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Hunger Games aveva tutte le carte in regola per diventare il fenomeno mondiale del momento. Tratto da romanzi di successo che avevano incantato milioni di lettori, una trama di sicura presa emotiva con i continui pericoli e le amicizie precarie che si creano in un mondo altrettanto precario, reso film con cast di rilievo ma con nomi non di grido, reso soprattutto evento dall'efficace campagna promozionale americana.
Da qui il passo a diventare fenomeno adolescenziale sarebbe breve, soprattutto perché il percorso trilogia da romanzo-film d'incasso ha già avuto dei precedenti di lusso come la saga di Twilight.
Ma la marcia in più di Hunger Games si nasconde in quella sottotrama che spesso e volentieri emerge, quella critica ad una società voyeuristica e incapace di reagire, che come antichi romani si gusta gladiatori/tributi in scontri all'ultimo sangue decretando con il loro volere e il loro favore la morte dell'uno o dell'altro, una società drammaticamente simile alla nostra. E' questa la marcia che lo fa diventare un film adatto a tutti e a non relegarlo a quel pubblico giovane ormai fin troppo facilmente accontentabile.

Siamo in un futuro non meglio precisato e per punire quei distretti che in anni passati si sono ribellati, si disputa annualmente un reality che vede protagonisti 24 giovani (2 rappresentati per ogni distretto, un maschio e una femmina) pronti a scontrarsi fino alla morte per diventare l'unico e solo vincitore possibile.
Katniss, figlia volitiva ed esperta cacciatrice, per salvare la sorella estratta a rappresentare il distretto 12 nell'Hunger games, si offre volontaria e si ritrova non solo a combattere ed uccidere suoi coetanei trasformati dal gioco in bestie dall'istinto omicida, ma anche a sopravvivere cercando l'approvazione di persone ipocrite per avere gli sponsor dalla sua parte e aumentare così le possibilità di sopravvivenza, a metterci lo zampino c'è però l'amore, nato dalla necessità e dalla solitudine, per il compagno di distretto Peeta. Come lei anche noi veniamo così catapultati da un momento all'altro dai boschi di caccia in boschi altrettanto pericolosi ma tecnologici e tecnologizzati -in cui ogni cosa (dalla luce del giorno ai mostri malvagi) è controllata scrupolosamente per creare uno spettacolo degno del suo nome- tra preparativi per la battaglia che vanno dall'allenamento fisico a quello personale, perché anche un'intervista e un vestito possono fare la differenza tra la vita e la morte.
Con una trama simile la messa in scena potrebbe essere superflua ma è invece ben curata proponendo un mondo futuro molto burtoniano e con scelte di fotografia e di montaggio che aumentano la suspense e i momenti di azione rendendoli ancora più avvincenti. Così come il cast, con una Jennifer Lawrence già candidata giovanissima ad un Oscar per la sua interpretazione in Un gelido inverno che si conferma una protagonista catalizzante, e comprimari di altrettanto valore -da Donald Sutherland a Stanley Tucci e Lenny Krevitz.
Il clou del film è sicuramente il momento del gioco, in cui le lotte, i voltafaccia e le crudeltà sono così gratuite da impressionare e che portano ad un finale sofferto e veloce (forse troppo) che apre ad un ormai sicuro sequel.
Tutto quindi conferma quel successo che Hunger Games sta vivendo, aspettando al varco i suoi seguiti, con delle aspettative ora ancora più alte.
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