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Brassaï. L’occhio di Parigi

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Brassaï. L’occhio di Parigi

Alessandro TichAlessandro Tich
Direttore Responsabile
Bassanonet.it

Attualità

Il bell’Antonio

Perché Antonio Canova ha così tanto successo? Considerazioni al volo su un potere di attrazione irresistibile, del tutto estranee agli studi scientifici e alla storia dell’arte

Pubblicato il 02-02-2023
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Brassaï. L’occhio di Parigi

Tutti pazzi per Canova.
Ovunque vadano le sue opere, l’attrazione generale è fatale.
Lo dimostrano innanzitutto gli oltre 50.000 visitatori che hanno già varcato l’ingresso della mostra-evento “Io, Canova. Genio Europeo” al Museo Civico di Bassano. Un risultato straordinario per una città piccola come la nostra, nell’attuale contingenza economica e sociale più ricca di difficoltà che di aspirazioni culturali ed estetiche.

Antonio Canova, Autoritratto, in mostra a Bassano (foto Alessandro Tich)

Ma lo conferma anche l’enorme richiamo delle altre mostre che nel Bicentenario Canoviano e anche in anni passati sono state dedicate al genio della scultura neoclassica.
Come “Canova e l’Antico” al Mann di Napoli, oltre 300.000 visitatori. Neanche si trattasse di Diego Antonio Maradona.
Oppure, solo per citarne alcune: “Canova. Eterna Bellezza” al Museo di Roma, oltre 100.000 visitatori; “Canova-Thorvaldsen. La nascita della scultura moderna” alle Gallerie d’Italia a Milano, 200.000 biglietti staccati e - the last but not the least - la storica mostra “Canova. La finezza del gusto” allestita a Bassano del Grappa e a Possagno nel 2003-2004, con un record di 149.000 visitatori.
Senza contare il boom dei 50mila visitatori all’anno più volte registrato dal Museo e Gipsoteca Antonio Canova di Possagno.
Sono numeri da Amore e Psiche: l’amore per questo artista universale e la psiche collettiva che prova nei suoi confronti un interesse irresistibile.
Mi sono più volte chiesto, e non solo adesso che la mostra di Bassano sta andando a gonfie statue, le ragioni che fanno di Antonio Canova e della sua produzione artistica un fenomeno così pop. La rockstar dello scalpello, il Freddie Mercury del gesso, il Michael Jackson del marmo. Al suo confronto, molti altri artisti non possono che aspirare al ruolo secondario di support band.

Ci sono naturalmente tanti aspetti del multiforme ingegno di Canova che ne hanno fatto un gigante della fine ‘700 e del primo ‘800 italiano ed europeo.
Gli stessi aspetti che vengono egregiamente illustrati nell’attuale mostra di Bassano: sommo artista in primis ma anche uomo di relazioni, collezionista, diplomatico, interlocutore dei potenti del suo tempo da Napoleone Bonaparte in giù, protettore delle arti.
C’è poi il tocco inconfondibile della sua stessa arte, riproposizione moderna degli stilemi idealizzati della scultura neoclassica prima di approdare alla fase naturalista e pre-romantica - quella delle “Maddalene”, tanto per capirci - nei suoi ultimi anni di vita e di carriera.
Ma le masse non vanno ad ammirare le sue opere prioritariamente per queste specificità della biografia canoviana. Sono cose note principalmente agli studiosi e che semmai si apprendono visitando le mostre, osservando le didascalie, ascoltando le audioguide, approfondendo i contenuti, leggendo gli articoli, sfogliando i cataloghi.
I motivi del potere di attrazione del genio di Possagno su centinaia di migliaia di persone esulano pertanto dagli studi scientifici che lo riguardano e dalle informazioni sulla storia dell’arte. È un’attrazione di pancia, che poi, approfondendo la conoscenza su chi è stato Canova al di là di quello che ha fatto, può diventare anche di testa.
C’è qualcosa di più profondo e per molti versi imponderabile che determina la passione della gente per “l’uomo che plasmò il futuro attraverso il filtro dell’antico”, come lo ha felicemente definito qualcuno.
Ed è in questi termini che va inquadrato il fenomeno.

Perché, allora, così tanto successo per un maestro dell’arte di due secoli fa?
Bella domanda, anche se la faccio io e marzullianamente cerco di darmi anche una risposta.
Probabilmente perché in questa epoca che stiamo vivendo, e in particolare in questi ultimi anni, abbiamo un disperato bisogno di bellezza. E certamente anche di armonia.
Vorrei dire che bellezza e armonia sono i due poli della calamita che ci attrae nell’universo marmoreo di Marte, Adone e dei loro fratelli e di Venere, Ebe e delle loro sorelle.
Noi italiani abbiamo la fortuna di essere nati e cresciuti in mezzo alla bellezza, fa parte del nostro Dna anche se possiamo non esserne consapevoli. Una bellezza diffusa, a cui siamo abituati e che pure ci sorprende: in Veneto dietro a un’anonima zona industriale può nascondersi e rivelarsi una Villa Palladiana.
Al cospetto delle sculture di Canova, debitamente esposte e valorizzate dagli allestimenti, questo desiderio di armonia che cova dentro di noi trova un appagamento immediato.
È come vivere in un’oasi di fascino, una pausa di meraviglia, in mezzo al caos della vita quotidiana e all’andazzo asimmetrico e spesso ostile del mondo esterno.
Canova, a suo modo, ci regala una comfort zone che dura per il tempo effimero della visita a una mostra ma che rigenera le batterie della nostra capacità di stupirci. E più ammiriamo le sue opere, che magari già conosciamo o abbiamo già visto, più ancora ci stupiamo.
È la virtù dei grandi: essere attuali e contemporanei, oltre tutte le tendenze e in barba a tutte le mode, a prescindere.

Sarà per questo, ma sicuramente non solo per questo, che ogniqualvolta si accendono i riflettori sul bell’Antonio la risposta del pubblico è clamorosa.
Certamente oggi svolgono un ruolo importante le campagne promozionali, i servizi e gli articoli sulle Tv e i quotidiani nazionali, il battage sui social e, soprattutto, il sempre validissimo passaparola. Ma tutto ciò non fa che amplificare ulteriormente il richiamo di un “brand” ormai consolidato, simbolo di un Made in Italy con la M maiuscola, che viene percepito come un’esperienza imperdibile da chi - e fortunatamente siamo in tantissimi - ama l’arte e la cultura come potenti carburanti dello spirito.
E poi, detto tra noi, Antonio Canova ha un cognome così signorile, così raffinato, così chic. Breve, lirico, soave. Sembra quai in simbiosi con l’eleganza delle sue opere.
“Le Tre Grazie del Canova”: solo a pronunciarle è come declamare un verso ottonario della poesia ottocentesca. C’è armonia e c’è metrica anche nel nome.
Vi immaginereste, con tutto il rispetto per lo scultore del barocco veneziano, le Tre Grazie del Brustolon?

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