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Laura Vicenzi
Giornalista
Bassanonet.it
Con Emanuela Evangelista nel cuore dell'Amazzonia
Domenica 12 a Marostica e lunedì 13 novembre a Cartigliano due appuntamenti con la studiosa e il suo libro
Pubblicato il 10-11-2023
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Domenica 12 novembre a Marostica, e successivamente la sera lunedì 13 a Cartigliano, Emanuela Evangelista presenterà il suo libro, che porta il titolo Amazzonia. Una vita nel cuore della foresta (Edizioni Laterza, 2023). Emanuela Evangelista è una biologa di origine romana, attivista per l’ambiente e presidente dell’associazione “Amazônia onlus”.
Dagli anni Novanta si è avventurata nelle immense terre equatoriali polmone verde e patrimonio della biodiversità del pianeta e poi si è trasferita stabilmente in Amazzonia, dove opera tuttora con un impegno costante e appassionato. Azioni e interventi che ha realizzato nel tempo hanno portato a importanti risultati in ambito internazionale nel settore della difesa ambientale, nella tutela delle popolazioni indigene e nel contrasto alla deforestazione.
Il suo lavoro ha contribuito alla creazione del Parco Nazionale dello Jauaperi, 600 mila ettari di foresta tropicale protetta e designata all’uso esclusivo delle popolazioni tradizionali native unicamente nell’ambito di attività sostenibili ed ecocompatibili. L’area è stata decretata ufficialmente nel 2018 e va ad aggiungersi a un importante corridoio di aree protette che rappresentano un risultato nodale per la lotta al caos climatico. Dal 2020 Ufficiale dell’Ordine al Merito della Repubblica italiana, tra i vari riconoscimenti che le sono stati attribuiti è stata vincitrice con la sua associazione del terzo premio “Terre de Femmes 2021/2022” promosso da Fondation Yves Rocher Italia.

Emanuela Evangelista (fonte Facebook)
Nel suo attuale soggiorno in Italia, la studiosa sta partecipando a molteplici eventi (tra questi “Pianeta Terra” a Lucca, “Finalmente Domenica” a Reggio Emilia) ed è stata invitata a fine novembre come ospite a Firenze alla sesta edizione di “Eredità delle Donne", festival con la direzione artistica di Serena Dandini.
Gli appuntamenti locali sono stati organizzati a cura di ADS, progetto di sport e cultura dell’amministrazione di Nove, e vedono coinvolte per l’occasione anche l’associazione culturale La Fucina letteraria e il gruppo di lettura Insieme per leggere, che hanno fatto della pubblicazione e delle tematiche che affronta oggetto di approfondimento nei loro incontri.
Emanuela Evangelista ha raccontato nel suo primo libro un’esperienza operativa e di vita importante e toccante, di cui parlerà nel corso dei due incontri con il pubblico programmati per domenica 12 novembre alla Chiesetta di San Marco di Marostica (alle ore 17) e lunedì 13 nei locali di Villa Cappello, a Cartigliano (alle ore 20.45).
«Il tempo della mia vita cambiò, il ritmo cambiò. Fu come passare dall’altro lato di un orologio. Vivere qui comportava impiegare il tempo di questo luogo, che scorre sotto lancette diverse, lente e collose, fatte di piogge, di stagioni, di epoche di raccolta, di periodi di deposizione delle uova, di limiti imposti da forze superiori, con le quali l’uomo non compete; semplicemente si arrende, le asseconda, le rispetta» recita la quarta di copertina, e ad accogliere il lettore a pag. 3 è una cartina dove l’idrografia è protagonista.
L’acqua scorre seguendo i suoi corsi e i suoi cicli attraverso tutto il libro. Il primo impatto con la navigazione sul fiume le ha ricordato Conrad e il suo romanzo Cuore di tenebra, poi la prospettiva è cambiata.
Sì, da un approccio più suggestivo si arriva a un rapporto connotato dall’informazione e dalla conoscenza. L’acqua è protagonista in Amazzonia. Spesso quando si pensa all’Amazzonia si ha in mente la foresta ma non l’enorme quantità d’acqua che la percorre. Tante popolazioni di nativi che abitano questa enorme regione vivono la condizione di rivieraschi, e l’acqua condiziona ogni aspetto della vita quotidiana, che si modula a seconda della disponibilità delle risorse idriche. Queste ultime variano di molto, tanto che in alcuni mesi la differenza del livello dell’acqua è di 10-14 metri, alberi e vegetazione sanno vivere in apnea. L’Amazzonia è un polmone vivo, con una sua circolazione che si dirama come quella di un organismo complesso in una sorta di labirinto d’acqua. Nell’attualità, a causa del riscaldamento globale la foresta sta vivendo una siccità estrema, diversi fiumi evaporano e si stanno prosciugando ed è stata proclamata da tutti i municipi locali un’allerta che prevede anche interventi umanitari, perché tante popolazioni sono rimaste isolate essendo venuta a mancare l’acqua che è anche mezzo trasporto. El Niño quest’anno ha trovato la regione amazzonica con temperature di base più alte del consueto e il risultato di questa combinazione climatica è catastrofico.
Le dimensioni enormi dei luoghi dell’Amazzonia colpiscono molto descritte così, in presa diretta. Eppure in pochi anni abbiamo compromesso il 18% di questo enorme territorio. Con quali conseguenze?
La scienza indica una soglia del 20% di deforestazione per definire il punto di non ritorno. Il problema è che questa pratica è continua e l’azione si potenzia perché cumulativa. La percentuale attuale di deforestazione indica la parte di foresta totalmente rasa al suolo, non solo danneggiata o compromessa, e la sua assenza incide pesantemente sugli equilibri dell’ecosistema. La foresta tropicale è in grado di generare autonomamente pioggia e umidità, è uno di quegli ecosistemi in equilibrio con se stessi, ma il sistema degradato diventa inevitabilmente meno forte e meno resiliente; se questo problema drammatico si unisce poi all’aumento delle temperature globale e il dilagare degli incendi si crea un circolo vizioso e la foresta muore. La scienza prevede che il punto di non ritorno venga raggiunto entro 15-30 anni nelle attuali condizioni: l’effetto primario sarebbe la trasformazione della foresta in savana. Si possono prevedere solo in parte le conseguenze della riduzione della foresta, un luogo con un’enorme quantità d’acqua che ha una straordinaria influenza sulle masse oceaniche che a loro volta influenzano il clima, e poi sullo stoccaggio di anidride carbonica e sul rilascio di gas serra, in termini di miliardi di tonnellate.
Leggendo il libro, si viene trasportati per tappe in luoghi popolati da animali e vegetali che conducono da sempre una vita primordiale, mentre i nativi utilizzano internet. I due mondi come si conciliano?
Si conciliano in modo positivo. Le prime volte che sono andata in Amazzonia 25 anni fa i nativi erano privi di informazioni sul mondo al di fuori della foresta e la loro era una visione del tutto pacifica, non si rendevano conto dei pericoli che correva l’ambiente naturale che da sempre li ospitava. Ho dovuto mostrare loro delle foto aeree sulla deforestazione e poi le informazioni della rete hanno contribuito a creare più consapevolezza, proprio internet anziché la televisione ha dato il suo apporto alla conoscenza e lo ha fatto in maniera democratica, dato che gran parte la popolazione nativa non sa leggere né scrivere. La rete è diventata anche strumento di lotta e di aggregazione, è successo ad esempio per le petizioni per il Parco, per le azioni di denuncia; la rete è stata poi vitale per la divulgazione delle misure di precauzione per il Covid.
Sono tante le persone che si incontrano nella pubblicazione. Se dovesse ricordarne una in particolare?
Ana Clara vive con me da tre anni, è una bambina indigena e rappresenta un grande affetto, è fonte di magia e di sorprese, ma anche di insegnamento. Mi trasmette con serenità e serietà, come sanno fare i bambini, le conoscenze che le hanno insegnato il nonno e la nonna. La vita nei villaggi scorre seguendo le correnti leggere della comunità e della solidarietà, in un ambiente così estremo ci si sostiene spontaneamente, senza forzature. Ana Clara è la prima bambina che ospito, prima avevo avuto solo maschi. Ci parliamo in portoghese.
Tra gli animali, una sorpresa la notte trascorsa con la scimmia urlatrice
L’ho considerato un grande privilegio, è stato divertente sentirmi la prescelta da quell’animale selvaggio che mi ha onorata della sua vicinanza, e l’episodio inatteso che ho vissuto ha avuto una lezione di fondo: è sbagliato cedere alla nostra arroganza di uomini, quella del ricercatore, dell’europeo. Ciò che funziona in Amazzonia come in tutti i luoghi estremi del pianeta è imparare a convivere con specie viventi diverse da te, imparare il loro linguaggio, avere rispetto.
Tra le pagine si seguono tracce di ferocia (quella animale o di alcuni indigeni dalla vita primitiva) ma anche di malvagità (strettamente umana), quest’ultima che si traduce nella presenza di criminalità, dipendenze, corruzione, violenza verso viventi e ambiente che fanno la loro comparsa a vario titolo. C’è poi, immensa, tanta bellezza.
Quello che cerco di fare nel libro è sottolineare il fatto che non si tratta di malvagità, ma di condizioni di partenza che influenzano poi ogni cosa. Differenziare il bene dal male con linee nette, prendere partito, appartenere a una fazione o abbracciare stendardi, fermarsi a pronunciare condanne non serve, non porta a niente. È il dialogo la strada giusta, una posizione più aperta alla comprensione dell’altro; voglio provare a comprendere anche realtà ed esigenze di chi sta dalla parte che non può essere la mia, il che non significa certo giustificare la criminalità o le sue manifestazioni.
La dedica del libro è a sua madre, “l’arco che mi ha sospinta”. Si parla molto di donne in tanti capitoli: quelle native che abitano la foresta conducono una vita difficile, nell’abbraccio di una natura madre e matrigna insieme.
L’Amazzonia è una terra dalle caratteristiche femminili: è ricca d’acqua nutrice, è forte, accogliente, abbracciante. Le donne native conducono un’esistenza condizionata dai dettami della sopravvivenza, hanno una vita spesso piena di difficoltà, ma le relazioni all’interno della comunità sono molto vive, positive, ci si sente avvolti in una rete a maglie fitte, quasi una corrente tutta al femminile. Diverse donne subiscono il problema della dipendenza degli uomini dall’alcool. Si tratta di una questione relativamente nuova, di sicuro distante dalla cultura tradizionale indigena, è arrivata con la colonizzazione ed molto grave: il rapporto con le sostanze di sintesi, l’ubriacarsi, ha per gli indigeni come unico fine l’obnubilamento e sovente sfocia nella violenza.
In quali campi sta operando in questo momento Amazônia onlus?
L’associazione, in sintesi, è al lavoro per mantenere la foresta, l’obiettivo è quello di proteggerla, nel contempo dà sostegno alla popolazione locale; inoltre nelle regioni in cui l’Amazzonia ha sofferto gli agenti deforestazione, lavoriamo con i corridoi ecologici, si rigenera il suolo per rigenerare la foresta.
Ci può parlare dell’iniziativa di ecoturismo che ha avviato?
La bellezza è una delle più grandi risorse dell’Amazzonia, un tesoro naturale, rinnovabile. Economicamente abbinata alla conoscenza del territorio dei nativi, l’attività dell’ecoturismo riesce a concretizzare un’azione che genera reddito e lavoro, ed è replicabile. Costituisce inoltre un’azione concreta di protezione, poiché suscita l’interesse di altri che vogliono conoscere quelle terre attraverso gli occhi dei nativi; ha un impatto positivo anche sul problema del bracconaggio, che deriva dalle condizioni di povertà e degrado ambientale. Si possono avere informazioni dettagliate attraverso l’associazione Amazônia onlus, nel suo sito (www.amazoniabr.org).
Un messaggio in bottiglia (di vetro) per gli Italiani.
Inviterei gli Italiani a fare una riflessione: l’Amazzonia mi ha insegnato quanto sia sbagliata la nostra idea di indipendenza dalla natura, quella che è diventata la nostra arroganza urbana: pensiamo di essere emancipati dalla natura e questo ci porta a non avere più la consapevolezza che siamo la natura e che siamo parte di un sistema. Se riconosci di essere componente di un tutto smetti di distruggerlo. Pensiamo anche solo alle stratificazioni che esistono tra noi e il nostro cibo, al rapporto distante che abbiamo ora con il nutrimento che ci procuriamo snaturato nei supermercati: anche questo ci fa perdere l’idea di quanto dipendiamo dalla natura per la nostra vita, insieme alla percezione della possibilità di essere incisivi sulla nostra realtà di vita e sull’ambiente.
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