al sistema nei cosiddetti “anni di piombo”. Viene quindi arrestato, processato assieme ad altri imputati a Milano e condannato a 10 anni di reclusione da scontare a San Vittore, per il reato di banda armata.
Durante il processo, Balducchi annuncia la fine della lotta armata per la sua organizzazione e lo dimostra con i fatti.
Con l’aiuto di un cappellano del carcere, il 13 giugno 1984 riesce a far consegnare le armi - da parte di altri componenti dei CCR rimasti liberi e impuniti - all’Arcivescovo di Milano, Cardinale Carlo Maria Martini: tre borsoni pieni di armi (tra cui due mitra Kalashnikov, un fucile Beretta, tre pistole, un razzo per bazooka e quattro bombe a mano) e di munizioni.
Per i Comitati Comunisti Rivoluzionari è l’atto definitivo di dissociazione dalla violenza terroristica e di resa allo Stato.
Ed eccoli qua, uno accanto all’altro, a Bassano del Grappa.
Manlio Milani, oggi 87enne, dopo il 28 maggio 1974 ha dedicato la vita al ricordo di quella tragedia: è il presidente dell’Associazione delle Vittime della Strage di Piazza della Loggia e anche della Casa della Memoria di Brescia.
Ernesto Balducchi, oggi 72 enne, uno dei primi ex terroristi ad aver abbandonato la lotta armata, dopo aver scontato la sua pena in carcere si è rifatto una vita con una propria ditta di trasporti.
Sono qui a Bassano per raccontare le loro storie e testimonianze al Festival della giustizia riparativa, in corso a Villa Angaran San Giuseppe.
La giustizia riparativa è un’opportunità che non si sostituisce ma si affianca alla giustizia ordinaria, consentendo all’autore e alla vittima di un reato - assistiti da mediatori penali - di incontrarsi e di dialogare su base volontaria, in un confronto diretto e riservato tra “persone” e non più nei ruoli di “imputato” o “reo” da una parte e di “parte lesa” dall’altra, che continuano invece a caratterizzarli nell’autonomo svolgimento del processo penale.
Milani e Balducchi non sono però le controparti dello stesso reato.
La strage di Piazza della Loggia nulla c’entra infatti con la lotta armata, essendo stato un attentato dello stragismo eversivo, nell'inquietante era di quella che veniva chiamata la strategia della tensione.
Il lungo iter processuale per la strage, che ha visto coinvolti più imputati, si è concluso nel 2017 con la condanna in Cassazione di due sole persone: il dirigente di Ordine Nuovo Carlo Maria Maggi, poi morto un anno dopo la sentenza, come mandante dell’eccidio e il militante Maurizio Tramonte, che tuttavia fino ad oggi non ha mai accettato di incontrare i familiari delle vittime della bomba.
Ma Milani e Balducchi si conoscono da tempo.
Entrambi hanno frequentato, per sette anni, il “Gruppo dell’incontro”: un’esperienza comunitaria nella quale ex appartenenti alla lotta armata degli anni ’70, vittime e familiari delle vittime si sono incontrati a più riprese, condividendo anche le proprie giornate, alla ricerca condivisa di una ricomposizione possibile.
Il tutto raccontato ne Il libro dell’incontro, edito da Il Saggiatore nel 2015: il resoconto di una “avventura sommersa” di giustizia riconciliativa, unica nel suo genere.
È il filo conduttore della serata del Festival della giustizia riparativa che a Villa Angaran San Giuseppe vede protagonisti proprio Manlio Milani ed Ernesto Balducchi, in dialogo con l’avvocata penalista Stefania Amato, del Foro di Brescia.
La mattina successiva, il confronto aperto tra i due “rappresentanti opposti” di quell’Italia degli anni del terrorismo si ripete in Sala Da Ponte a Bassano, in un incontro rivolto agli studenti degli istituti superiori.
È qui che avvicino Milani e Balducchi per una intervista doppia composta da tre sole, ma basilari domande.
Per voi, e per le vostre storie personali, cosa ha significato avere intrapreso questo percorso di incontro con “l’altra parte”?
Manlio Milani:
“L’incontro con l’altro, per me, ha significato avere un percorso che ti fa uscire dalla “prigionia della vittima”, del sentirti legato dentro quasi a una sorta di ruolo. Liberarsi di questo e incontrare l’altro, colui cioè che ha commesso dei reati, ti permette di renderti conto che hai a che fare con delle persone e che quelle persone non sono soltanto il loro reato.”
Ernesto Balducchi:
“Mi sono avvicinato a questo percorso quasi vent’anni dopo che avevo finito di compiere la condanna che avevo avuto. Però è stato come vedere la possibilità di realizzare quella cosa che avevamo detto noi all’inizio del processo, che era di riconoscere il danno che avevamo provocato alle vittime. E però, nell’ambito del processo, non c’era stata occasione di poter in qualche maniera affrontare queste persone e rispondere davanti a loro di quello che avevamo fatto. Quindi, quando ho sentito che c’era questo gruppo di persone disposte a incontrarci, mi è sembrata una cosa veramente straordinaria e una possibilità da non perdere, proprio per dare il compimento a questo dovere e debito che avevamo nei loro confronti.”
Abbiamo compreso dalle vostre testimonianze a Villa Angaran San Giuseppe che incontrarsi, dialogare e capire non vuol dire necessariamente “perdonare”. Ma allora “capire” a cosa serve?
Manlio Milani:
“Capire serve a cogliere l’accaduto nell’ambito della storia. Capire che in qualsiasi momento tu sei portato a dover scegliere sul come devi agire. Ma tenendo sempre conto che questa azione deve guardare anche le conseguenze che hai sull’altro. E questa diventa un’assunzione di responsabilità. Di una responsabilità che ti porta sempre a ricordarti che tu sei anche un cittadino. E questo incontro che abbiamo avuto tra di noi - e questo lo vorrei precisare - non significa dimenticare ciò che è accaduto, ma andare oltre quell’accaduto senza dimenticarlo, ma ritrovando la fiducia nell’altro.”
Ernesto Balducchi:
“Quando noi abbiamo intrapreso la strada della lotta armata, avevamo l’intenzione di ottenere una società migliore e delle condizioni di vita più giuste per tutti. E avendo constatato che questo strumento che avevamo usato era assolutamente controproducente, ci siamo resi conto che invece, al contrario, avevamo travolto l’esistenza di varie persone che avevamo colpito con le nostre mani. Quindi il nostro incontro era la possibilità, in qualche maniera, di rendere conto di questa presa di coscienza. Prima ancora che a tutta la società, verso la quale abbiamo comunque il dovere di affrontare le conseguenze, avevamo un debito particolare specificamente con le vittime. Da questo punto di vista, l’incontro con l’altro mi aiutava a uscire da questa esperienza in una maniera compiuta.”
Oggi cosa manca da fare perché la ferita di quegli anni in Italia venga completamente rimarginata?
Manlio Milani:
“Io credo che manchi una elaborazione di quello che è stato, del passato. Perché ancora oggi quel passato pesa sulla società. E pesa anche in termini strumentali. Troppo spesso sentiamo dire che “questo è il mio morto” e “quell’altro non è il tuo morto”. E questa dimensione strumentale è alla base dell’attuale contrapposizione.”
Ernesto Balducchi:
“Non voglio dare delle ricette, però secondo me manca proprio una ricostruzione non dico condivisa, ma perlomeno a più voci e libera da pendenze penali. Ad esempio, sono passati cinquant’anni da quell’epoca e si potrebbe arrivare a una convenzione per cui non si penalizza un’eventuale rivelazione o scoperta su quelli che sono stati i fatti di allora, in cambio della verità e di una ricostruzione storica più fedele a quello che è successo. Un po’ come quella che è stata la Commissione per la verità e giustizia in Sudafrica, al termine dell’apartheid, che in cambio di poter ricostruire la realtà storica dei fatti, ha concesso di fatto un’amnistia. Ora, cinquant’anni dopo, si potrebbe fare lo stesso anche qua.”
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