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Guantanamera
A proposito delle esternazioni dell'assessore regionale Elena Donazzan, che propone un carcere speciale per jihadisti in Italia sul modello del campo di prigionia americano di Guantanamo

Fonte immagine: Elena Donazzan/Facebook
“Il disordine pubblico si controlla con l'ordine militare.” E questo perché “la vita è un rapporto tra forze”. E conseguentemente “se si usa il guanto di velluto, quando c'è bisogno della forza, si distrugge la democrazia e lo Stato di diritto”.
Eccola qui, la nuova puntata della biografia a dispense - periodicamente pubblicata sulle pagine di questo portale - “Pensieri e parole di Elena Donazzan”. Che a carenza periodica, appunto, snocciola dichiarazioni al fulmicotone inevitabilmente riprese e amplificate dagli organi di informazione.
L'ultima esternazione, in ordine di tempo, del Donazzan-pensiero è appunto la dichiarazione di cui sopra, inserita in un articolo pubblicato ieri a tutta pagina del Giornale di Vicenza e riferita alla presa di posizione della Donazzan nei confronti dei fondamentalisti islamici.
Lo spunto delle nuove affermazioni della pasionaria di Destra è stata la notizia dell'espulsione dall'Italia di Redjep Ljimani, cittadino macedone 39enne di fede musulmana, residente a San Zenone degli Ezzelini, inserito in un circuito di relazioni costituito da soggetti di origine balcanica accomunati da un credo islamista radicale, padre del bambino di 9 anni che dopo gli attacchi terroristici di Parigi aveva detto a scuola: “Hanno fatto bene. Adesso andiamo a Roma e uccideremo il Papa.”
Accusato - a seguito di indagini dei Ros - di portare avanti le posizioni del jihadismo di cui sarebbe “un profondo conoscitore”, nonché di attuare comportamenti “da rigoroso osservante dei rigidi dettami della dottrina salafita, con forti pulsioni di radicalizzazione che lo avevano spinto a un progressivo cambiamento in chiave antioccidentale delle abitudini”, Ljimani è stato pertanto allontanato dal nostro Paese tre giorni fa su provvedimento diretto del ministro dell'Interno Angelino Alfano.
Fin qui la notizia, che ha portato la Donazzan a chiedersi se “in Italia dobbiamo forse attendere di essere colpiti nel cuore delle nostre città prima di agire con fermezza”. Da qui la soluzione proposta dall'assessore regionale attualmente in quota Forza Italia: quella di replicare, in Italia, il campo di prigionia di Guantanamo. Una sorta di “carcere di massima sicurezza” da riservare a “cittadini che l'intelligence e le forze dell'ordine ritengono pericolosi in quanto jihadisti, o presunti tali” e che secondo la patriota di Pove “dovrebbero essere arrestati e detenuti in centro ad hoc, senza passare per la normale giurisdizione”.
Sul modello, appunto, della controversa struttura detentiva di massima sicurezza interna alla base navale statunitense di Guantanamo, sull'isola di Cuba, istituita nel 2002 dall'amministrazione Bush dopo gli attentati alle Torri Gemelle, destinata alla reclusione di prigionieri ritenuti collegati ad attività terroristiche e che l'attuale presidente Obama - con l'opposizione dei Repubblicani che controllano sia la Camera che il Senato - sta tentando, come promesso in campagna elettorale, di chiudere.
Vista la palese inapplicabilità costituzionale di una proposta del genere in Italia, quelle della Donazzan vanno semplicemente interpretate come le parole di una provocazione politica o, se preferite, di una “sparata” a beneficio del circo mediatico: genere di cui lei, notoriamente, è maestra.
Non che l'emergenza terrorismo, dopo le minacce al nostro Paese lanciate l'altro ieri della rediviva Al Qaeda, non necessiti di una adeguata presa di coscienza a livello collettivo e di opportune misure di prevenzione ad opera della cosiddetta intelligence. Il buonismo ad oltranza, su queste cose, è deleterio e la provocazione di un “supercarcere per jihadisti” - nel generale bla bla della politica anche su questi serissimi argomenti - può anche starci.
Ma c'è una cosa, nei pensieri e parole dell'assessore all'Istruzione, alla Formazione, al Lavoro e alle Pari opportunità della giunta regionale, che non collima con il generale buon senso. Ed è quell'aggettivo “militare” associato al sostantivo “ordine”: due parole che - messe insieme, riferite alla vita pubblica e correlate ai precedenti della Storia - fanno rabbrividire.
Elena la Guantanamera, nell'impeto dei suoi missili Patriot, questa volta ha esagerato. Un campo speciale di prigionia per seguaci del jihadismo o “presunti tali” può essere anche un'interessante fantasia su cui discutere.
Ma “l'ordine militare per controllare il disordine pubblico”, per favore, se lo tenga per se.
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